Dalla parte di Gustav

Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Da questa fase il punto di vista cambia e passa dal poeta all'avvocato Gustav. Lo scenario dell'azione è ancora concentrato nella camera d'albergo, dove l'avvocato si è dilungato in una tortuosa telefonata con sua moglie, che dall'altra parte non ha emesso verbo.

Dopo averle parlato, nonostante avessi avvertito il filo del suo respiro e non una sola sillaba dalla sua bocca, mi sentii comunque più contento e meno colpevole. Ero certo che la mia arringa coniugale avrebbe comportato degli importanti mutamenti, se non una svolta epocale per la nostra relazione. Mangiavo la torta  con panna, mentre Stanislao continuava a raccontare la vicenda ad Ariele.

«Un momento! Non voglio perdermi una sola parola della storia della rivista! Aspettami» gli dissi.

«Ma se ho appena cominciato… E poi, se proprio ci tenevi a sentire, non ti saresti dilungato così tanto al telefono con una moglie muta» mi disse Stanislao.

«Non era muta. Lara era solo arrabbiata!»

«E allora perché diavolo non ti ha parlato? Noi eravamo qui. Non hai smesso un solo istante di blaterare insensatezze senza fermarti un solo istante. Era un monologo dell’assurdo, se non un’arringa in un’aula ompletamente deserta, avvocato. Che cosa assurda. Andiamo, riconoscilo» mi fece Ariele.

Per la loro improvvisa alleanza, seguita alla lunga conversazione telefonica con Lara, mi sentii offeso e amareggiato. Diedi un grosso morso alla mia porzione di torta e poi dissi: «Direi di voltare pagina, signori. Non voglio più parlare di Lara. Mi interessa il proseguimento della storia di Edo, del direttore, del periodo di Praga e di tanto altro ancora.»

«Non c’è tanto altro da sapere» mi disse Stanislao «ma da vedere, semmai. Vedere varrà più di mille chiacchiere e inutili discussioni, illustre avvocato. Adesso capirai.»

Poi Stain scattò in piedi, dirigendosi verso il comodino disposto accanto al suo letto. Si chinò: la sua figura accanto al lume creò delle ombre agghiaccianti nella camera. Io continuavo a mangiare la torta, guardando fuori, provando un desiderio di aria buona, di passeggiate e di silenzio. La strada era deserta, non c’era vento. La camera di albergo del poeta era immersa dai fruscii delle sue dita sulla carta, mentre ritornava a tavola con una rivista rossa avvolta nella plastica. Rimase per qualche istante in piedi,  fissandola, mentre io e Ariele allungavamo il collo verso le ombre della copertina. Forse si velava un viso di donna, o di una ragazzina con i capelli davanti agli occhi, un occhio azzurro a stento visibile, ma il poeta la ritraeva, se la avvicinava al viso e la annusava chiudendo gli occhi; poi la sfilò con lentezza dalla plastica, mentre il cameriere cominciava a sbarazzare gli avanzi. Stanislao, aprendo la prima pagina della rivista, mi guardò negli occhi, poi me la lanciò davanti, facendomi sobbalzare.

«Cerca, cerca tutti i miei testi. Sono gli unici in italiano. Scorri sull’indice, avvocato. Cerca con cura e poi dimmi, dimmi se non ti piacciono» e così mi misi a cercare, scorrendo con il dito medio sull’indice e concentrandomi sui nomi dei poeti della rivista, cercando di scorgere la S del suo Stain o Stanislao – nel dubbio sollevavo il capo per chiederglielo, esitando: «Devo cercare Stain o Stanislao?»

«Cerca, avvocato. Cerca con attenzione, dall’inizio alla fine, e poi mi dirai» mi fece. Così io cercavo, senza più domandare, scorrendo con attenzione dall’inizio alla fine, ma per ben due volte il suo nome non c’era: né come Stain né come Stanislao. Allora fui costretto a domandargli con quale altro nome che non conoscevo – o che lui non ricordava – si fosse firmato, ma lui mi sorrideva, adesso con una punta di amarezza, dicendomi di soffermarmi sulla lettera E, che ci sarei arrivato; e quando accanto agli unici titoli di testi italiani scorsi il nome in corsivo di quell’Edo della Polfer di Praga, i miei occhi si aprirono, poi si spalancarono, inabissandosi, commossi, nell’incubo allucinato della rivelazione.

«Che cosa significa? Sarebbero le tue poesie? Vorresti dirmi che il direttore…»

«I titoli, Gustav, leggi i titoli, per favore» mi disse Stain.

«Dunque, allora, vediamo: La sedia di neve. Il gatto rosso. Biciclette e ortiche. La bambina e il canarino. L’ascia della badessa. La stanza del bucato, ma che strano… fammi capire, sarebbero testi tuoi o del tuo amico Edo?» gli dissi, un po’ stordito e incredulo.

«Ma certo che sono i miei, avvocato. L’unica piccola differenza è che il direttore li ha firmati col nome di Edo. Tutto qui. La rivista usciva la domenica mattina. Edo era a letto. Ero sceso in strada nel freddo, tutto preso dal desiderio di leggere i miei primi versicoli all’aperto, sulla panchina del parco. Non avevo neppure mangiato. Avevo comprato ben quattro riviste, cercando un luogo appartato dove potermi godere l’incanto del loro profumo di nuovo, nel freddo del mattino, prima di aprirle. La panchina del parco era avvolta dalla nebbia. Era presto, non c’era un’anima in giro. L’edicolante aveva appena aperto il suo chiosco rosso. La prima rivista era già calda e io la sfogliavo come un bambino, aspettando di vedere comparire il mio nome e il mio cognome, che intanto non arrivavano, si facevano attendere, o ero io troppo maldestro per la foga di leggere. Allora ritornavo indietro, cominciando ad innervosirmi, a tal punto da prendere un’altra rivista, con l’idea che la prima fosse difettosa, pensando a un errore di stampa anomalo, mentre affinavo l’occhio freddo nella scorsa, trovando il suo piccolo Edo, piccolo e grasso, come il manico di un coltello da sub sotto i titoli precisi delle mie liriche, maledizione a lui! Le sue tre lettere infernali firmavano tutti i miei versi.

«Rimasi paralizzato sulla panchina per circa un’ora, senza respiro, mentre la nebbia si dissolveva insieme alle mie speranze e ai miei desideri. L’aria cominciava a riscaldarsi. Si intravedevano i raggi del sole tra i rami degli alberi, ma non più nella mia anima. Non riuscivo a capire il senso dell’inganno o del tragico errore, ma forse non era un errore, mi dicevo, ma un tremendo  complotto. Certo, non poteva essere che quello. E adesso cosa fare? Correre disperato dal direttore? Oppure svegliare Edo con una coltellata in fondo al cuore? 

 Â«Non resistetti, dovevo affrontare con fermezza e lucidità la situazione. Mi precipitai a casa di Edo, ma lui non c’era più. Era completamente svanito, dissolto nel nulla, miei cari amici.»

Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno


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