Del prato di casa

Serie: L'Urlo Muto delle Ombre


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Racconto auto conclusivo della raccolta "L'urlo muto delle ombre"

“Dammi una lametta che mi taglio le vene...”

Donatella Rettore

Mentre spalmava la schiuma da barba sulle guance, Phillip pensava a cosa avrebbero potuto ordinare per cena. Non tanto per l’indecisione riguardo alla scelta tra carne e pesce ma perché, con la rata del mutuo in scadenza, il loro budget si riduceva a sessantacinque dollari. Ed era solo il ventotto marzo. Come avrebbero fatto ad arrivare a fine mese, non lo sapeva.

“Ci sei?” civettò sua moglie, un tantino seccata, dalla camera da letto. Lui alzò lo sguardo, guardando nello specchio l’immagine di lei che a sua volta si guardava in quello del comò, in un gioco di riflessi da dare il mal di testa. Notò che si era messa il vestito lungo di seta; dal collo le pendeva l’amuleto d’oro e al polso luccicavano i braccialetti d’argento.

E ora chi glielo dice che non possiamo permetterci più di un piatto di spaghetti?

“Dammi un secondo” rispose, controllando di aver coperto tutta la superficie da rasare con la schiuma. Afferrò il rasoio, lo sciacquò sotto al rubinetto e restò un istante imbambolato, ammirandone la lama affilata come uno strumento chirurgico.

“Amore” disse mentre iniziava a spuntare la peluria appena sopra il pomo d’Adamo, pochi millimetri alla volta.

“Sì?”

“Vedo che ti sei vestita bene.”

“Come dovrei vestirmi?” ribatté lei frugando nella borsetta in cerca di qualcosa. Poi si fermò, e rimase a contemplarlo con la borsa in mano. Lui la vedeva dallo specchio, in piedi alle sue spalle oltre la soglia del bagno.

“Cosa vorresti dire?” aggiunse stizzita.

“Tesoro” replicò lui pazientemente, notando con la coda dell’occhio un rigonfiamento lungo il suo collo, che partiva dalla spalla continuando fin dietro l’orecchio sinistro.

“Tesoro cosa?” gracchiò, la bocca contorta in una smorfia di disapprovazione.

“Io pensavo di uscire per una pizza, o al cinese. Oppure, da Mill’s-”

“Ah, ho capito. Vuoi portarmi all’osteria” sbottò, e si voltò mostrandogli le spalle.

“Tesoro…”

“No! No, va benissimo” disse sbottonandosi il vestito. “Io adoro lo stufato di Mill’s.”

Calò il silenzio. Phillip aveva rasato tutta la superficie sotto alla mascella, e ora stava procedendo con il mento, partendo dal ciuffo di peli che spuntava nell’incavo sotto al labbro inferiore. La vena sul collo si era gonfiata ancora un po’. In quella quiete forzata, il fruscio metallico della lama che scorreva sulla pelle nuda risuonava come un clangore assordante.

“Per le ferie cos’hai deciso?”

“Ah cazzo…” mormorò Phillip. “Me ne sono dimenticato.”

“Ma certo. Quest’anno andrà a finire che ce ne staremo qui a casa. Che problema c’è?

“Anche se fosse? Per me il bello delle vacanze è leggere romanzi senza preoccuparmi del lavoro.”

“E la sabbia e il sole ti sarebbero d’intralcio, vero tesoruccio?” cantilenò lei.

“Non ho detto questo” rispose lui laconico.

“Ti sarai perso a leggere quel King vattelapesca” disse lei ignorandolo. “Ma va bene così, ai miei bisogni d’ora in poi ci penserò io.”

In realtà, quel pomeriggio non aveva letto nemmeno una pagina di Misery (cosa che avrebbe fatto molto volentieri), avendo perso più di un ora tra una decina di telefonate ai vari uffici della società dell’energia elettrica. Quando alla fine aveva ricevuto per mail la comunicazione di conferma della rateazione di tutte le bollette arretrate, era troppo stanco per leggere.

“Domenica prossima è il compleanno di mia madre.”

“Falle gli auguri da parte mia” fu la risposta lei distratta.

“Dà una festa.”

“Spero che si diverta” disse voltandosi verso di lui e distogliendo subito lo sguardo. Phillip intravide nello specchio, per un breve momento, un sorrisetto falso stampatole sulla faccia. Chiuse gli occhi e inspirò profondamente mentre la lama del rasoio scendeva lungo la guancia sinistra, raccogliendo sul suo filo tutta la schiuma che si accumulava, e tracciando un confine perfetto tra il rosa della sua pelle e il bianco dello strato di schiuma ancora intatta. Nella sua testa iniziò a dipanarsi un palpitio dal tono basso e per lo più costante, sebbene talvolta sembrasse accelerare, per poi rallentare e riprendere dopo un po’, a intervalli che potevano corrispondere benissimo al suo umore. Era la vena che pulsava, e ora si era gonfiata decisamente più del normale.

“Pensavo che le farebbe piacere una nostra visita.”

“E perché mai? Hai dimenticato il biberon a casa sua?” rispose completando il quadretto con un’altra risatina intrisa di disprezzo. Phillip incassò il colpo e continuò a fare quel che stava facendo. Ci era riuscito per cinque anni, e…

(Sicuro, Phillip, di riuscirci per altri, che ne so, magari cinquant’anni?)

Certo che ci riuscirò, pensò.

(Tu dici? Va bene, Phillip. E siano altri cinquant’anni di nozze felici!)

Ora Wilma si era trasferita in soggiorno, e lui era da solo in bagno. La guancia destra era una distesa di pelle rosea, liscia come quella di un bambino. Era a metà della sinistra, quando gli tornarono alla mente una serie di parole pronunciate da sua moglie.

Sessant’anni per dimostrarne quindici. Meno male che ti ho portato via da quella donna!

Non è il momento di crescere, Phillip caro?

E quella volta che aveva gettato l’edizione in copertina rigida a caratteri dorati di Christmas Carol nel fuoco del camino!

Chiuse gli occhi e ascoltò. Nella sua testa qualcuno si stava esercitando a suonare i timpani.

Tum… Tum… Tum…

Era convinto di distinguere, tra un battito e l’altro, lo scorrere del sangue nella vena del collo, come quando d’estate apriva il rubinetto e si faceva sentire il fruscio dell’acqua sotto pressione. Aprì gli occhi. La vena era affiorata al punto che il rilievo gettava sul suo collo un’ombra di qualche millimetro.

Fissò la schiuma raccolta sulla lama del rasoio. Con la punta dell’indice ne raccolse un po’. Se la spalmò sul lato sinistro del collo per il lungo. Avvicinò il rasoio al collo e lo appoggiò sulla pelle appena sotto all’orecchio.

Forse, da molto lontano Wilma disse qualcosa. Applicò una leggera pressione con la lama, spingendola delicatamente verso il basso.

Quel fruscio metallico sommesso tornò ad attirare la sua attenzione. E il pulsare nella sua testa, a ritmo crescente era come un richiamo.

Un invito a qualcosa che era dolce come il miele, profumato come le margherite.

Del prato di casa.

Serie: L'Urlo Muto delle Ombre


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Discussioni

  1. Sono rimasta colpita dalla moglie. Inizia col “civettare”, dopo un paio di battute si trova a “gracchiare” fino alla terribile battuta sul biberon! Questa escalation del personaggio mi è piaciuta tantissimo, mentre il rasoio è sempre lì, spaventosamente vicinao alla gola, e i pensieri si insinuano come fanno le lame nella carne, per l’appunto…sempre davvero molto bravo Nicola. Ottima fine di serie!

  2. Inizia con la schiuma da barba e termina con la schiuma da barba… quindi pochissimi minuti per raccontare una vita! Quella che è e quella che avrebbe potuto essere e quella che forse sarà… Bravo Nicola!

    1. Grazie Antonio!
      Esatto, si tratta di uno scorcio di una vita che inizia già da molto prima e sicuramente non finisce con il racconto (forse), ma si vede comunque tutto quello che c’è di importante 🙂

      1. Come un fermo immagine in un film… un “fotogramma sospeso” (tecnica molto usata da Guy Bourdin – fotografo) che ci obbliga a domandarci come si sia arrivati a questo punto e cosa succederà dopo.

  3. Quel King Vattelapesca esercita inevitabilmente un grande fascino e ci mette sempre lo zampino. Un racconto davvero ben riuscito con questa sorta di ansia crescente che si avverte fin dall’istante in cui lui maneggia la lametta da barba. Ottima la scelta di esplicitare i suoi pensieri, quelli che comandano e manovrano, bussano forte e vogliono uscire dalla testa e farsi gesti.
    Mi sono ricordata anche della famosa scena nel film ‘Il colore viola’ con la stessa lametta che va su e giù lungo quel collo e tu, spettatore, lì a guardare per vedere come va a finire.