
Depositario
Ma che stiamo qui a dire? Tutto quello che ci frulla per la testa non รจ che una miscellanea di scorie. La singolare percezione che ciascuno pensa ovvia รจ solo tracotanza di sedizione, mercanzia della puerile superficie trattata al miglior prezzo dalla coscienza, incapacitร subdola di prestare attenzione al vero significato delle contingenze. Che, poi, del senso estremo non ci rimane che un freddo rumore di fondo, un ronzio allโorecchio che stona come un diapason appassito. Signori, signori, si scende! Ultima spiaggia, ultimo approdo: tra lโaltro senza palme nรฉ belle ragazze. Un calore ruggente morde la cute fino a suggerci il sangue come un cocktail da una cannuccia.
Eppure mi sento depositario. Oggi รจ morto un altro fratello. Adelmo, il piรน forte di tutti, quello che si dice se la ridesse ogni volta che la madre lo frustava con le ortiche quando rincasava tardi perchรฉ sโera strasudato a caccia di uccelli e serpi tra le ripe del torrente. Lo chiamavano Ciaccarone: era senza dubbio il piรน forte. Pensa che, da giovane, in barba ad una scommessa, sโera messo sulle spalle un asino con tutto il suo carico di legname: lโasino ragliava atterrito da quellโequilibrio precario che avrebbe fatto girare la testa allโetoile del Bolshoi. E quellโaltra volta che un vitello lo caricรฒ a pieno petto a causa delle sue goffe provocazioni ed egli ebbe ad assestargli un gancio a volo sulla mandibola che lโanimale lo fissรฒ stupito, poi si piegรฒ sulle zampe e cadde secco sul lato sollevando una nuvola di polvere come un gladiatore spianato nellโarena. Bello era bello Adelmoโฆ ma che cโentra? Vedi, come al solito ti trastulli sullโaltalena dei pensieri, non รจ di lui che si voleva dire. Tu sei depositario di altre memorieโฆ era lโaltro fratello, quello la cui vita manco la trama di un film! Per lo stoppino di un cerogeno! Ora non ricordo come si chiamava. Sรฌ lui, proprio lui, morto di cancro diversi anni fa. Ma certo! Vittorio, si chiamava Vittorio.
In famiglia si parlava di lassรน, di quella notte nel fango, della corrente che lo aveva inghiottito. Per salvarsi sโera aggrappato a qualsiasi cosa galleggiasse sulla mota: mobili fracassati, frammenti di case, travi divelte, alberi sradicati, automobili che sembravano pesci giganti. Sรฌ, perchรฉ lassรน lui aveva costruito la sua bella cornice.
Che poi Longarone รจ un posto da favola per uno che viene dal Molise e che ha visitato le anticamere dellโinferno. Davvero il paradiso in terra per Vittorio che accarezza ogni mattone prima di montare la sua bella cornice. La moglie cucina e rassetta e stira le camice. Egli respira, la partita alla radio sembra una musica celestiale. Da qualche giorno suo figlio cammina. Ha gli occhi divini e i capelli fulvi del nonno. Gli ha comprato un paio di scarpe nuove, quelle lucide allacciate davanti. Strano, adesso che la voragine si sta spalancando da quella fottuta diga, gli sembra di tornare indietro, di vedere farfalle ducali giocherellare sopra pozze azzurrognole e libellule fluorescenti saettare a pelo dโacqua prima di tuffarsi nella cascata.
Tutto รจ cassato dal fragore. Tutto รจ cassato dal silenzio. Tutto รจ mai esistito! E lascia stare che avevi una moglie, che lui era solo un bambino, lascia stare che era tuo figlio, lascia stare che loro erano tutto: tutto per noi esseri umani รจ sempre qualcosa che inizia e finisce. Di certo devi ritenerti fortunato, sopravvivere a chilometri e chilometri di diversa morte grazie allโassurda fatalitร di non aver sbattuto il cranio su un cazzo qualsiasi. Altro che vincere al lotto. Probabilitร di vittoria prossime allo zero. Questione di coincidenze: una risultanza della legge del caos.
– Ma a me, a me, non a caso, mi avevano battezzato Vittorio. Io la vittoria ce lโavevo nel sangue. Reset, si riparte! Legione Straniera! Sveglia, animale, sveglia! Chiudi la bocca e raccogli il fucile. La levataccia era il preludio alla carezza del deserto. Cosรฌ la chiamavamo noi riservisti: la carezza del deserto, quella meraviglia talmente subdola che ti accarezzava lโanima prima di conficcarsi nel cervello e paralizzarti il midollo. Arrivava puntuale dopo quattro ore di marcia quando sapevi che ce ne volevano altre otto prima di raggiungere il prossimo stazionamento. Due larve purulenti al posto dei piedi, la sahariana increspata che era diventata una corazza, il berretto appeso alle tempie peggio di un elmetto della grande guerra, il fucile infossato nelle dune. Ad ogni passo bisognava estrarlo. Avresti voluto lanciarlo il piรน lontano possibile ma sapevi che sarebbe stata la fine in caso di attacco del popolo blu. E arrivarono per davvero i berberi con i loro magnifici cammelli. Gridavano salmi al dio della guerra. Le sciabole fendevano lโaria. Si divertivano come nel cerchio di un circo a mozzare le nostre teste. Allโennesimo assalto mi lasciai in avanti. Un colpo sordo alla nuca mi spense la luce. Quando mi risvegliai il paesaggio era inspiegabilmente mutato: un disco sanguigno roteava tra palmizi e case dโargilla. Alcuni cammellieri sillabavano frasi melliflue.
Michele, il piรน piccolo dei fratelli, lo recuperรฒ in un albergo sul lungotevere. Del suo rientro in Italia era stato allertato dai carabinieri della stazione di Sepino. Si fece capace che era lui dalla bruciatura sul braccio che sโera procurato da piccolo cadendo nel camino. Dormiva con la pistola sul comodino.
– Vittรฒ, ma che fine hai fatto? Ti riconosco a mala pena. Cโhai sta barba longa! E sti fanali neri da cecato. Accussรฌ vestuto mi sembri nโattore! Tranquillo Vittรฒ, domani ce ne torniamo a casa.
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