
Di ciò che resta
Serie: Uomini
- Episodio 1: 1. La Zona Grigia
- Episodio 2: 2. L’uomo che non piange mai
- Episodio 3: Di ciò che resta
- Episodio 4: Venerdì
STAGIONE 1
Di ciò che resta
Mio padre è morto e nessuno ha detto che era un uomo buono. Neppure io.
Non perché non lo fosse, ma perché certe parole calzano male su chi se n’è andato.
Non era stato buono, ma nemmeno cattivo. Era stato padre a modo suo: silenzioso, concreto, con mani larghe e voce roca da fumatore. Ma sotto quella scorza scura, in certi sguardi evitati e in ogni gesto brusco, io ricordo sempre un affetto ruvido, simile a quei maglioni di lana che graffiano ma scaldano.
L’odore della sua officina mi è rimasto addosso come una seconda pelle: olio bruciato, ferro arroventato, sigarette “nazionali”.
Da bambino ci sgattaiolavo dentro, cercando di non calpestare le chiazze d’unto. Lui fingeva di non vedermi, ma lasciava cadere apposta un bullone, e io correvo a raccoglierlo. Era il suo modo di dirmi: resta.
Dopo il funerale, la casa è diventata muta.
Mia madre si muove leggera, in pantofole, col rosario tra le dita. Io trascorro le giornate nel garage, seduto sullo sgabello dove lui, ogni sera, si toglieva le scarpe. Guardo quel disordine con occhi nuovi, come se per la prima volta mi fosse chiesto di dargli un senso.
Aveva messo da parte ogni cosa: viti, bulloni, caricabatterie di telefoni estinti, libretti di moto di quarant’anni fa, guarnizioni, fotografie sbiadite, lettere mai spedite. Ogni oggetto pareva dire:
«Aspetta. Non adesso.»
Ho iniziato lo stesso a mettere via.
Un oggetto dopo l’altro, con la stessa lentezza con cui si ripiega un dolore.
Piego la giacca di pelle — quella consunta ai gomiti, con l’odore di benzina e nebbia — e la ripongo in una scatola. Era la sua corazza.
Apro il portafoglio: dentro, una foto mia da bambino, diecimila lire, un biglietto del tram, un santino di San Cristoforo.
Faccio tintinnare le chiavi della moto una sola volta, poi le lascio cadere nel cassetto.
Chiudo piano.
Continuo a mettere in ordine e più ripongo oggetti e ricordi nelle scatole, più lui sembra restare.
Resto fuori nel cortile a fumare una sigaretta. Lì, a sedici anni, ho vomitato la mia prima sbornia, mentre lui, appoggiato alla ringhiera, rideva con quella voce roca e rotta.
Lì quasi ci prendemmo a pugni — io per una ragazza, lui per orgoglio — poi rimanemmo seduti, fianco a fianco, a guardare le stelle.
«Non serve parlarne» disse. «Tanto già lo sai.»
Lo sapevo.
Lo so ancora.
Certe cose non si mettono via. Non per ostinazione, ma per necessità.
La sua scrittura storta sul libretto dei tagliandi.
Il modo in cui apriva le bottiglie con il coltellino.
Le bestemmie sottovoce, quando il Bologna perdeva.
L’odore delle dita, sempre nere di grasso, anche a Natale.
E la sua assenza, così ingombrante da sembrarmi una presenza.
Stamattina, in fondo a un cassetto, ho trovato una lettera.
C’è il mio nome sulla busta.
La apro con le mani che tremano. La leggo ad alta voce, come se lui fosse ancora seduto accanto a me.
«Figlio mio,
so che un giorno non ci sarò più, e forse ti resterà più rabbia che tenerezza. Ma ogni cosa che non ti ho detto, l’ho pensata. Ogni volta che ti ho fatto aspettare, era solo perché non sapevo come starti vicino.
La vita m’ha insegnato a tacere, a camminare diritto anche con le scarpe rotte.
Tu, non fare come me.
Parla. Abbraccia. Sbaglia.
Ama finché puoi.
E se sentirai il bisogno di mettere via qualcosa, fallo.
Ma non tutto.
Tieniti almeno una cosa che faccia ancora un po’ male.
Così non dimentichi che sei vivo.»
Leggo, rileggo.
Non piango. Non parlo.
Ma qualcosa si sposta dentro.
Scendo in garage.
La moto è là, come sempre.
Sollevo il telo grigio.
Accarezzo il serbatoio. La pelle del sellino è rigida, la vernice opaca.
Controllo l’olio, la batteria, il serbatoio.
È tutto in ordine. Come se mi aspettasse.
Mi ci siedo sopra.
L’odore è lo stesso: benzina, cuoio, vita non detta.
Giro la chiave.
Un colpo secco. Il motore ruggisce.
Non ho mai messo via, mio padre.
E forse, alla fine, non devo.
Serie: Uomini
- Episodio 1: 1. La Zona Grigia
- Episodio 2: 2. L’uomo che non piange mai
- Episodio 3: Di ciò che resta
- Episodio 4: Venerdì
Mi hai fatto venire in mente la canzone di Ligabue “Ho messo via”. Dai tuoi brani emergono spesso amarezza e solitudine, ma qui no. Ho sentito l’affetto di un padre per un figlio, due personaggi maschili che, forse, non sono stati capaci di esprimersi molto a parole, ma sono riusciti lo stesso ad esserci l’uno per l’altro. Molto bello, dal titolo al finale.
Un bel brano. Riporta a un tempo in cui i genitori insegnavano senza spiegare, ma vivendo la loro vita come un esempio, che non era necessariamente virtuoso, ma di sicuro unico, personale. E’ toccante, ma non svenevole, e il tono è compassato. La lettera, per così dire, una sorta di ravvedimento; è un elemento interessante, ma mi lascia un po’ dubbioso dal punto di vista della coerenza caratteriale. Parere personalissimo, ovviamente. Grazie per la lettura
Lasciati dire, Rocco, che questo è proprio un pezzo da maestro, da leggere in silenzio
Grazie per aver letto.
Un racconto (o forse ricordo) che non è tenero né dolce. Non è nemmeno commovente. È tutto e il contrario di tutto. È quello che è successo o succederà a ciascuno di noi e soprattutto è già successo.
Il rapporto genitore-figlio è argomento delicato, qualunque sia la parte dove stai. La fortuna è che da qualche parte ci stai sempre e prima o poi i conti li devi fare. Che poi, alla fine, sono più che altro conti fatti con noi stessi. Mi piace lo stile più asciutto e duro nei punti in cui qualcosa dovrebbe incrinarsi. Davvero bello.
Grazie per il tuo commento. E’ un racconto ispirato dall’esperienza personale della perdita di una persona cara.
Mi piacciono i racconti che esprimono sentimenti, che scavano in profondità nell’ intimo delle persone, facendo affiorare ció che si riflette nei rapporti umani, mostrando gli aspetti positivi, senza cadere nella dolcezza stucchevole e scoprendo, in questo caso, il lato tenero e fragile di un uomo, un padre, tenuto nascosto dietro la scorza.
Grazie per aver letto e commentato.