Dialogo sotto le stelle

Serie: Famiglie


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Federico ha partecipato a una spedizione spelologica

Mi sedetti su una panchina all’esterno, sotto il portico, l’aria era pungente ma tersa, e la notte era sospesa, immobile. Poco dopo, uscì anche Andreucci e si sedette accanto a me, senza dire nulla per qualche minuto.

Poi, sorridendo, disse: «Belle giornate, eh?»

Io annuii e risposi: «Indimenticabili».

Lui prese una manciata di ghiaia da terra e la lasciò scorrere tra le dita, poi disse: «Mi ero dimenticato quanto mi facessero bene queste notti così vere e spensierate».

Sorrisi e risposi: «Già».

Rimanemmo in silenzio ancora un po’, godendoci la quiete, poi lui si sfregò le mani, guardò il cielo e disse: «Sai, queste stelle così chiare le vedevo uguali quando ero ragazzo e amavo bivaccare in alta montagna. Non ci pensavo più da un sacco».

Io lo guardai e dissi: «Certo che tu ne hai di cose da raccontare, oggi quella storia dell’attraversamento del sifone sembrava un romanzo d’avventura».

«Mah, sarà che con l’età si diventa più chiacchieroni. Mi toccherà pubblicare un libro prima o poi », disse con una smorfia ironica.

«Lo leggerei volentieri» replicai, e per un momento ci scambiammo un sorriso silenzioso.

Fu quel tono colloquiale che si era creato fra noi a farmi venire spontanea una domanda che avevo da giorni: «Toglimi una curiosità Stefano, perché hai deciso di lasciare un’Università prestigiosa come Bologna per tornare nelle Marche?»

Lui sorrise e rispose: «Me lo hanno chiesto in molti e hai ragione lasciare un’Università importante è stato un passo su cui ho riflettuto molto. Però mi mancava il mio paese, volevo tornare nella casa di famiglia e poi sia la ricerca che l’attività speleo posso portarle avanti benissimo anche dalle Marche».

Io annuii e dissi: «Il tuo discorso dell’altro giorno mi ha colpito molto. Ho sempre pensato alle nostre esplorazioni o alle nostre uscite come a prestazioni sportive e non avevo mai pensato che potessero avere un senso più profondo».

Lui sorrise, quasi con tenerezza e poi disse: «È normale, quando si è giovani ci si concentra sul gesto, sulla fatica, sul superare un limite. Poi, piano piano, inizi a vedere anche dell’altro. Tutte le pareti, le stratificazioni e i depositi minerali che ammiriamo quando siamo in grotta ci danno informazioni su un’epoca, una trasformazione climatica, un evento geologico, una modifica del territorio e conoscere queste cose può aiutarci a rispondere a domande importanti, alcune che addirittura ancora non abbiamo formulato”.

Rimasi in silenzio qualche secondo poi dissi: «Sai, Stefano, tante volte mi chiedo il senso del mio lavoro, mentre dalle tue parole traspare uno scopo profondo».

Lui mi guardò con occhi attenti, e rispose: «E’ proprio così: i dati che raccolgo, la ricerca scientifica, le esplorazioni, mi entusiasmano perché anche fra mille imprecisioni e insuccessi sento dentro di me che queste sono le attività più nobili dell’essere umano. E poi comunque tante di queste indagini potranno contribuire un giorno al miglioramento della nostra vita. In entrambi i casi ho la sensazione che il mio lavoro sia un tassello importante».

Rimanemmo ancora un po’ seduti, mentre dal rifugio ci raggiungevano le note lontane di una canzone.

Poi Stefano si alzò e, battendomi una mano sulla spalla, disse: «Andiamo a festeggiare anche noi, dai che domani è già ora di ripartire. Domani sarà un altro giorno. E un altro pozzo da scendere».

Sorrisi, mi alzai e lo seguii, pensando alle sue parole e per qualche istante mi sembrò di essere vicino a capire il senso di vuoto che ogni tanto provavo sul lavoro.

Ad aprile arrivò la notizia che attendevamo e che mi fece mettere da parte, almeno temporaneamente, le mie inquietudini: era nato il bambino di Carlo e Paola. Quando lui mi chiamò per dirmelo mi congratulai con calore e percepii nella sua voce un misto di felicità e stanchezza.

«È una sensazione incredibile, Fede. Non pensavo che sarebbe stato così travolgente. È come se tutto il resto fosse improvvisamente diventato secondario.»

«Lo so, ci siamo passati anche noi. È un cambiamento enorme, ma vedrai, ogni giorno sarà sempre più bello. Anche se all’inizio è un bel terremoto.»

Carlo rise e disse: «Sì, il sonno è già un ricordo lontano. Ma Paola è felice, e questo mi basta. Però continua a farmi un po’ paura tutto questo, la sento come una responsabilità enorme».

«Lo è, ma ne vale la pena. E poi, Carlo, tu non hai mai avuto paura delle responsabilità. Sei sempre stato quello con i grandi sogni, quello che affrontava tutto con entusiasmo.»

Ci fu un attimo di silenzio dall’altra parte della linea, poi Carlo rispose con un tono più serio: «Forse sono cambiato più di quanto pensassi, Fede, ora ho tante insicurezze. Ma in questo momento non riesco a pensare a nient’altro che a lui».

Chiudemmo la chiamata con la promessa di sentirci presto. Ripensando alle sue parole, capii che anche lui, come me, stava cercando di capire quale fosse il posto giusto nel mondo e mi sembrava che nessuno di noi due avesse ancora trovato una risposta.

Continua...

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