Diario del Viaggiatore Inesistente

È dove il tempo si piega e lo spazio si muove velocissimo.

Ci sono luoghi dove il silenzio non è assenza di suono, ma presenza assoluta di verità. 

 

Mi ero spinto lontano, ancora una volta. Troppo lontano per ricordare perché fossi partito davvero. Avevo abbandonato la città all’alba, quando il mondo ancora dorme e nessuno ti chiede spiegazioni. Non portavo con me che un fornello da campo, una tazza, un cucchiaio e qualche pagina strappata da un libro sulla teoria delle stringhe. Nulla di utile, ma tutto necessario.

Raggiunsi il fiume dopo ore di cammino cieco, con il sole a colpirmi in faccia come un dio impaziente. Mi sedetti sulla riva, tentando con una mano di difendermi da quei raggi laceranti. L’ombra degli alberi filtrava la luce, ma non la sua intenzione. Si infilava tra le foglie, mi cercava, mi traforava. Alla fine, mi arresi e mi ritirai sotto una fronda più fitta, un luogo di mezzo tra ciò che ero e ciò che restava del mondo.

Posai il fornello con lentezza, come si posa un oggetto sacro su un altare. Lo accesi. L’acqua iniziò a bollire con un suono che sembrava provenire da un altro tempo. Una lucertola comparve tra le rocce, si arrestò a pochi centimetri da me. Mi guardò. Lo fece davvero. Poi scomparve, senza rumore, come un presagio.

Mescolai il brodo verde nella tazza. Nella superficie, la spirale iniziò a danzare. Un vortice che risucchiava luce e pensiero, memoria e intenzione. Pronunciai a voce bassa una frase che non avevo mai detto ad alta voce: «Liberami dal male.»

 

Non sapevo da quale, ma sentivo che mi stava mangiando dall’interno. Forse non era un male personale. Forse era quello del mondo che avevo ingerito per anni.

Continuavo a fissare la spirale. In quel moto ipnotico vidi un universo. O forse l’Universo. Undici dimensioni che vibravano come le corde di una chitarra invisibile. Tutto era uguale a tutto: il DNA e le galassie, il cuore e il buco nero.

«Tutto è luce», con sussurro, e mi corressi subito: «Tutto è percezione della luce. Il resto è buio che finge di essere qualcos’altro.»

Avevo letto che il buio non esiste. È solo luce non interpretata. Ed è il nostro cervello a colorare la materia oscura, a dare un nome al nulla.

Ecco il nodo: non ero io a pensare. I pensieri mi abitavano, ma non mi appartenevano. Come api entrate da una finestra aperta. I pensieri sono quelli che assorbo dall’esterno, dal mondo che resta di voi.

L’Io era un’illusione utile. L’Ego, un pilota automatico impazzito. Bisognava fermarlo. Arrestare il pensiero. Svuotare il contenuto e guardare il recipiente.

Riuscite a percepire cosa c’è prima dei vostri pensieri?

Io sì. Ed è lì che ho visto la verità.

Il mondo si congelò. Fui spettatore di me stesso. Un corpo immobile, vestito da esploratore, con il sole sulle spalle e il fiume che non scorreva più.

La lucertola. La tazza. Il brodo.

Tutto era immobile.

Poi, venni risucchiato. Un’aspirazione cosmica. Non i pensieri, ma la fonte che li genera veniva trascinata indietro. Prima del tempo. Prima dello spazio.

Fu lì che compresi: non siamo individui, siamo un’onda comune che ha dimenticato il suo stesso mare.

Il suono eterno – AUM – iniziò a risuonare dentro la mia testa. E non proveniva da fuori. Ero io. Ero io che suonavo.

L’universo era la mia tazza di thé.

Sorsi.

La luce mi colpì di nuovo. Il fiume tornò a fluire.

Il mondo ricominciò.

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Discussioni

  1. Ciao Andrea. Letto con molto interesse. Lo interpreto come una profonda analisi introspettiva, una discesa dentro di sé alla ricerca dell’anima. Fino alla risaluta che restituisce un Io totalmente diverso.