Dolore 

Il dolore è un’arma a doppio taglio: in una prima fase ti indebolisce, ti trafigge completamente, mentre, nella seconda ne prendi consapevolezza rimanendo neutro.

Non so descrivere quello che sento, ma so che non è normale, né comprensibile.

La mattina mi alzo quasi allegra, è solo un momento perché passa all’istante. Inizio a pensare se alzarsi abbia un senso, se ogni giornata che trascorro serve a qualcosa. Perché mi addormento e mi sveglio con il vuoto nello stomaco?

I miei neuroni elaborano tante domande, un po’ insensate, ma hanno bisogno di risposte. E dove le trovo? Non lo so, è tutta la vita che le cerco. Ogni giorno combatto con questi piccoli demoni e cerco di mandarli via. Poi costruisco un sorriso ormai automatico da sostituire sulla faccia. Un po’ come i burattini, forzati e comandati. È così che mi sento, forzata, quasi un’abitudine nello svolgere le attività di ogni giorno. Ripetere le stesse cose, come un loop infinito. A volte mi annoiano anche. Sono stanca, voglio dormire , così mi sveglio in un posto migliore, e i pensieri se ne vanno. Solo in questo modo riesco a zittirli. Ma non è nulla di grave, sono solo piccole vocine insignificanti che urlano nella mia testa. Dopotutto le giornate non sono così male. La mattina è difficile per tutti, chi non vuole restare a dormire sotto le coperte calde ed ignorare la sveglia?

Io però amavo svegliarmi presto. Alzarmi di buon umore e abbracciare il mondo. Uscire e passeggiare sotto il gelo di dicembre la mattina presto, il venticello fresco che ti arrossisce il naso e la punta delle orecchie. Ora invece, voglio restare sotto il piumone caldo, il mondo non lo voglio sentire, voglio stare da sola mentre gli altri si divertono. Sono solo cose banali, le abitudini cambiano.

La sera però, mi tormenta sempre. Combatto con l’insonnia e qualche incubo. Mi ripiego su me stessa nel letto, nel petto sento una bomba ad orologeria che sta per esplodere, mentre soffoco le urla nel cuscino. Altre volte le rinchiudo nella testa e li sento impazzire, mi maledicono. Mi fa male, ma non so come mandarlo via. Piango fino alla disperazione, finché crollo e mi risveglio il giorno dopo come se nulla fosse. Osservo il mio riflesso nello specchio e vedo il dolore che mi mangia, che mi risucchia piano piano. Non so come mandarlo via.

Continuo a pensare a quanto il vissuto ferisca le persone, a tutto il dolore che provoca.

Perché esiste il dolore per chi ha la purezza dentro?

Perché tale dolore ci porta ad autodistruggerci?

Mentre rifletto su tali pensieri sono arrabbiata con me stessa, perché ne sono la causa, il portatore sano della malattia peggiore: il dolore. Perdo la ragione perché mi fanno impazzire, iniziano a tremarmi le mani mentre la mia forza cede. Mi sento così debole. Perdo il controllo, un insignificante segno che ho oltrepassato la soglia del limite.

La parte peggiore però è che sono consapevole di tutto ciò, di voler chiedere aiuto. Lo griderei se potessi, ma ho le corde vocali spezzate e sono costretta a restare in silenzio.

Non voglio raccontare queste parole senza senso, non sono comprensibili, non mi capirebbero.

Infondo non è nulla di grave, gli altri stanno peggio, devo aiutare prima loro. Questo è ciò che continuo a ripetermi, un errore imperdonabile. Come faccio ad aiutare gli altri se cado sempre?

La cura perfetta sarebbe un abbraccio ogni ora, un bacio sulla fronte e il sentimento surreale del sentirsi amati. Ma chi è disposto a ciò, ad eliminare e combattere con te il mostro che ti divora?

Io però continuo a rimanere in silenzio, non voglio spogliare questo dolore. Inizio a costruire, mattone su mattone, un muro intorno a me, intrappolandomi al suo interno. Costruisco lentamente nella speranza che magari prima di cementare l’ultimo mattone qualcuno mi salvi. Ma è troppo tardi e mi ritrovo tra quattro pareti in uno spazio limitato, così stretto che ci soffoco, mi toglie il respiro.

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Discussioni

  1. Un racconto che mi tocca molto da vicino. Confrontarsi con questo scritto è difficile. Da un lato si godono le parole, il ritmo, la capacità di coinvolgere il lettore, dall’altro si è confrontati, impotenti, con un dramma personale. Grazie