Dove il tempo si spezza

Serie: Un destino (S)critto male


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Era chiaro che avevano bisogno del mio aiuto

«Nemmeno gli dèi dominano la Necessità.»

Simonide di Ceo

Roma non dorme mai davvero. Respira anche nelle ore più buie, quando l’oscurità sembra avvolgere ogni cosa.

Rimasi alla finestra per un lungo istante, rimuginando su quanto era accaduto in quei giorni.

L’appartamento di Clara si trovava nella parte più alta del quartiere di Monteverde, e da quel punto il mio sguardo dominava la città: una distesa di cupole e campanili. Vie che serpeggiavano tra piazze addormentate, sotto la luce tremula dei lampioni. I selciati irregolari custodivano ancora il calore del giorno; le ombre si allungavano sui muri screpolati come antichi spettatori riluttanti a lasciare il teatro.

Mi voltai verso di lei.

Dormiva.

Potevo scorgere i suoi sogni, o meglio, l’incubo che la tormentava da giorni: il volto di Hyun-woo, la sua voce sorpresa, l’attimo in cui lei inciampava davanti a lui. Il boato sordo delle risate del mondo. Milioni di occhi. Milioni di dita puntate. Milioni di voci, tutte contro.

Sotto le palpebre, alcune lacrime si agitarono e dopo una breve resistenza scesero silenziose lungo le guance. «Lasciatemi in pace» sussurrò.

Le sfiorai il capo, e la sua veglia si trasformò in un sonno ristoratore.

«Lachesi, hai un talento naturale nel tessere trame distorte. Dev’essere l’unica arte che padroneggi» mormorai a denti stretti.

Strinsi i pugni fino a sentire le unghie penetrare nei palmi. In quel momento, non erano solo le moire a tormentarmi. Era la mia stessa impotenza. Quel retaggio divino che mi imponeva di osservare, mai di agire e la stupida promessa fatta a Calliope. Ma Clara era troppo importante per me.

Si trovava, ancora una volta, davanti a un sentiero impervio, e io la osservavo, combattuta tra ciò che volevo e ciò che avrei dovuto fare. La prima volta scelsi di non intervenire e affrontò il dolore da sola. Mi dimostrò di essere più forte di quanto avessi creduto. Ma ora, non ero sicura che ne sarebbe uscita vincitrice. Le forze in campo erano impari. E io non potevo restare in disparte.

Abbandonai la mia maschera mortale.

La pelle tornò a brillare di luce perlacea, e i miei capelli color ebano si sciolsero sulle spalle come una cascata sferzata dal vento. Gli occhi erano l’unica parte di me a tradire la natura divina: ampi, profondi, come Zeus li aveva voluti. Simili a quelli del cervo sacro, ma unici per visione. Con essi potevo sondare l’inesplorato, scorgere sogni non ancora nati e, volendo, trasformarli in realtà. Un’opzione che avevo sempre scartato, per timore delle conseguenze.

Ero conosciuta come la musa che ispirava i sogni, ma dimostrai quanto si sbagliavano.

Uscii dalla stanza senza fare rumore. Non avevo bisogno di scarpe: camminavo senza sfiorare il suolo. La porta si aprì, e scivolai nella notte.

Mi diressi verso il Parco degli Acquedotti, dove un piccolo uliveto sopravviveva tra i ruderi, dimenticato dagli uomini. Dodici alberi contorti, disposti in un cerchio perfetto. Li avevano piantati secoli fa, quando si sapeva che certi luoghi dovevano restare aperti al sacro.

Con me portavo tre artefatti. Ognuno custodiva un potere antico, e insieme avrebbero tessuto la mia ribellione. La Clessidra del Secondo Respiro, capace di piegare il tempo, mi avrebbe riportata al giorno prima dell’incidente. Con la Pluma di Eidós, forgiata in oro liquido, avrei riscritto il destino di Clara. E infine, lo Specchio di Nyx, che rifletteva ciò che avrebbe potuto essere, ma non era mai accaduto. Era il mio oracolo: mi mostrava la trama più giusta da seguire

Li posizionai al centro del cerchio. Poi mi chinai e iniziai a tracciare simboli sul suolo con le dita. Ogni segno era una parola non detta, un filo tagliato, un’ipotesi di futuro.

Di nuovo la voce dentro di me tornò ad ammonirmi: «Le Muse ispirano. Non agiscono.»

La zittii con il silenzio.

Quando tutto fu pronto, sollevai lo sguardo al cielo.

Il cerchio era chiuso. Il tempo, pronto a piegarsi.

«Cloto. Lachesi. Atropo. Ascoltate. Per orgoglio. Per vendetta. E per amore. Riscrivo il destino che con tanto accanimento avete stabilito per lei.»

Le mie mani si illuminarono di un bagliore lunare, e nell’aria cominciarono a formarsi anelli di energia, onde concentriche in un lago immobile. Una corrente invisibile si sollevò attorno a me. Le fronde degli ulivi tremarono, poi si piegarono tutte nella stessa direzione. Una tromba d’aria nacque al centro del cerchio. Non colpiva, non distruggeva. Mi avvolgeva, sollevando le foglie, i fili d’erba persino le pietre. Il mondo taceva. Solo l’aria ululava.

Una pergamena si materializzò davanti a me: sottile come nebbia, fragile come memoria. Era la vita di Clara, così com’era stata disposta dalle moire.

Inspirai.

La mia voce non era più mia. Vibrava, come se l’eco di tutte le muse avesse deciso di unirsi alla mia sfida. Pronunciai le parole che avrebbero decretato la mia scelta:

«Che gli errori diventino incontri. Che la vergogna diventi amore. Che il tempo si pieghi e obbedisca alla mia volontà.»

La clessidra iniziò a ruotare, una, due, tre volte. Poi si sollevò sopra di me. I granelli al suo interno non cadevano più: salivano.

Nella pergamena l’inchiostro cominciò a svanire, parola dopo parola. La storia di Clara si dissolveva come sabbia nel vento.

Nel frammento dello Specchio di Nyx, le immagini scorrevano rapide: futuri innumerevoli si accendevano e svanivano. A quel punto, la piuma si alzò da sola, come spinta da una volontà invisibile, e cominciò a scrivere.

Il cielo si fece più scuro e fu in quell’istante che Orione si spezzò. Il grande cacciatore celeste, colui che aveva osato sfidare gli dei, si frantumò nell’alto del firmamento. Le tre stelle della cintura tremarono. Una precipitò, fendendo l’oscurità come una ferita luminosa.

Non prestai attenzione a quel segnale. Il cielo mi stava parlando, ma io ero troppo presa dal mio intento.

Nel momento esatto in cui la stella svanì nel vuoto, la storia ricominciò. Avevo spezzato l’equilibrio. Riscritto ciò che doveva restare intatto. Sfidato le Tre.

E le Tre non dimenticano.

Al momento opportuno, mi avrebbero chiesto il conto.

Serie: Un destino (S)critto male


Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Fantasy

Discussioni

  1. Molto suggestive le descrizioni degli effetti provocato dal potere della musa, ma mi pare giusto che “le muse ispirino e non agiscano”.
    Meglio il libero arbitrio, compresa la libertà di sbagliare e di attraversare il dolore che aiuta a crescere.
    Molto bello anche l’incipit su Roma, con un lieve tono poetico.

    1. Luisa, sei un mito! Hai centrato il nocciolo della questione. La domanda che hai sollevato è, infatti, il punto da cui sono partita quando ho immaginato questa storia. L’avventura che i protagonisti affronteranno insieme non è altro che un viaggio per raccogliere dati, emozioni e riflessioni, tutti tasselli che porteranno alla risposta di quel cruciale interrogativo👏👏👏

      1. Ciao Tiziana, con questa serie di episodi, tra mitologia e mondo reale, hai sottinteso un quesito molto interessante che merita una attenta riflessione, nonostante appaia leggera e molto piacevole la narrazione.
        E per questo, come ho già scritto nel commento del primo episodio, mi piace. Leggerezza e profondità insieme, ben dosate, con uno stile di scrittura che scorre senza inciampi, sono indicative del valore di un’opera.

  2. Il testo che hai scritto è evocativo e ricco di atmosfera. La descrizione di Roma, con le sue ombre e i suoi monumenti che respirano, è poetica e coinvolgente. L’idea di una musa che decide di sfidare il destino è potente e ben sviluppata, con immagini suggestive (gli ulivi, gli artefatti, il vento che si solleva). Spero di leggere presto il seguito.