Due chiacchiere tra amici

Serie: L'eredità di Giacomo


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Ceres cena con Thomas e Jurgen e, prima di andarsene, lascia loro una boccetta...

Ero dispiaciuto che Ceres se ne fosse andato e Jűrgen se ne avvide subito.

«Cos’hai ragazzo?»

«Avrei voluto che restasse, chissà quando avremo un’altra occasione per parlarci.»

«Stai tranquillo che non passerà molto tempo, lui ama la Terra.»

«Da quanto lo conosci?»

«Da quasi quarant’anni. Pensa che nei primi esperimenti di laboratorio la sua presenza era solo un’onda sull’oscilloscopio, più un’intuizione che un segnale, ma qualche anno dopo la collaborazione di tuo padre ha dato una voce a Ceres. La nostra ostinazione, unita alla sua, ha sancito il successo del nostro lavoro. Più di quarant’anni di impegno e un risultato sorprendente che non possiamo pubblicizzare. Mi dispiace soprattutto che Herardt, il direttore del laboratorio, non possa avere quel riconoscimento che meritava già in vita, sarà sempre considerato un visionario e i suoi collaboratori, più o meno, degli idioti che hanno sprecato tempo e soldi. Siamo stati noi stessi, io e tre colleghi, a chiedere all’Istituto di chiudere il progetto di ricerca, abbiamo cancellato ogni traccia che porti al mondo delle anime lasciando solo le relazioni sulle malattie mentali con la speranza che possano servire a chi le studia col giusto intento. Ora è finita, finalmente.»

«Scusa se sono curioso, ma cosa ti ha spinto ad occuparti di ricerca in un settore che la scienza ufficiale guarda con scetticismo?»

«La morte della mia compagna. Eravamo felici e innamorati.» strizzò gli occhi, per mettere a fuoco quelle immagini che vedeva solo lui. «Io ero ben avviato nella libera professione e lei si stava laureando, poi avremmo messo su casa assieme nella verde periferia di Monaco, invece, una stupida caduta sulla neve di Garmisch ha messo fine ai nostri sogni. Mi era impossibile accettarlo e tentai di seguirla, ma mia madre mi trovò che respiravo ancora. Non tornai più quello di prima e, non riuscendo più ad ascoltare i miei pazienti, smisi di fare l’analista e accettai l’incarico di ricercatore all’Hochschűle Fresenius di Heidelberg dove era docente il Professor Herardt, da tutti considerato più pazzo dei soggetti che studiava. Un genio, a mio avviso, il primo a capire che, in molti casi, la malattia mentale non è ciò che sembra e che occorreva studiarla con un’altra ottica perché poteva dare delle risposte inaspettate. Io cercavo un appiglio per dare un senso a quanto accaduto e poter sopravvivere e, anche se non ho ritrovato la mia Hilde, la certezza di continuità dopo la morte mi ha restituito la pace.»

Quel suo raccontare mi fece conoscere uno Jűrgen giovane e sofferente e mi intristii al pensiero che troppe volte ci limitiamo a considerare, di una persona, solo ciò che vediamo, dimenticando che è sempre molto di più quello che non ci appare: il bagaglio di vissuto che spesso fa piegare le spalle e spegnere il sorriso.

«Poi ho conosciuto tuo padre e il resto, più o meno, lo conosci.»

«Ma no! Quello che so è ben poco, sia di te che di mio padre. So come vi siete conosciuti ma non so come siate arrivati a questa casa e perché la consideriate un posto speciale.»

«Qua tuo padre ci è arrivato per caso, forse. Ci abitava un vecchietto soprannominato “Tonimat”, cioè Antonio il matto. Giacomo era un buon alpinista e stava salendo al Cop con amici quando ha accusato un malore, guarda caso proprio sul sentiero qui davanti, portato in casa e sdraiato sul divano sembrava aver perso il senno: sentiva voci e aveva allucinazioni. Tutti erano spaventati tranne il padrone di casa, Tonimat, che quelle cose le aveva già provate e che, raccontandole, si era guadagnato il soprannome. Raccomandò a tuo padre di stare zitto e di fingere che fosse il frutto di qualche eccesso alimentare e Giacomo lo assecondò. Nel corso del tempo tornò a trovarlo e, condividendo l’inconsueta esperienza, diventarono grandi amici. Antonio riceveva quei segnali ma non era in grado, al contrario di Giacomo, di interloquire. Poco prima di morire, Tonimat, lasciò la casa a tuo padre che, in accordo con me, realizzò il laboratorio nello scantinato. Credo che il potenziale di questo posto sia amplificato dalla grande massa ferrosa e magnetica che costituisce il cuore del massiccio dell’Adamello, ma non essendo né geologo né fisico potrei dire delle fesserie. Comunque sia, in questa casa nei mesi di maggio e novembre si hanno picchi di elettromagnetismo che agevolano il contatto tra le realtà adiacenti. Il povero Tonimat non era un folle, ma una persona con una sensibilità accentuata e tuo padre, quella stessa sensibilità, la sapeva anche controllare. Tu, ragazzo, superi addirittura le sue capacità»

«E Ceres in tutto questo?»

«Lui è quello che, dall’altra parte, fa ragionamenti simili ai nostri con una visione positiva e costruttiva di questa conoscenza.»

«Ma non è pericolosa per entrambi i mondi questa consapevolezza?»

«Si, potrebbe essere devastante anche il solo sospettarla ed è per questo che siamo arrivati a sconfessare il nostro lavoro. Il centro chiuderà e io e i miei colleghi continueremo a studiare in privato collaborando con Ceres e i Guardiani per tappare qualsiasi falla. Cinesi e statunitensi, nei loro studi, si basano su presupposti errati e non hanno alcuna collaborazione dall’altra parte, quindi, per ora, ci limitiamo a controllarli e, quando possibile a depistarli. C’è qualche cosa che non va bene anche nel mondo delle anime: aumentano i casi di cancellazioni incomplete e sempre più anime conservano tracce della vita precedente e osteggiano la ricollocazione su mondi lontani dalla terra. C’è un’aria di cambiamento che non promette nulla di buono. Anche l’episodio del tentativo folle di Raffaele è sintomo di insofferenza. Ceres dice che periodi simili li ha già visti e che hanno sempre trovato le soluzioni, speriamo sia così.»

Mi guardò con un sorriso dolcissimo.

«Mi ha fatto molto piacere parlare con te, mio giovane amico, ma ora ti auguro un buon riposo e vado a dormire. Grazie di tutto, Thomas.»

«Grazie a te Professore, sei un grande uomo.»

Scosse la testa e, borbottando, salì in camera. Poco dopo, sparecchiata la tavola, lo seguii.

Serie: L'eredità di Giacomo


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