Due strambi individui

Serie: L'eredità


"non si giudica una vita finché non è conclusa."

Alec Engelhert era arrivato in ufficio da meno di mezz’ora, ma gli era bastato, per capire che non era giornata.

Quando il caffè, anziché accompagnare, con la sua fluida caduta nell’apposito bicchiere di plastica, il ronzio un po’ inquietante della macchinetta in corridoio, schizza come un geyser islandese a macchiarti il maglione; e il bicchierino, una volta estratto, ti guarda sconsolato e pulitissimo – beh: non serve essere veggenti per sapere che la giornata ha ben poche speranze oggettive di redenzione.

Tornando verso il suo ufficio, notò i due vecchi seduti su una panca nell’ingresso. La donna gli rivolse uno sguardo speranzoso, come a dire: Sarà lui?

L’uomo era alto, corpulento, con gli occhi chiarissimi e tondi, che gli davano un’aria infantile e sperduta. La donna, all’opposto, esibiva una discreta aria da arpia: mento aguzzo e grandi orecchie, sventolanti da sotto la pettinatura fuori moda, perfette per sostenere il largo paio di occhiali Anni Ottanta.

Pazzeschi si disse Alec. Evitò di sorridere, perché non pensassero di potersi rivolgere proprio a lui, ed entrò nel suo ufficio privato.

La posta si era accumulata sul suo tavolo, nell’ultimo periodo. Era stato molto impegnato, lontano a girare un documentario che non lo soddisfaceva del tutto, neppure adesso che, completato il montaggio definitivo, era ormai in uscita sulla gloriosa TV locale.

Il Vampiro, un’interessante rievocazione storica.

Girato in Ungheria e nelle zone dei Carpazi rumeni.

‘Interessante, per chi?’

Sbuffò, accartocciandosi dietro la scrivania.

Due ore più tardi, quando ormai stava per morire di noia appresso alla corrispondenza inevasa delle ultime settimane, Rikhard entrò in ufficio. Lo guardò, sogghignando.

“Finalmente al posto di combattimento! La dura vita del genio, vecchio mio…”

Alec l’avrebbe volentieri mandato a farsi fottere; ma Rik era anche il suo diretto superiore, oltre ad essere un insopportabile burocrate senza il minimo talento personale. Sfoderò un sorrisetto, abbozzando.

“Ci sono dei tipi che chiedono di te, qua fuori.”

“Che tipi?”

“Due vecchi matti.”

“Ehm… Veramente ho un po’ da fare, lo vedi, no? Potresti dire loro di passare un altro giorno…”

Rikhard sghignazzò ancora di più. “Ma quale altro giorno? Ti assicuro che non credo che ce l’abbiano, un altro giorno! Sono così… decrepiti…”

“Beh, ma io non posso stare appresso a tutti i vecchi del paese!”

Rikhard lo ponderò in silenzio per un paio di secondi. Poi annuì, serio, vibrando il suo colpo più malvagio.

“Mi rendo conto. Allora facciamo così: i prossimi li mando a casa. Ma questi due… Oh, questi proprio non li puoi deludere!”

Incavolato nero, uscì dall’ufficio e si diresse verso l’atrio.

I due vecchi erano ancora sulla panca dove li aveva visti al mattino. Stavano mano nella mano, come ad un ballo di paese.

Gli venne immediatamente il voltastomaco.

“Buongiorno” li salutò, mettendoci tutta la cordialità che poteva (e cioè non moltissima, di fatto). “Sono Alec Engelhert. Il mio capo dice che mi stavate cercando.”

Fu Orecchie A Sventola a prendere l’iniziativa. C’avrebbe giurato. Il marito aveva l’aria di uno che a fatica sa dove si trova. Probabilmente, la vecchia matta aveva mosso mari e monti per avere il suo minuto di celebrità, e se l’era trascinato dietro.

Lui, che sognava solo di sistemare l’orto.

Provò una subitanea simpatia per il vecchio imbecille. Fra le labbra, gli scappò un mezzo sorriso di solidarietà maschile. Ma lui non sembrò nemmeno rendersene conto.

“Mi chiamò Zelda Zimmermann” disse la donna. “Ho chiesto di parlare con lei perchè vorrei raccontarle una storia.”

Come no, bellezza! Sono qui apposta, non lo sai?

“Vede, ho ammirato i suoi recenti lavori. Davvero ricchi, come posso dirle… Intensi. Ho pensato che fosse l’uomo più adatto a raccontare la nostra storia. Mia, e di Chaime.”

Accennò con la testa all’uomo, che guardava nel vuoto, immobile.

‘Senz’altro. Sono sicuro che Il Vampiro l’hai visto sei volte, e piangi sul finale…’

“Senta, signora…” cominciò Alec.

Brividi di orrore gli correvano lungo la schiena, all’idea di perdere il suo prezioso tempo, impegolandosi in una storia d’amore d’altri tempi.

“La prego di ascoltarmi, signor Engelhert…”

Alec alzò gli occhi al cielo.

“Questa è una TV! Qui facciamo documentari! Roba che deve interessare al pubblico, e con tutto il rispetto…”

‘Il Vampiro, un’interessante rievocazione storica’ gli passò a lettere luminose sullo schermo della mente.

Una risata inopportuna gli salì incontro, da un angolo della coscienza. La soffocò immediatamente; tuttavia quell’attimo di esitazione gli costò la possibilità di liberarsi definitivamente della vecchia.

“Immagino che lei abbia i minuti contati” disse. Prese un pezzo di carta dalla borsetta e glielo tese. “Ma spero che ci pensi con calma, e decida di fare un salto da noi. Non la mattina, però” lo anticipò, prima che lui potesse fare qualcosa di più che fissarla, sconcertato. “Accompagno sempre Chaime a fare una passeggiata, di mattina. Il medico dice che fa bene al suo Altzheimer.”

Osservando l’espressione vacua di Chaime, Alec si disse che ormai, per ottenere un qualunque risultato, la vecchia Zelda avrebbe dovuto farlo passeggiare fino in Cina.

“Allora, l’aspettiamo. E mi raccomando: porti i miei saluti alla nonna!”

La vecchia si allontanò, mano nella mano con l’omone.

Lui la seguiva mansueto, guardandosi attorno. Un gigantesco bambino di cinque anni.

Alec tornò nel suo ufficio con la curiosa sensazione di essere stato abbattuto dalla contraerei.

Lo sapevo, che era una giornata di merda!

Infilò il bigliettino nell’agenda e afferrò una busta a caso, cercando di concentrarsi sulla lettera che conteneva.

Ma si rese conto immediatamente di non riuscirci.

Tirò fuori il bigliettino e contemplò l’indirizzo, vergato a matita, nella scrittura, un po’ tremante e svolazzante in modo eccessivo, che hanno i vecchi. Un tratto tipico della vecchiaia di tutto il mondo, tranne forse dell’Estremo Oriente.

I vecchi avevano dedicato molto tempo, da bambini, ad imparare l’arte della bella scrittura. Probabilmente era per questo che ci tenevano moltissimo. Al momento di tracciare documenti più o meno ufficiali, la loro mano tremava sempre vistosamente.

La stessa cosa non accadeva, ad esempio, nelle liste della spesa, o in quei documenti stesi per uso personale.

Sua nonna Edith gli chiedeva sempre di scrivere per lei, in circostanze in cui la mano avrebbe potuto tremarle.

‘Non mi piace sembrare una vecchia ignorante, che non è neanche capace di scrivere come si deve!’

Sorrise, al ricordo. Tutto si poteva dire di lei, eccetto che fosse una donna ignorante. Aveva attraversato la Seconda Guerra Mondiale, si era diplomata come infermiera e aveva esercitato al fronte, suonava il piano e parlava tre lingue, una delle quali (l’olandese) Dio solo sapeva quando e dove l’avesse imparato!

Tuttavia, un malinteso senso della cultura aveva accompagnato la generazione di sua nonna. Qualcosa che non si può cancellare né dagli occhi propri, né da quelli di chi guarda. Si considerava una popolana illetterata, se la sua scrittura fosse apparsa tremante e insicura.

Quando si arriva a confondere la bella grafia con la buona scrittura, è chiaro che tutto il resto è già stato frainteso con metodo e profitto…

Si riscosse notando che l’indirizzo era abbastanza vicino a casa sua.

Ci dovrei passare comunque davanti, rientrando…

Si diede dell’imbecille sentimentale, ma non funzionò.

D’accordo, allora! Andiamo a prendere il tè, e chiacchieriamo amabilmente di come si stava meglio, quando si stava peggio!

“Sono davvero felice che lei sia qui, signor Engelhert” disse Zelda, sedendosi sul divano a fiori, di fronte a lui.

Le peggiori previsioni di Alec si erano avverate, senza sgarrare di una virgola.

C’era il tè, offerto sul tavolino del salotto, nel servizio buono. C’erano i centrini, le fotografie in bianco e nero, le tende alle finestre, pieghettate in modo maniacale.

C’erano, soprattutto, i due padroni di casa.

Zelda, impettita sul divano, al centro del suo regno, leggermente sfocata dalla nuvola di vapore della teiera. Chaime, silente e perennemente confuso, nella poltrona panciuta, accanto a lei.

Alec respirò a fondo, inalando un vago sentore di vecchiaia che si nasconde malamente.

“Signora Zimmermann” cominciò, sperando di non sembrare né troppo scortese, né (soprattutto) troppo disponibile “come certo capirà, ho molto da fare…”

“Lo capisco, lo capisco” disse lei, sorridendo leggera. Prese a versare il tè nelle tazze. “Zucchero? Limone?”

“Lo prendo scuro.”

Non era vero. Odiava il tè, soprattutto senza zucchero. Ma voleva sbrigarsela alla svelta, non perdere tempo con i mille rivoli di conversazione che potevano derivare da una scelta piuttosto che un’altra.

Ma dovette comunque attendere che la vecchia si fosse servita e avesse riempito la tazza al marito, prima di poter tornare al punto.

“Vede” ricominciò la vecchia Zelda, con un sorriso decisamente lezioso “ho pensato che, ad un raffinato documentarista come lei, serve sempre materiale di prima mano su cui lavorare. E materiale valido, capisce? Di quello che fa venire i brividi allo spettatore, non so se mi spiego…”

Alec si piegò leggermente verso di lei, interessato, suo malgrado, dal vago tono cospiratorio che la vecchia aveva assunto.

Vuoi vedere che dietro c’è un vero scoop?

“L’ascolto” disse.

Trangugiò un lungo sorso, animato dalla stessa buona volontà dell’esploratore, che condivida il pasto barbaro di una tribù appena scoperta.

Serie: L'eredità


Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. “Osservando l’espressione vacua di Chaime, Alec si disse che ormai, per ottenere un qualunque risultato, la vecchia Zelda avrebbe dovuto farlo passeggiare fino in Cina”
    😂

  2. “Alec Engelhert era arrivato in ufficio da meno di mezz’ora, ma gli era bastato, per capire che non era giornata”
    E già il modo in cui parte mi fa capire che non mi staccherò più da questa serie

  3. Leggendo il commento di Giancarlo, @ianni67 , mi sono reso conto che, in effetti, anch’io lo avevo già letto. E, poi, ho letto il perché di questa ripubblicazione.
    Ad ogni modo, il racconto mi è piaciuto molto, come la prima volta, e resto davvero curioso di leggerne a breve il seguito. 👍

  4. “allora, matrix a parte… (beccato campione! gran bel tentativo… XD) lo”
    L’ho fatta facile, ho scritto che era una citazione 😂
    Sono sorpreso del problema con il racconto. Peraltro è strano che il sistema non ti faccia creare le serie. Deve essere un problema con il tuo account ma ovviamente non so dire a cosa sia dovuto. So però che qui la gestione è precisina ma decisamente gentile. Sono sicuro che il problema si risolverà 😃

    1. anche io. finora è sempre stato così. ho già segnalato e sono sicura che, Pasqua permettendo, presto avremo la soluzione dell’enigma 🙂 a proposito: buona Pasqua!

  5. Questo racconto lo avevo già letto e… apprezzato. Ora che lo rileggo lo apprezzo di nuovo e francamente sebbene lo avessi riconosciuto subito (l’Alzheimer non ce l’ho, ancora, ma la memoria… beh), mi ha fatto piacere rileggerlo. Mi pare che verso la fine sia cambiato qualche dettaglio, sebbene la storia sia la stessa. Mi pare più scorrevole. Ma forse mi sbaglio e non è cambiato nulla?
    Giurerei di aver già visto quel gatto nero passarmi davanti esattamente come ora. (citazione).
    Peccato che siano scomparsi i commenti.

    1. allora, matrix a parte… (beccato campione! gran bel tentativo… XD) lo avevi già letto, ma la direzione lo aveva cancellato perché non posso mettere tutto nel titolo… ho spiegato che è il solo modo che ho trovato per pubblicare le serie, visto che le serie non me le accetta… non che non l’avessi segnalato, e anche da mo’… ma stiamo a vedere…
      ad ogni modo, non mi fido a caricare più niente finché non mi danno l’ok…