E il secondo giorno vide che era già buio

Serie: Autobiografia di un sensitivo sensibile


Gli incubi ci furono al secondo giorno...

Il sogno arriva come l’acqua sotto la porta: silenzioso, invisibile, ma pronto a sommergere tutto. È tardi. La casa respira nel buio con il fiato affannato delle tubature e dei muri stanchi. Fuori, il cielo sembra fatto di carta stracciata. Non piove, ma ogni stella si nasconde come se sapesse che sta per accadere qualcosa che non le riguarda, qualcosa di profondamente umano o profondamente altro.

Mi sveglio sudato, con il cuore che batte come un pugno che bussa per uscire. Ma non sono proprio sveglio, non ancora. Il corpo è tornato, ma l’anima resta a metà, impigliata in quel sogno che puzza di verità. Provo ad alzarmi, ma le gambe non rispondono. Poi capisco: non sono più dentro il mio corpo. O forse sono finito troppo fuori, magari caduto da un grattacielo in una spirale infinita e vorticosa.

Il sogno non è solo un sogno. È un luogo. È un tempo. È una donna che cammina con le gambe nude. Io seguo la donna con la gonna corta e rossa e sono attratto ai suoi capelli, alla sua pelle, alla scia di odore che lascia. La voglio a tutti i costi ma è proprio il volerla a tutti i costi che mi farà restare solo per sempre. Per l’eternità. Così è scritto.

È bellissima. Non nel senso normale della parola. È fatta di ciò che resta dopo che tutto il bello è passato e di tutto quello che il futuro ha impresso nelle stelle. Nei suoi capelli mi si impigliano i pensieri, la pelle è di luce pallida e splendente come l’oro o a volte opaca ma come la ceramica, gli occhi neri come il fondo di un pozzo senza fine o un buco nero dove vorrei finire per non uscirne più. È seduta sotto un albero, tra le foglie cadute e ingiallite dal tempo in mezzo a un bosco fatto di specchi rotti. Ogni suo passo è una scia di riflessi e di orme lasciate alla terra, la natura è una donna che cammina come lei.

Mi chiama sorridendo verso la mia direzione. Sussurra il mio nome come se lo stesse appena inventando. Ma io non lo sento perché dentro il sogno dimentico di avere delle orecchie e un volto. È come se ogni cosa in quella atmosfera mi parlasse direttamente al cuore, saltando tutti i passaggi, tutti i filtri. Ci sono solo emozioni, è quindi un sogno vero. O forse no?

Provo a dirigermi verso di lei, ma il bosco cambia a ogni passo come un labirinto. Gli alberi si piegano, i sentieri si spostano, e le foglie parlano lingue dimenticate che non posso comprendere. Ogni specchio che incontro mi mostra un mio volto diverso: uno con occhi vuoti, uno senza bocca, uno in ginocchio, uno con le mani insanguinate. E poi uno che sorride. Quello mi fa più paura di tutti. Perché io nella vita reale non ho sorriso mai.

La donna non smette di guardarmi. Non avanza, non arretra. È lì, ferma, come una stella ferma nel cielo che mi indica la direzione giusta. Eppure, ogni volta che provo a toccarla, il mondo scompare in un abbaglio di luce e vuoto.

Mi sveglio. Credo di aver urlato, ma non esce nessun suono. Le lenzuola e la maglietta sono bagnate di sudore, annodate attorno al mio corpo come se avessero cercato di avvolgermi come un boa constrictor. C’è odore di qualcosa che non ho mai sentito, una miscela di fumo, pioggia, e rose marce. Forse c’è anche il profumo di lei.

Esco dal letto. I piedi toccano il pavimento con l’insicurezza di chi non sa più se cammina in sogno o in realtà. Zoppico e scendo le scale fino in cucina. Le pareti sembrano più alte, la luce più lontana. Ogni porta è socchiusa e in ogni angolo ci sono occhi che osservano e giudicano. I vostri fottuti occhi del giudizio universale.

Ma poi è lì che la vedo.

Per un istante — un solo istante — il suo riflesso. Non so dove. Forse su una mattonella ben lucida o il vetro di un mio quadro. Forse dietro una finestra. Vado in cucina e la vedo davvero. È lei, la donna. Ma non pare sorpresa di vedermi. Sembra che mi stia aspettando da una vita.

Poi sento una voce dietro di me.

— Tutto bene?

È il fantasma di mia madre. Ma la sua voce sembra provenire da un’altra stanza. O da un’altra vita. Mi volto. Lei è lì, in vestaglia, con gli occhi gonfi e spalancati di paura e malattia.

— Ti sei alzato da solo? — chiede.

Non so cosa rispondere. Non ricordo di essermi alzato. Non ricordo nulla tra il momento in cui mi sono svegliato e quello in cui mi trovo in piedi, nel corridoio.

— Ho fatto un incubo — dico infine.

Lei annuisce, come se fosse abituata. Ma nei suoi occhi c’è una domanda che non osa formulare. Mi accarezza i capelli e mi riporta a letto. I fantasmi del passato mi fanno dormire tutto il giorno nella mia testa perché mi fanno restare bloccato nel passato, senza vita.

Resto a guardare il soffitto, che a tratti sembra muoversi come se respirasse. Ogni tanto, dal vetro della finestra, credo di vedere una figura. Forse è il riflesso della luna.

All’alba, trovo un foglio sotto il mio cuscino. È sottile, quasi trasparente, e su di esso c’è una frase scritta a mano:

“Tutto ciò che vedi è vero. Tutto ciò che pensi, già lo è.”

Non è la mia calligrafia. Non è nemmeno quella di mia madre o di mio padre, entrambi morti tra l’altro. È la sua. No, non della donna del sogno. È quella di una donna che esiste davvero e mi ha incantato e incatenato.

La donna del sogno è anche quella vera, sono simili ma non identiche.

Mi alzo e vado in bagno mentre mi lavo la faccio guardo lo specchio. Per un istante, vedo un volto dietro il mio. Bellissimo. E poi svanisce. Ho solo dodici anni. E il mondo ha appena cominciato a rompersi. Da allora non l’ho più trovata. 

Serie: Autobiografia di un sensitivo sensibile


Avete messo Mi Piace1 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Ho trovato il racconto molto suggestivo, con immagini forti e una bella capacità di muoversi tra onirico e reale. Personalmente, scrivendo anch’io su questi registri, ho imparato quanto possa essere utile, in testi così carichi di visioni e simboli, asciugare leggermente alcuni passaggi per accompagnare meglio il lettore senza rischiare di disorientarlo troppo.

    Naturalmente è solo un mio punto di vista, perché la forza del racconto sta proprio nella sua atmosfera instabile e ambigua. E questa resta, comunque, una qualità notevole. Complimenti davvero.