Ego te absolvo
«Tu mi puoi perdonare, padre?»
«Figliola, Dio perdona i peccati a chiunque sia sinceramente pentito.»
«E tu no…?»
«Certo, ma… non sono io a doverti perdonare.»
Al tramonto, la penombra ovatta la scena nella navata laterale della chiesa di Sant’Agostino, per chiamarla come la conosce la gente comune; Beata Vergine delle Grazie è come si chiamerebbe davvero, la seconda chiesa più antica del Cile.
«Sono scomoda, qui in ginocchio su questo coso.»
«Mi dispiace, il confessionale è fatto così, questo è pure molto vecchio.»
«Senti padre, io mi ci siedo, tanto, con ‘sta griglia di legno non vedo neanche la tua faccia…»
«Fai come credi, figliola. Se sei qui, immagino tu voglia confessarti, giusto?»
«Dipende.»
«Qualcosa te lo impedisce?»
Questo fa il furbo, mi sa. «Dimmelo tu, padre. Che cosa succede dopo che ho confessato? Magari, chiami gli sbirri?»
«No, certo che no. Mia cara, qualsiasi cosa tu possa aver commesso: nessuno lo verrà mai a sapere, fuor che Dio, s’intende.»
«E oltre a te…»
«Io sono tenuto a osservare il segreto, non potrei mai–»
«Ok, ok, diciamo che mi fido… e dopo?»
«Dopo, che cosa?»
«Cosa succede dopo? Se non chiami gli sbirri… la mia coscienza come si rimette a posto?»
«Be’, se dimostri un sincero pentimento, io ti assolvo in nome di Dio.»
«E tutto finisce lì?»
«Magari, puoi fare un atto di penitenza, con delle preghiere… insomma, dipende dalle colpe che hai riconosciuto.»
«È che… non sono sicura di potertelo dire.»
«Abbi pazienza, figliola, ma io come faccio a invocare il perdono di Nostro Signore per qualcosa che non si sa cos’è?» Ma cosa hai combinato, benedetta ragazza…?
«Qualcosa non mi torna, padre: quando c’era mia mamma, e io ero piccola, mi aveva raccontato che Dio vede tutto, che sa tutto. Se ‘sta cosa è vera, perché dovrei dire a te quel che ho fatto? Dio lo sa già: chiedigli se mi perdona e finiamola!»
«Ti prego, abbassa il tono della voce.»
«Tranquillo, padre, non c’è nessuno – ho controllato – e se aprono la porta fa un tale cigolio…»
Così non andiamo da nessuna parte, ma questa poveretta ha bisogno di un aiuto. «Come ti chiami?»
«Serve per avere il perdono…?»
«Serve a me, per sapere con chi sto parlando… aspetta.» Il monaco esce dal confessionale, con una mano poggiata sui lombi, raggiunge una panca e invita a sedersi accanto a lui la giovane dalla figura esile. Il suo volto corrucciato, tradisce i lineamenti dolci di un adolescente.
«Così è molto più comodo» stenta un sorriso la ragazza.
«Vero? Quel sedile mi spezza la schiena e non ho più l’età per restarci a lungo. Ma, dove eravamo rimasti… sì, giusto: io sono padre Genaro, vuoi dirmi il tuo nome?»
Dopo un attimo di esitazione: «Io sono Mia, sarebbe Maria, ma così mi chiamava mia madre».
«Quanti anni hai, Mia?»
«Diciassette, ma non pensare che sia una sprovveduta, vivo in strada da tre anni, ormai…»
«Tua mamma non c’è più?»
«È morta tre anni fa’ e mio padre… be’ lui non l’ho mai conosciuto.»
«Perché sei venuta qui? Intendo dire, cosa cercavi di preciso?»
«Non lo so, padre, mia mamma forse ci credeva a questa roba qui. Mi diceva che un giorno avrebbe voluto portarmi alla chiesa di Sant’Agostino… non so perché proprio qui, ma non ci è riuscita. Così ci sono venuta io, e ho dovuto scarpinare un bel po’.»
«Mia, non vuoi dirmi cosa ti è successo?»
«Tu mi prometti che non chiamerai gli sbirri?»
«Te lo prometto.»
«Credo di aver ucciso una persona. Ma non ti dirò il suo nome.»
«Non ha importanza, ma com’è successo me lo diresti?»
«C’era questo tizio… voleva il mio zaino, ma dentro c’è tutto quel che possiedo…» Il frate la osserva, intanto che parla, nota che ha i capelli bagnati, anche gli abiti che ha indosso sembrano umidi. Le mani le tremano, ma la sua voce è ferma. «Ho resistito per non darglielo e, con una spinta, mi ha buttata in terra e un secondo dopo mi stava a cavalcioni sulla pancia… è allora che ho sfilato il serramanico a scatto che porto sempre nei jeans – avevo libero il braccio destro – ho estratto la lama e con tutte le mie forze gliel’ho piantata tra le costole. Lui ha gridato e si è buttato di fianco, ma io mica l’ho mollato il coltello e prima che potesse alzarsi l’ho colpito ancora, questa volta con più forza, perché mi ero messa in ginocchio e non avrei mai potuto mancare la sua schiena.»
Signore onnipotente… «E dopo, cos’hai fatto?»
«L’ho lasciato lì, nel vicolo. Mi sono ripresa il mio coltello e ho fatto fatica perché ce l’aveva dentro fino al manico. Quando mi sono allontanata, era a terra, stava rantolando.» Padre Genaro chiude gli occhi per un istante, vorrebbe dire qualcosa per consolarla, ma non trova le parole. Lui osserva il suo volto e gli pare che abbia uno sguardo più sereno, come se aver raccontato l’accaduto avesse alleggerito il macigno che ha dentro.
«Ti dispiace di averlo colpito?» Le chiede infine il monaco.
«Non ho mai avuto così tanta paura, padre: cosa vuoi che ti dica… che non lo rifarei? Non posso, io devo sopravvivere: Me l’ha fatto promettere mia madre. È solo questo che avevo in mente. Ho messo l’unico cambio di abiti che avevo nello zaino, quelli lordi di sangue li buttati in un cassonetto a qualche isolato, poi mi sono lavata in una fontana mentre venivo qui. Io lo so che uccidere è una brutta cosa, ma pensavo che qui mi avrebbero perdonato, come diceva mia mamma…»
Mia si lascia andare in un abbraccio, per un istante stringe forte il petto del frate che le carezza il capo con la mano, poi scioglie l’abbraccio, si ricompone e lo guarda con gli occhi lucidi.
«Tua madre non ti ha mentito, Mia» e tu non sei una persona cattiva… Questo mondo sa essere spietato. «Ego te absolvo a peccatis tuis, In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.»
Avete messo Mi Piace7 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Meraviglioso. Inizialmente ho dubitato…il monaco si stava incartando in questa faccenda di Dio, del perdono, insomma, ho temuto cadesse vittima dei “cavilli”. Invece lascia il suo ruolo, esce dal confessionale e da alla ragazza ciò di cui ha bisogno: il perdono non tanto di Dio, ma di un padre più umano. Che è esattamente ciò di cui l’orfana ha bisogno. Carissimo Paolo, qualsiasi sia il tema o il genere che tratti non stai sbagliando un colpo. Complimenti, davvero.
Hai un modo di scrivere che invoglia a continuare, non se ne avrebbe mai a sufficienza.
Boia Faust, è un complimento bellissimo! Lo porto a casa ben volentieri anche se non sono sicuro di meritarlo… Grazie, Roberto e a presto
Mi è piaciuto molto, mi è dispiaciuto vedere che non fa parte di una serie visto l’argomento: il peccato e il perdono. Chi pecca perde sempre qualcosa, il perdono allevia il dolore ma non cancella il delitto. Complime
Ehilà, Fabio! Son felice che tu sia passato a leggere e che il soggetto abbia suscitato interesse. Per una scrittura più estesa non so se sono pronto, per lo meno, nella modalità a puntate… Al di là del fatto che sono in attesa di risoluzione di un problemino tecnico per il quale non riesco a pubblicare “serie”, ma solo singoli. Grazie e a presto
Mi piace. L’ingenuità della ragazzina e la comprensione delicata del sacerdote. Una difesa legittima del tuo, che sarà solo uno zaino, ma che non ci è dato sapere cosa contenesse, forse un ricordo imperdibile della madre, e allora anch’io ti assolvo Mia. Grazie Paolo per questo gioiellino.
Grazie a te, Giuseppe, per aver letto e commentato il raccontino. Ritengo che siano preziosi i punti di vista di chi legge, soprattutto quando scrivendo s’inciampa, per così dire, in temi controversi. Sono lieto di aver acceso una tua riflessione. A presto
Questa storia mi ha ricordato tanto “Il testamento di Tito”, di De Andrè che mette in discussione, esattamente come fa il tuo racconto, i concetti di peccato e redenzione. È davvero molto cristiana la figura di questo frate, che capisce e accoglie nel suo abbraccio. Non va inoltre trascurato il contesto in cui hai calato questo pezzo di vita, che sarebbe sbagliato trascurare con una lettura svogliata. Non è giusto dire che la vita cambia di valore quando cambiano le geografie, ma non è possibile non tenerne conto. Mi piace molto l’idea di Francesca. Potresti regalare più spazio a questi bellissimi personaggi.
Ciao Cristiana, è davvero bello il tuo commento e mi ha emozionato. Dal canto mio, in questo esercizio, ho cercato di mescolare qualche ingrediente e provare alla fine a stimolare la sensibilità di chi legge.
Come sempre, la tua lettura attenta ai dettagli (un po’ la temo…), ha colto l’ambientazione suggerita con l’iintento di offrire un ulteriore elemento di contesto. Concordo pienamente su quanto dici, in effetti le “situazioni” (geografiche o meno) sovente sono discriminanti nel comportamento umano. Ti ringrazio ancora per il tuo tempo e l’opportunità di avere questi scambi.
Credo che una lettura debba sempre essere attenta ai dettagli anche perché, lo scorrere degli anni ce lo insegna, non resta il contesto, bensì le piccole cose di cui abbiamo letto, che magari sbiadiscono un po’, ma l’emozione quella no.
Un racconto intenso e cinematografico, che colpisce per il ritmo serrato e per la tensione emotiva che cresce battuta dopo battuta.
Mi ha colpito la costruzione del dialogo: sembra di sentire le voci, di vedere gli sguardi e i gesti, fino al momento in cui Mia si apre davvero.
Il finale, invece, lo avrei lasciato più sospeso, così da mantenere il lettore nell’incertezza, in quella zona grigia dove giusto e inevitabile si confondono. Ma sono gusti.
Grazie Lino, per aver letto e per gli apprezzamenti sul dialogo, per me preziosi. Sul finale, concordo che avrebbero potuto esserci un certo numero di combinazioni e ti confesso che ero piuttosto indeciso anch’io sul lasciarlo più aperto. Poi, come giustamente dici tu: è questione di gusto.
Mi aspettavo un finale diverso, una conclusione peggiore nei confronti della ragazza. Se Dio perdona tutti anche i preti o padri-frati dovrebbero farlo. Quindi l’assoluzione potrebbe essere giusta o forse no: una vita soppressa solo per salvare uno zaino? Ma, dopotutto, chi sono io per giudicare questa ragazza che possedeva solo uno zaino?
Ciao Maria Luisa, grazie per essere passata. Inizialmente, in effetti, il finale era tutt’altro, poi, che vuoi che ti dica… quello a cui ho pendato io è che, probabilmente, dopo la degenerazione dell’evento, la posta in gioco non fosse più solamente lo zaino. Grazie ancora e a presto.
Ps. perdonami se ti nomino in modo non congeniale, ma coi doppi nomi ho sempre il dubbio su quale sia la modalità che compiace o abituale di chi li porta…
Ciao Paolo, puoi chiamarmi Luisa, oppure Cedrina, o anche Luisella, se prefetisci. Sono abituata a essere chiamata con tanti nomi diversi, anche Maria Luisa (il mio nome di battesimo), ma pur avendo due nomi, uno si potrebbe anche escludere. E – ti confesso – mi sento piú Luisa che Maria.
Davvero bello (c’è da dire che amo particolarmente i racconti ambientati nelle chiese). Complimenti 🙂 Ti seguirò per leggerne altri.
Ciao Arianna, ti ringrazio per l’apprezzamento. Non vorrei deluderti, ma la collocazione di questo raccontino è abbastanza una casualità: un espediente per ambientare quella situazione. Grazie molte per il tuo tempo.
Chi va in chiesa a confessarsi vuole proprio questo: vedere nei gesti e nelle parole di un suo simile l’assoluzione. Dio, se esiste, sa già tutto.
Ciao Concetta, grazie molte per aver letto e per il tuo commento. Offri una sintesi davvero efficace di un punto di vista sul trascendente. A presto
Mi piace Paolo, perché è misurato, cauto rispettoso. Mi piace perché sto portando anch’io in chiesa una fanciulla, la mia protagonista del momento. Proprio ora, ho interrotto per leggerti. Tienila, questa ragazza, non spegnerla in un racconto. A me piace proprio e anche il vecchio prete. Sai che coppia, in una serie di lotta alle ingiustizie, per esempio.
Grazie Francesca per aver letto, non era mia intenzione distrarti dalla scrittura… Ma mi fa piacere che i due personaggi, in qualche modo, possano averti interessato. Ti ringrazio anche per il suggerimento che mi porto a casa volentieri. Generalmente, conservo questi “esercizi” come appunti/spunti da cui pescare qualcosa per scrivere altro. Ci penserò. A presto