Era una giornata diversa dalle altre

Serie: Il bene più prezioso


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Questa non è una serie. È un racconto unico, diviso in due parti per ovviare al problema del limite di caratteri. Ho preferito spezzare il racconto in due, invece che apportare stravaganti tagli al testo integrale.

«Non diciamo eresie» tuonò in modo ancora più fermo il Professor Princton e continuò subito dopo:

«Se il bene non è materiale, non deve essere spirituale. Conoscete solo questi due mondi? Perché non guardate oltre? Perché non pensate alla conoscenza?»

«La conoscenza di Dio?» riprese subito Anita Seyfried.

«In che senso? Spiegati.»

«Cioè… se Dio esiste o no» disse con un certo orgoglio. E per un brevissimo momento credette di aver dato la risposta corretta, o almeno di aver centrato l’argomento.

«No, non è se Dio esiste o no, non è questo. Ma il tuo spunto è interessante.»

Per la Seyfried, che raramente aveva dato risposte corrette nella sua carriera scolastica, andava bene così. Poteva ritenersi soddisfatta, tanto che pensò di eclissarsi, con la mente e non con il corpo, per il resto della lezione, mantenendo un mezzo sorriso di vittoria a bocca serrata.

In quel momento il Professor Princton rivolse il suo sguardo verso la porta dell’aula. Era aperta. Si stupì e si alzò quasi di scatto per raggiungerla. Prima di chiudere, allungò il collo fuori dalla porta e diede un’occhiata al corridoio, prima a sinistra e poi a destra, come se cercasse qualcuno. Il Professor Princton però non aspettava nessuno, o almeno così doveva essere. Rientrato con il collo e con le spalle, accompagnò la porta a suo modo, con gran velocità, prima di rallentare e accarezzarla per l’ultimo passaggio. Poi rivolse lo sguardo all’aula, seduta composta e numerosa. Fu uno sguardo fugace e distratto che tornò subito indietro, distogliendosi dagli occhi fissi degli studenti. Lì, successe una cosa che nessuno avrebbe mai potuto immaginare, o sentire, o vedere. Il Professor Princton tossì.

Tossì una sola volta, di una tosse secca e di un rumore sordo. Fu uno di quei colpi di tosse dove si ha il tempo di avvicinare la mano alla bocca, per educazione. Il Professor Princton ebbe quindi il tempo di comprendere che stava tossendo. Ragionevolmente, i suoi studenti credettero che l’avesse scelto, che avesse deciso di tossire. E benché potesse sembrare strano, la preoccupazione degli alunni non era tanto che il Professor P avesse tossito, quanto se lui si fosse reso conto di non aver mai tossito in loro presenza e, forse, nella vita.

Il colpo di tosse del Professor Princton era certo il quarto motivo per cui quella era una giornata diversa dalle altre. Poco dopo si ricompattò:

«Il fatto che Anita si sia avvicinata alla risposta corretta, non vuol dire che la lezione sia finita. Nessun altro? Parliamo di conoscenza, di filosofia se volete. Non fatemi sentire il nome di altri metalli.»

Poi decise di aiutarli:

«Pensate: se il Giappone, la Cina, l’India o qualunque altro paese avessero la formula magica per rendere immortali, gli Stati Uniti pagherebbero per averla?»

Rispose immediatamente Saurgeine:

«Certo, chi non vorrebbe averla?»

«Esatto.»

«Allora la risposta è l’immortalità, sarebbe questo il bene più prezioso del mondo?» continuò Saurgeine, che prese in prestito il sorriso a bocca serrata della compagna Seyfried.

«No, non è l’immortalità. Certo, sarebbe un vantaggio. Per avere più tempo. E qualcuno troverebbe il modo di usarlo per i propri scopi. Ma l’essere umano si stancherebbe anche di vivere. Se non l’ha già fatto…»

Non era ancora mai intervenuto, ma dall’ultimo banco, fila centrale dalla prospettiva del Professor Princton, intervenne Arthur Penn, per tutti solo Penn. Era l’unico dell’aula a non avere nessuno come vicino di banco. Ufficialmente perché… stava bene da solo. Ma in verità era talmente grasso, che in due non si poteva stare. La voce non smentiva il fisico ed era imponente:

«Scusi Professor P, ma cosa può esserci più dell’immortalità? Poter vivere all’infinito senza mai doversi preoccupare di morire. Non riesco a pensare a nulla di più grande di questo!»

«Solo perché credi che morire sia brutto.»

«Non lo è?»

«Lo chiedo a te. Perché credi che morire sia brutto?»

«Beh, perché con la morte… finisce tutto.»

«Ne sei sicuro?»

«Certo. Beh, se hai fede, se sei religioso, se credi nel Paradiso o roba del genere, forse no, è meno brutto.»

Il tono di Penn si fece più cupo. E continuò:

«Ma io, Professor P, non vengo da una famiglia religiosa. Non mi hanno trasmesso la fede. La scorsa settimana ho avuto un lutto, Professor P. Un lutto di una parente stretta che aveva quarantasei anni. E non credo che se fosse campata, dieci, venti, trent’anni in più le sarebbe dispiaciuto.»

«Non parlo di religione, nel mio discorso la fede e la religione non trovano spazio. Credi che la tua parente ora sia triste perché voi siete tristi? Prova a pensarci: perché credi che morire sia brutto?»

Penn restò ammutolito, non rispose. E per un breve ma interminabile momento non rispose nessun altro.

Poi, con poco coraggio ma con una gran voglia di prendere la parola, dall’ultimo banco fila sinistra dalla prospettiva del Professor Princton, si levò flebile la voce di Eleonor St. James, che tutti chiamavano solo per nome, Eleonor, nonostante ad essere altisonante fosse il suo cognome: era figlia dei St. James proprietari della famosa catena di tessuti di alta qualità, con negozi sparsi per tutta la città. Mai una volta si era rifugiata dietro al suo cognome:

«Perché non conosciamo la verità.»

Il Professor Princton non riuscì a mascherare una sorta di velato entusiasmo e disse subito: «Cosa intendi Eleonor?»

Eleonor sospirò. Forse non trovava le parole giuste per dirlo, ma voleva dirlo:

«Che non sappiamo cosa c’è dall’altra parte.»

Il Professor Princton non rispose, ma tutti, nessuno escluso, capirono che era appagato, che era quella la risposta che stava cercando. E stavolta era sincero, era orgoglioso della risposta data da Eleonor. Un sorriso a metà bocca, ben diverso da quello che aveva attraversato il volto di Amanda Seyfried e Paul Saurgeine, le dominò il viso.

«Esatto. Noi abbiamo paura di morire perché non sappiamo cosa c’è dall’altra parte. Non sappiamo cosa succede nel momento in cui finisce questa vita. È forse l’unica cosa che non conosciamo e ne abbiamo paura. Niente di più umano.»

Intervenne immediatamente Saurgeine, preoccupato solo di arrivare alla soluzione del quesito, forse per tentare di strappare un ingiustificato merito:

«Scusi Professor P, quindi la risposta alla sua domanda iniziale è che non sappiamo cosa c’è dall’altra parte? Questo è il bene più prezioso?»

«Il bene più prezioso sarebbe saperlo. Sapere cosa avviene dopo la morte. Non credete che ogni individuo, ogni essere vivente, chiunque vorrebbe saperlo? Anche chi è dotato della più grande fede dell’universo non avrà mai la certezza di quello che c’è dall’altra parte. Non credete che questo sarebbe un bene più prezioso di un diamante? Non credete che sarebbe un potere ancora più grande dell’immortalità? E se si potesse andare dall’altra parte e poi tornare indietro? Se si tornasse e si raccontasse cosa si è visto? Quanto vale tutto questo?»

Nessuno rispose, ma arrivati a questo punto, nessuno l’avrebbe fatto. Perché nessuno aveva il coraggio di contraddire il Professor Princton, ora.

La quasi sacralità della discussione, che era ormai diventata un monologo, fu interrotta bruscamente da un rumore stonato e ripetuto. Bussarono alla porta. Il Professor Princton andò ad aprire. Era l’inserviente scolastico che lo pregò di raggiungerlo, facendo un movimento ondulatorio con la testa come a dire di avvicinarsi il più possibile all’uscio, quasi a sottolineare che la conversazione che sarebbe seguita era di tipo riservato. Il Professor Princton si avvicinò. L’attenzione della classe era stata catturata dalla scena. Tutti gli studenti guardarono in direzione della porta, tentando di carpire le informazioni che l’inserviente stava pronunciando così sottovoce.

Il Professor Princton ascoltava impassibile, senza rispondere. Tutto ad un tratto, senza voltarsi verso l’aula, uscì dalla porta. Non era mai andato via senza salutare. Così come non era mai entrato in aula senza i suoi riti. Uscendo, qualcuno lo aveva visto aprire un ombrello. Un piccolo ombrello.

L’inserviente scolastico entrò in aula come a dover confessare qualcosa. E spiegò.

Spiegò che il Professor Princton aveva subito un lutto e che quella mattina era arrivato a scuola da un funerale. Si scusava, ma era dovuto andar via di corsa perché era richiesta la sua presenza per alcuni certificati di sepoltura.

D’un tratto, tutta la classe realizzò. L’abito nero, simbolo di lutto e di rispetto per il defunto; la porta aperta, insolita dimenticanza testimone di un mente che sta vivendo altrove; il colpo di tosse, strozzato e soffocato da chissà quante lacrime precedenti; e la pioggia, incontrollabile e fatale casualità, portavoce e cornice di un dipinto irripetibile.

Fu chiaro, quindi: la morte del padre del Professor Princton era il quinto ed ultimo motivo per cui quella era una giornata diversa dalle altre.

Serie: Il bene più prezioso


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