Eros e thanatos

Londra Bond Street Mayfair 23 febbraio 2022
Lara aveva già scelto una borsa Louis Vuitton, un completo Chanel rosa schocking, un abito Tiffany modello Audrey Hepburn, quattro paia di scarpe di quattro colori diversi… Quando la ragazza del negozio le aveva proposto un altro modello, lei l’aveva allontanata con un gesto del braccio, senza rivolgerle la parola. Conosceva l’inglese abbastanza bene; o almeno quanto una turista che può permettersi un insegnante privato, per sfizio, per non sapere cos’altro fare e per darsi un tono, con una pronuncia un po’ più british.
Lui l’aspettava in albergo. Quando doveva occuparsi dei suoi affari a distanza, non gradiva la presenza di Lara. Le consegnava una card e l’accompagnava alla porta. Lei non era sua moglie, né la sua compagna e neppure la sua amante. Più che altro, da quasi un anno, era diventata la sua bella figura: occhi azzurri, capelli castani, pelle chiara e compatta come l’avorio. Era giovanissima anche se, col trucco, dimostrava qualche anno in più. Le misure erano quelle di un ex modella, ex attrice-comparsa, di pochi film, parecchio hard.
La prima volta che si era spogliata, con movimenti sexy, per mettersi a letto, lui l’aveva guardata con disprezzo, le aveva lanciato i vestiti addosso e l’aveva spinta fuori dalla camera. Tanto meglio – aveva pensato Lara – il salotto della suite era ampio, con ampi divani, dove lei poteva dormire senza affaticarsi e senza simulare un piacere che, con un orco così – come lei lo immaginava – era alquanto improbabile. Più probabile che lui avesse qualche guasto all’impianto idraulico del suo attrezzo.
Quando lui si addormentava, lei si metteva i tappi, per non sentire il grosso orco russo che russava.
Lara era cresciuta a Mosca, in un istituto per bambini orfani e abbandonati. Poi aveva iniziato a lavorare come cameriera in un ristorante. Lo stilista Sasha Paskal l’aveva notata e l’aveva inserita in un corso accelerato per le sue sfilate di moda. Per non passare inosservata, era riuscita, durante la camminata in passerella, a farsi scivolare una bretella, per mostrare quanto fosse bella, col seno nudo. Un’altra volta, dopo la sfilata, aveva posato per un servizio fotografico molto malizioso, con abiti infilati dall’alto, ancora sospesi sulla testa o poco più giù.
Quando aveva ricevuto la telefonata del regista Leon Volkov, Lara aveva pensato di essere una ragazza fortunata. Immaginava di poter diventare ricca, famosa e felice. In realtà, il filmmaker, dopo i primi due film, non l’aveva più richiamata.
Per partecipare a quelle ammucchiate di corpi attorcigliati, Volkov le aveva imposto di ingrassare. Una dieta ipercalorica a base di avocado, salmone, banane, paté di fegato d’oca… Roba buona ma… tanta. Certe volte le veniva voglia di vomitare tutto. Poco tempo dopo, non potendo riprendere a fare la modella, (essendo troppo formosa), ed essendo fallita, sul nascere, la carriera di porno star, si era ritrovata allo sbando.
Una sua amica, che arrotondava lo stipendio da impiegata part-time, le aveva passato il numero di un cliente che doveva andare a Londra e aveva bisogno di un’accompagnatrice. Aveva conosciuto così il grosso orco russo.
* * *
Mariupol 30 marzo 2022: sotterraneo di un edificio in gran parte distrutto dai missili. Una città fantasma; pochi abitanti rimasti, costretti a vivere come topi negli scantinati freddi, bui e poco sicuri. In un bugigattolo di pochi metri quadrati, accessibile da una botola, un pavimento grezzo, ricoperto di materassini dall’aspetto un po’ squallido. Una vecchia, mezza distesa a terra e con le spalle poggiate sul muro di cemento, stava lì da più di un mese. Il corpo consumato, il viso scarno e rugoso, le unghie annerite. Le mani ossute, con una patina scura sulla pelle. Ogni tanto afferrava la bottiglia dell’acqua che qualcuno, pietosamente, le porgeva. La donna non aveva più nessuno: suo marito era morto da tanto, nella vecchia guerra separatista. Prima ancora, aveva dovuto abbandonare la sua unica figlia, a Rostov, da un lontano parente che conosceva un pezzo grosso, per inserirla in un collegio, al sicuro, in qualche città distante dalla guerra e dalla carestia.
Sul volto della donna non c’era alcun segno di paura. Pregava che il calvario finisse. La morte sarebbe stata una liberazione, dalla sofferenza fisica e dalla morsa che le stritolava l’anima, da quando la paralisi aveva reso difficile ogni spostamento, impedendole di vedere gente, di poter parlare con qualcuno. Persino il suo vicino di casa, il vecchio Boris, inselvatichito com’era, dopo averle lasciato le solite uova, le mele o la zuppa, sul davanzale della finestra, passava oltre.
A Mariupol non c’era più niente, né case, né chiese, né chioschi. Silenzio tombale. Tutto distrutto e saccheggiato. Gli ultimi abitanti rimasti avevano deciso di fuggire. La vecchia l’avevano trasportata con una barella improvvisata: una coperta legata lateralmente a due bastoni di scopa. C’era la Croce Rossa, una camionetta militare e un vecchio furgone, servito, in passato, a trasportare mangime per animali da cortile. Sapevano tutti che avrebbe fatto poca strada. L’intenzione era quella di raggiungere, prima o poi, la Polonia. Da lì avrebbero viaggiato sui pullman provenienti da vari Paesi europei.
* * *
Londra 6 aprile 2022. Una villa sontuosa, con parco, piscine e laghetti, era stata confiscata per sanzionare uno degli oligarchi amici dell’ultimo grande sterminatore russo. Un gruppo di giovani, soprattutto studenti originari dei territori dilaniati dalla guerra, avevano occupato quella residenza immensa, per dare alloggio ai profughi. Avevano noleggiato un vecchio double-decker bus, per andare avanti e indietro, a recuperare i rifugiati.
Lara era di nuovo allo sbando. L’orco russo era partito senza preavviso, senza un cenno di saluto, senza un pezzo di carta con scritto do svidanija, oppure vaffa… Le aveva fatto trovare le valige alla reception e una busta chiusa con dentro una card. Una liquidazione consistente, per una come lei, che aveva lavorato come cameriera e conosceva la fatica di guadagnarsi da vivere. Per lui era molto meno di quanto spendesse in bottiglie di vino, da Yevgeny, sulla Davies St. Nella “bottega” del suo amico i prezzi partivano dai 500 rubli, fino ai 6 milioni di euro per una bottiglia un po’ speciale.
Lara aveva lasciato le valige in hotel ed era andata a camminare, per sbollire la rabbia. Si era tolta i tacchi, il tailleur Chanel, la camicia di Hermés; liberandosi del suo ruolo di “bella figura”. Aveva infilato un paio di ballerine che usava come pantofole, un paio di jeans, una felpa Armani e il suo vecchio “chiodo fisso” – come diceva lei – di similpelle, a cui era affezionata.
Aveva bisogno di consolarsi con qualcosa di dolce. Era entrata in un pub e aveva chiesto una fetta di carrotcake. Ingurgitando nervosamente, senza curarsi del bon ton, si era sporcata la felpa con la crema al formaggio. Dalla sua bocca era uscita un’espressione poco elegante, tutt’altro che british; anzi, decisamente volgare. Il ragazzo dietro il bancone aveva sorriso, poi le aveva offerto un drink: un cocktail leggermente alcolico. Lei aveva cercato di indovinare gli ingredienti. Ne aveva azzeccato cinque: succo di mela, succo di carote, succo di limone, vodka e zucchero di canna. Per cercare di trattenerla con quella conversazione giocosa, lui le aveva proposto un altro goccio, incitandola a scoprire l’ultimo misterioso ingrediente. Lara aveva accettato la sfida; poi, però, dopo il bis, si era arresa. Lui, ridendo, le aveva svelato che il ghiaccio tritato era l’unica cosa che non avesse riconosciuto. Quindi, semplicemente acqua, per alleggerire il grado alcolico della vodka.
Tra i due era scoppiata una scintilla, una simpatia, un’attrazione reciproca immediata.
Andrey era nato e cresciuto nei sobborghi londinesi, da genitori ucraini che parlavano russo.
Lara non sapeva dove andare. Non poteva permettersi un’altra notte nello stesso albergo. Aveva chiesto un consiglio ad Andrey, che conosceva bene Londra e dintorni. Lui le aveva offerto ospitalità in un’abitazione decisamente spaziosa. Finito il turno al pub avrebbe raggiunto gli amici alla villa che avevano occupato. In quella residenza enorme c’era posto per centinaia di persone.
Il giorno dopo era arrivato il primo gruppo. Uno dei primi rifugiati ad essere trasportati all’interno della villa, con una barella adeguata, era stata la vecchia di Mariupol, stremata da quel lungo viaggio. Aveva gli occhi chiusi, non si capiva se dormisse o fosse in fin di vita.
Lara, vedendola, aveva capito che, da quel momento, la sua esistenza sarebbe cambiata. La voragine affettiva che si portava dentro da sempre, cercando di colmarla con cose futili, senza mai sentirsi appagata, poteva riempirla dedicandosi a una giusta causa, come se, quelle persone, fossero la sua famiglia.
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I primi anni di vita creano le fondamenta: lì si formano buchi neri, ci puoi infilare di tutto ma non riesci mai a tapparli. In poche righe hai saputo tratteggiare in maniera egregia questo spazio vuoto che Lara si porta appresso e la conseguente apparente apatia nel vivere comunque e in qualunque situazione (quasi non fosse “mai contenta”, indifferente). Riempire quel buco dandosi agli altri è un passo enorme, che può portare a relazioni autentiche.
Il vuoto che cerchiamo di colmare, chi più chi meno, in vari modi che diventano spesso atteggiamenti compulsivi, come dici tu, dipendono dalle lacune (talvolta sono delle voragini), che risalgono soprattutto alla prima infanzia. Non so se sei d’accordo, ma l’affetto o altri bisogni mancanti di quell’età, sono perduti per sempre; in qualche modo, però, possiamo comunque sentirci appagati, da adulti, senza cadere o perseverare nelle dipendenze poco produttive. Possiamo placare la nostra “sete”, o “fame”, utilizzando le risorse che abbiamo: i nostri talenti… l’arte di scolpire, cesellare e dipingere storie da condividere con altre persone sensibili, per esempio. Un abbraccio.
Grazie Nyam, sono lieta che abbia gradito questo racconto. Spero che possano incuriosirti anche gli altri.
Cara @Cedrina, mi piace come scrivi e amo i contrasti. Questo racconto mi angoscia, ma mi e’ piaciuto per il barlume di speranza che lasci intravvedere alla fine. Ti seguiro’, con piacere.
Grazie Fabius. Assistiamo impotenti ad una triste realta´ . Per fortuna c’e´ ancora qualcosa e Qualcuno che ci fa sorridere, anche in questo sito. ( Ogni riferimento e’ decisamente voluto). L’ idea del romanzo e’ uno dei miei sogni nel cassetto. Chissa´?!
Questo racconto concede un senso a molte cose. Restituisce quello che gli eventi hanno tolto dolorosamente, l’ho letto con piacere.
Ciao Bettina, mi mancava un parere femminile e ti sono grata per il tuo apprezzamento.
I tuoi racconti e quelli di Carlo Grazioli, calati negli orrori della guerra, potrebbero rientrare in unico romanzo. È una rincorsa emozionante: continua così. Belle storie (brutte per la cruda realtà) che ci fanno vivere le ordinarie tragedie umane fuori dalla propaganda.