Errori di sistema

Serie: L’archivio


In un mondo distopico la memoria degli uomini è manipolata, modificata, copiata e archiviata.

 Mira Valen si svegliò con la netta sensazione che qualcosa non tornasse. Sul soffitto spoglio della sua stanza, una fila di luci LED pulsava ritmicamente, come un cuore artificiale. Un rumore sordo, costante, vibrava nell’aria, il suono familiare del processore centrale dell’Archivio che analizzava i sogni notturni dei cittadini. Anche i sogni erano monitorati, ovviamente. I pensieri sfuggenti non erano altro che scorie mentali da catalogare, eliminare o, quando necessario, modificare.

Si alzò dal letto, indossando la tuta grigia standard fornita dal Dipartimento della Memoria. Non c’era bisogno di scegliere cosa indossare: l’individualità era un lusso che nessuno si poteva permettere. Il suo appartamento era un cubo perfetto di sei metri per sei, arredato con mobili bianchi privi di spigoli, come a voler impedire qualsiasi pensiero acuto o ribelle.

«Mira Valen, archivista di classe B-17, giornata lavorativa iniziata alle 7:00. Buon servizio.» La voce sintetica dell’assistente domestico risuonò nell’aria, impersonale come sempre. Mira non rispose. C’erano giorni in cui sentiva di non appartenere a quel mondo, come se la sua stessa esistenza fosse un brutto scherzo orchestrato da una mente crudele. Ma chi poteva aver orchestrato qualcosa del genere? L’Archivio non sbagliava mai. O almeno così dicevano.

Mentre attraversava i corridoi del Centro Memoria, il bianco accecante delle pareti le ricordava quanto ogni dettaglio fosse stato progettato per neutralizzare la mente. I pensieri si dissolvevano in quella luce asettica. Ma non il suo. Non quel giorno.

«Valen! Hai un nuovo incarico.» La voce apparteneva a Kramer, un archivista anziano con uno sguardo spento e occhiali spessi che sembravano più un peso che un aiuto. «Un’unità mentale difettosa. Devi correggerla prima che generi altre anomalie.»

Mira prese la scheda dati e lesse il nome: Valen, Mira.

Il cuore le si fermò per un istante.

«Dev’esserci un errore» mormorò, ma Kramer aveva già ripreso a digitare su un terminale, ignorandola.

Tornata al suo cubicolo, inserì la scheda nel lettore. Le immagini proiettate sullo schermo le erano estranee: una bambina con i capelli neri che correva in un campo desolato, un uomo senza volto che la teneva per mano, e una voce… la sua voce, che sussurrava: «Non dimenticare chi sei.»

Mira sapeva che i ricordi potevano essere impiantati o cancellati, ma mai completamente. C’era sempre un residuo, una traccia. E quella traccia ora pulsava nella sua mente come un errore di sistema. Un errore che l’Archivio non avrebbe tollerato.

Un bip improvviso la fece sobbalzare. Sullo schermo apparve un messaggio anonimo:

“Ti stanno osservando. Fidati solo dei tuoi ricordi.”

Chiuse il terminale di scatto, il cuore che martellava nel petto. La porta del suo cubicolo si aprì. Due Guardiani dell’Archivio, con le loro divise nere e volti inespressivi, entrarono senza chiedere permesso.

«Mira Valen, sei convocata dal Direttore. Vieni con noi.»

Non era un invito.

Mentre la scortavano lungo il corridoio, Mira si rese conto che non era paura ciò che provava. Era un’altra cosa. Qualcosa che non riusciva a definire, come una parola dimenticata sulla punta della lingua. O un ricordo cancellato.

Resistenza.

Serie: L’archivio


Avete messo Mi Piace6 apprezzamentiPubblicato in Sci-Fi

Discussioni

  1. Ciao. Scrivi molto bene, tuttavia ho notato che fai largo uso degli avverbi di modo in mente e vorrei consigliarti di evitarli. Il motivo? Presto detto, gli avverbi modali, quelli che finiscono in “-mente” e precisano il modo con cui si svolge un’azione o una situazione: violentemente, pacatamente, completamente, parzialmente, accuratamente, debolmente, approssimativamente, linearmente… Ebbene, li usiamo di continuo, nel mondo reale, quando parliamo o pensiamo. “Sei completamente fuori di testa” è una frase che ognuno di noi può benissimo pronunciare o pensare, e quindi ha diritto di cittadinanza anche nel mondo della pagina, come battuta di dialogo o pensiero del personaggio.
    Le cose cambiano, e di parecchio, quando da dialoghi e pensieri ci spostiamo alle azioni e alle percezioni. Chiudo violentemente la porta. Respiro affannosamente. Salgo velocemente le scale.
    Stringo fortemente i pugni. Corro velocemente. La presenza di questi avverbi modali – al di fuori di dialoghi e pensieri – è segno inequivocabile di una nostra debolezza: abbiamo scelto la parola sbagliata, e ora proviamo a trarla in salvo appiccicandogli un avverbio. Ma noi non vogliamo riempire il testo di parole sbagliate. Noi vogliamo andare a caccia della parola giusta: Sbatto la porta.
    Ansimo. Corro su per le scale oppure Salgo i gradini a due a due. Serro i pugni. Sfreccio etc. Vietarsi l’uso di avverbi nelle azioni e nelle percezioni significa imporsi di trovare la parola giusta, vuol dire vaccinarsi contro la pigrizia, la causa principale di una scrittura debole. Quando ci si abitua a usare gli avverbi modali ci si avvita in una spirale di mediocrità da cui poi è problematico tirarsi fuori, perché gli avverbi sembrano non bastare mai: diventano un tic, un ipnotico, un sedativo. Per cui: Attraversò a grandi passi il salone e si affacciò cautamente dalla finestra. In questa frase – ripresa da un testo reale – è una grave mancanza di rispetto verso il lettore. Perché se sei così pigro, svogliato e sciatto da scrivere “si affacciò cautamente”, se non vuoi spendere nemmeno cinque minuti di ragionamento per verificare se esista un verbo che, da solo, riassuma il verbo “affacciarsi” e l’avverbio “cautamente”, quale considerazione puoi mai avere per chi ti legge? E se non hai nessuna considerazione per chi ti legge, perché mai qualcuno dovrebbe leggerti? Attraversò a grandi passi il salone e sbirciò dalla finestra. Scrivere “con cautela” equivale a scrivere “cautamente”. E ho detto tutto.

  2. Ciao Rocco. Questo inizio frenetico mi ha catturato. Unica cosa che forse potrebbe rendere ancora più potente questo inizio potrebbe essere soffermarsi leggermente di più sul ricordo che Mira osserva e sulla traccia che percepisce, e che ho trovato davvero interessante. Scrivi veloce e non ci si riesce a fermare. Bravo

  3. Scrivi molto bene, la lettura è scorrevole e non mi annoio. Se devo essere proprio sincera, ci sono già dei film simili: le persone sono prive di scelta, tutto è uguale per tutti, la protagonista ha ricordi strani.

  4. Interessante il finale. Quel “Resistenza!” messo lì alla fine, mi sembra apra l’intera storia, le dia una direzione. Ci dice molto sul prima (lo chiami ricordo cancellato, non paura…) e sul poi…

  5. Si sente che ne mastichi di sci-fi (magari con elementi ispirati a qualche film…che ricordo di aver visto ma non ricordo i titoli…😄). L’importante è trarre ispirazione ed elaborare una propria storia. Questa tua mi incuriosisce e aspetto di continuare a leggere ancora. 👍