
Espiazione compiuta
Ho messo la freccia, ho girato l’angolo e ho rallentato. Eccomi approdato in un’insenatura tra due palazzi enormi, faccia a faccia, immersi nell’astenia delle due di pomeriggio, dove tutto era troppo giallo, troppo brillante.
Un suono di retromarcia e poi una vettura piccola e gocciolante mi ha sfiorato con una certa abilità.
Nel parcheggio c’era uno dell’autolavaggio che con il braccio destro agitava uno straccio come una bandiera, abbassando il mento. Cioè, mi ha fatto magistralmente capire a gesti che il posto era libero.
Mentre stavo svoltando per parcheggiare esattamente sopra il pozzetto, ho visto un uomo in piedi, accanto a un’utilitaria grigia che due ragazzi coi capelli ricci stavano lavando furiosamente.
Il tizio fumava una sigaretta in mezzo alla coltre di vapore e alla schiuma. Ci ho messo un attimo a capire che era il proprietario di quella macchina.
Però non si muoveva, cioè era perfettamente dritto, come quando si guarda un quadro. Mi ha stupito il fatto che la sua sigaretta, nonostante gli spruzzi e l’umidità, fosse accesa.
Boh, a un certo punto l’uomo che mi ha fatto entrare, in una baraonda di rumori di generatore di corrente, idropulitrici e scrosci d’acqua, ha cercato con tutti i gesti che conosceva di comunicargli di andarsene da lì. Ma quello non capiva.
Allora si è messo a urlare: «Ussire, Capo, ussire», riponendo comunque fiducia nei suoi ampi gesti con le braccia, che accompagnavano le sue parole.
Il tizio allora ha realizzato, con l’aria di essersi svegliato in un sogno. Si è messo a camminare lentamente verso l’uscita, verso la luce. Una volta fuori si è passato le mani tra i capelli zuppi, la faccia fresca, che sapeva di sapone.
Ha sollevato lo sguardo soddisfatto al balcone di fronte all’autolavaggio. In effetti, c’erano tre vasi stracolmi di bellissimi gerani: gerani rossi, gerani bianchi, e mi sa anche violetti.
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