Evocazioni e rievocazioni

Serie: Rifugi


(Immagine di copertina di Fabio Elia)

Per raggiungere il rifugio Valgravio ci era voluta solo mezz’oretta. Giusto in tempo, perchè stava facendo buio e seguire il sentiero, in mezzo al bosco, sarebbe stato più difficile. La struttura era presidiata da un adulto molto effeminato e da un ragazzo e, poichè entrando si sentiva risuonare nell’aria la musica di Elton John, me li sono immaginati, quei due, lì da soli a fare una vita tipo “Brokeback Mountain”. L’adulto era intento a cucinare per noi. Era ora di cena e avevamo prenotato.

Eravamo: io, Scilli, Favie, Ele, Blaco, Veo e Derek. Quest’ultimo è un mio amico d’infanzia. Anzi, più che altro, era il fratellino di un amico d’infanzia, poichè ci passiamo circa sei anni. Adesso è un marcantonio palestrato, infatti lo chiamiamo: il Pompato. Ricordo che, quando eravamo piccoli, i suoi genitori facevano pressioni affinchè lo portassimo con noi. In particolare, mi sovviene un ricordo che lo riguarda. Eravamo, a quei tempi, dei delinquentelli di un quartiere di periferia e, in quanto tali, avevamo deciso, quel giorno, di andare nei campi che si stendevano alle spalle della nostra zona e rubare delle pannocchie. C’era tutta una mitologia sui contadini che ti sparavano col sale, con tanto di un esempio vivente, tra i nostri conoscenti, che ne era stato colpito e che aveva testimoniato quanto fosse stato terribile il dolore. Nonostante ciò, o forse proprio per via di questi racconti, eravamo decisi a sfidare tale pericolo. Effettivamente un contadino ci aveva rincorso per un tratto, ma era armato solo di bestemmie. Io pedalavo più che potevo, tenendo il manubrio con una mano e la maglietta a conca, con le pannocchie all’interno, nell’altra. Avevamo deciso di andare a cucinarle dentro una scuola abbandonata, poichè il tempo si stava mettendo al brutto. Al primo piano della struttura, c’era un ampio atrio sul quale avevamo acceso il falò. Al momento di cuocere le pannocchie, sono sceso giù a cercare un bastone con cui infilzare la mia per tenerla sospesa sul fuoco e, giunto al pianterreno, ho visto, fuori dai cancelli, un’auto della polizia.

-Ragazzi, c’è la polizia.-

-Ma non fare il coglione.-

-Giuro, ragazzi.-

-Ma perchè non la smetti di dire minchiate.-

-Ragazzi, non sto scherzando, venite a vedere.-

In breve, sono scesi anche gli altri e abbiamo pensato di svignarcela da un’uscita posteriore e, proprio mentre scavalcamo la cancellata sulla via retrostante, vediamo sbucare in retromarcia l’auto blu. Fortunatamente, c’era un gradino che non permetteva loro di arrivare fin da noi con la macchina. Questo ci ha dato abbastanza vantaggio da riuscire a scappare. Abbiamo attraversato l’ampio parco a fianco alla scuola, nascondendoci dietro le siepi. Non eravamo tutti assieme, ci eravamo sparpagliati. Io ero col fratello di Derek, che era disperato perchè non sapeva dove fosse quest’ultimo.

-Mio padre mi ammazza!- Ripeteva come un mantra.

Poco più tardi, non vedendo arrivare nessuno, abbiamo preso coraggio e ci siamo avviati alla ricerca del fratello. In breve tempo, siamo riusciti a ricongiungerci tutti, Derek compreso. Quel piccolo pazzo, pensando di non riuscire a scavalcare in tempo, si era nascosto tra l’erba alta e se n’era rimasto acquattato lì mentre i poliziotti gli passavano vicino con i mitra spianati, senza accorgersi di lui.

-Sei coglione?- Gli urlava il fratello- Quelli, non sapendo che eri un bambino, ti potevano sparare se avevano i nervi tesi!

Derek, per tutta risposta, sorrideva fiero. Ma non era tempo di convenevoli; cominciava un temporale e siamo corsi tutti a ripararci sotto ad una stretta tettoia antistante i garage. E’ stato lì che abbiamo visto, per la prima volta in vita nostra, un fulmine da vicino. Era passato a circa cinque metri da noi. Eravamo tutti schockati, ma anche eccitati. Non sembrava essere arrivato dall’alto, forse più dal basso verso l’alto; anzi, neanche. Sembrava come una congiunzione che si fosse materializzata istantaneamente, tesa ad unire due punti, uno in cielo ed uno lì per terra, senza dare l’idea che fosse partita da una direzione verso l’altra, bensì che fosse apparsa tutta insieme, per un attimo, nella sua interezza.

Il giorno dopo, qualcuno suonava alla porta di casa mia. Mia mamma apriva e rimaneva allibita, trovandosi di fronte due ufficiali.

-Signora, dov’era suo figlio ieri sera?-

-Nella scuola abbandonata- Affermava lei con candore- A cuocere le pannocchie.- Con un tono che aveva l’aria di scagionarmi, anzichè incastrarmi.

Il poliziotto, sorpreso da una confessione così estemporanea, aveva esitato un momento:- Ehm…Beh…gli dica di non farlo più, altrimenti la prossima volta…vi verranno addebitati i danni presenti nella struttura.

Ma tornando al presente, ora Derek era un adone alto e muscoloso, intristito da una storia sentimentale finita male e che cercava di evadere dalla sofferenza venendo in escursione con i Mediamente Organizzati. Ancora una volta, come emerso nella descrizione iniziale del gruppo, viene fuori il nostro talento nel radunare spiriti inquieti, tormentati. Come per i gruppi di nerds dei romanzi di Stephen King. La vita ti sta prendendo a schiaffi? Benvenuto nei Mediamente Organizzati! Insomma, una specie di gruppo di auto-aiuto.

Ed eccoci dunque nel rifugio Valgravio. Eravamo satolli ed ubriachi, dopo cena, sulla veranda, a guardare il bosco di notte, fumando e carezzando il cane del rifugio che ringhiava contro la notte intorno, forse annusando tracce di animali selvatici. Rientrati dentro, io mi sono addormentato sulla panca, mentre gli altri facevano una seduta spiritica con una tavola Ouija, presente lì tra i giochi del rifugio. Che stronzi, se avessero davvero evocato qualcosa, io ero lì inerme e indifeso, pronto per essere posseduto. Ma, a detta loro, russavo talmente forte che avrei intimidito gli spiriti.

Mi sarei comunque opposto a quel gioco. Una volta, sempre con i delinquentelli dell’infanzia, avevo fatto una seduta dentro una casetta abbandonata. Ad un certo punto, la monetina su cui avevamo tutti puntato il dito indice facendola ruotare velocemente, ci era schizzata via da sotto le dita, facendoci urlare e fuggire, dopo aver spento tutte le candele. Arrivati a circa dieci metri, voltandoci, avevamo visto riaccendersene una ed eravamo tornati indietro per spegnerla. Certo, non lo potevamo giurare di non essercela dimenticata accesa, ma eravamo abbastanza convinti di averle spente tutte. Io avevo pensato che forse avevamo evocato davvero qualcosa ed allora, tra me e me, ho chiesto a questo qualcosa di farmi promuovere a scuola, visto che stavo andando male. Quando, però, più avanti ho realizzato di essere stato promosso, alla prima reazione di gioia è subentrato un pensiero agghiacciante: e se questo spirito avesse voluto qualcosa in cambio? Tipo…la mia anima?! Per un po’ questo pensiero mi ha attanagliato, poi pian piano mi sono stufato di farmici attanagliare e non ci ho più pensato. Ma adesso, quando qualcuno vuole fare sedute spiritiche, a me viene sempre da tirarmi indietro.

Ad una certa ora, mi hanno svegliato per andare in stanza a dormire. Veo sembrava un po’ inquieto e chiedeva se qualcuno volesse fare ancora due passi, prima di andare a dormire, ed io ho capito che aveva la paranoia che gli ricapitasse un attacco d’ansia simile a quello del Nivolet. Fortunatamente, questa volta, io non ero capitato in stanza con lui e, a fare le spese della sua inquietudine, era, invece, proprio il novellino Derek. Io mi sono infilato nel mio sacco a pelo e sono crollato in tempo zero. Ma, poco più tardi, mi sono svegliato per fare pipì; si doveva scendere giù al pianterreno da una scala molto ripida e, dato che il legno fa molto rumore, avevo svegliato Scilli con i miei passi. Anche lui doveva fare pipì e mi ha chiesto di prestargli le ciabatte mentre rientravo in stanza.

-D’accordo, ma riportamele che domattina non voglio impazzire a cercarle.-

Aveva annuito, ma era talmente rincoglionito dal sonno e dal vino che non credo avesse capito. Infatti, poco dopo, lo avevo sentito rientrare in stanza senza portarmi le ciabatte. Sbuffando, sono andato nella stanza dove c’erano lui, Ele e Favie.

-Scilli, le mie ciabatte dove sono?-

Si è affacciato dal suo letto a castello, più assonnato e rincoglionito che mai.

-In centro dell’abitazione.-

Con l’ubriachezza ed il sonno la sua afasia era peggiorata, ma con un po’ d’intuito ho capito che intendeva al centro del pavimento. Ho guardato le ciabatte che stavano in mezzo alla stanza; mi sembravano un po’ troppo piccole.

-Sei sicuro, Scilli?-

-In centro dell’abitazione.- Ripeteva come una litania, mezzo cosciente e mezzo no, mentre una vocina che passava in secondo piano, inascoltata, diceva:

-Quelle sono le mie.-

Io, nel frattempo, ero concentrato a provarle. Mi sembravano piccole, ma forse ero anch’io rincoglionito dal sonno e dal vino. Pertanto mi sono deciso a calzarle ed avviarmi verso l’uscio, quando quella vocina di prima si è fatta più autoritaria:

-Quelle sono le mie, Dxxxà!-

Aveva bestemmiato! La piccola, dolce, affabile Ele aveva bestemmiato! Ero destabilizzato. Sono tornato indietro e ho chiesto.

-Ma allora dove sono le mie?!-

-In centro dell’abitazione.- Ripeteva ormai in loop, Scilli.

Ho capito che andava ignorato e dovevo cercarle da solo. Erano sotto un lembo di coperta, dal lato opposto della stanza rispetto a dove dormiva lui, tra l’altro.

Confuso e stizzito, sono andato a infilarmi nel mio sacco a pelo. L’indomani avremmo camminato molto e volevo essere riposato.

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