F come fine Felice e film

“Nostalgia è un film drammatico, girato a Napoli, nel rione Sanità. Felice Lasco, il protagonista principale, torna dopo quarant’anni di assenza dalla sua città, per rivedere la madre, ormai vecchia e sola. L’uomo gira per le strade, per i vicoli oscuri e in tutti i luoghi della sua adolescenza, da cui è dovuto fuggire. Vorrebbe ritrovare Oreste, il suo amico fraterno. Non  ha sue notizie da decenni.”

In quel momento arriva Charlotte, la clochard con cui ho fatto amicizia: è paonazza di rabbia. Il suo amico Gavino le aveva promesso di darle qualcosa nel pomeriggio e lei lo aveva aspettato per ore, in spiaggia, senza che lui si facesse vivo. Mentre Gavino cercava di passarmi tutte le informazioni sul film, raccolte qua e là, sui giornali francesi che usava come lenzuola e origliando a destra e a manca, ignorato da tutti, come se fosse completamente invisibile, Charlotte aveva iniziato a declamare una serie di parole che capivo solo in parte: merde, batard, fils de pute, di facile interpretazione.

Abbiamo dovuto sospendere  l’incontro, rinviato a qualche ora più tardi. La cosa più impellente era mantenere la promessa fatta a Charlotte, prima che la sua amica clochard lo riempisse di mazzate con un vecchio ombrello, che usava per ripararsi dal sole o dalla pioggia, o per avere un po’ di privacy in spiaggia.

Gavino era nato a Bono: un paese in provincia di Sassari, dove il suo nome era molto diffuso, per tradizione o per devozione al santo. A vent’anni era partito per cercare lavoro in Belgio, come minatore. Quando la miniera  di Marcinelle era crollata si era trasferito in Svizzera, dove l’avevano assunto per pulire i cessi intasati del Grand Hotel Zurigo. L’avevano licenziato quasi subito, accusandolo di aver rubato le sigarette di un cliente in una camera. Lui ripeteva di essere innocente, quindi gli avevano messo in tasca quattro franchi per andarsene; purché non si facesse più vedere. Il vero motivo era dovuto alle lamentele dei clienti, che spesso si lamentavano perché dava fastidio con il suo “eau de sueur“, che emanava dopo tante ore di duro lavoro.

Era arrivato in Francia con un pellegrinaggio a Lourdes, organizzato da un sacerdote originario di Orgosolo, che aveva conosciuto a Nizza e lo aveva accolto in un dormitorio per poveri, sbandati e senza tetto. Il gruppo era ripartito mentre lui dormiva beatamente sotto un albero, nel bosco vicino al santuario di Lourdes.

Lì a Cannes aveva fatto amicizia con un cameriere del ristorante, che gli faceva trovare, ogni giorno,  i succulenti avanzi lasciati dai VIP o anche le rimanenze intatte della cucina. Alla sua amica Charlotte, quel giorno aveva promesso una porzione di coniglio in salmì, di cui era ghiotta; poi, però, si era distratto a causa del nostro patto. Lui mi avrebbe raccontato la trama e tutti i retroscena del film di Mario Martone e io gli avrei dato 100 euro in cambio di quelle informazioni.

Io e Gavino  ci siamo conosciuti grazie a Charlotte, che ci ha fatto incontrare. I suoi occhi erano diventati lucidi, vedendomi, per la nostalgia della nostra isola che io, involontariamente, gli avevo suscitato.

Dopo averlo salutato, con l’intenzione di rivederci qualche ora dopo, per completare il nostro accordo, mi sono avvicinata di nuovo al Grand Theatre, con la speranza di incontrare Favino o Francesco di Leva nel ruolo di prete.

Dopo quattro ore di attesa niente di nuovo: né attori, né regista, né aiuto regista del film italiano in concorso al festival di Cannes. L’unica novità, tutt’altro che piacevole: la chiamata del Direttore, che mi sollecitava a rientrare. Erano già tre giorni che ero in “villeggiatura” a Cannes: il rimborso spese, anticipato da mia madre, sarebbe stato a carico del giornale: quindi, entro ventiquattro ore, dovevo assolutamente tornare. E… chi si è visto si è visto.

Dopo essere atterrata all’aeroporto di Cagliari-Elmas, non avendo rivisto, né sentito, Gavino, in mancanza di altre curiosità o news, più o meno piccanti, che mi aveva promesso, mi sono precipitata a ” La corte del sole”: uno dei centri commerciali più vicini. Avevo controllato la programmazione sullo smartphone: al cinema multisala The Space, potevo vedere il film di Mario Martone e concludere il pezzo.

Felice Lasco mi è piaciuto subito, con la sua pronuncia un po’ francese, da straniero cresciuto a Napoli e trapiantato in Libano (a Beirut), poi in sud Africa e quindi in Egitto, a Il Cairo, dove aveva stabilito la sua residenza con la bella e adorata moglie. Il personaggio sembra tutt’altro  che finto. Pierfrancesco non delude mai, ma convince, più che mai, anche in questo film: sembra tutto vero, autentico, anche nell’interpretazione di questo ruolo.

Il rione Sanità è un concentrato di brutture: miseria, degrado urbano, criminalità, spaccio di droga, squallore e terrore.

Intere famiglie, dal padre ai figli, fino alla nonna (in qualche caso), dediti allo spaccio della droga.

Una delle scene più struggenti del film: quando la madre viene presa in braccio da Felice e immersa nella grande bagnarola, per farle il bagno. La donna appare in tutta la sua fragilità di vecchia, tutta ossa e pelle raggrinzita, con gli occhi pieni di lacrime e di vergogna, per doversi mostrare nuda agli occhi del figlio, che teneramente cerca di lavarla. 

La donna che interpreta la difficile parte della madre è la brava attrice, quasi ottantenne, Aurora Quattrocchi.

L’incontro con don Luigi (Francesco di Leva), è determinante, con lui inizia ad aprirsi e poi a rivelare il segreto che lo attanaglia da quando aveva lasciato Napoli, all’età di quindici anni.

La sua presenza nel quartiere non è gradita, anche il prete lo esorta ad andare via: la sua vita è in pericolo. Il suo amico fraterno Oreste Spasiano, noto Malommo, è il boss del clan camorrista più pericoloso del rione Sanità. Il solo fatto di nominarlo fa ammutolire i presenti e raggelare gli animi, quando Felice, dopo un bicchiere di vino, osa parlarne.

Non si da pace; finché non avrà parlato con lui non si darà per vinto. Intanto la vecchia moto acquistata dopo aver ripensato, con nostalgia,  ai bei tempi della gioventù, trascorsi scorrazzando col suo amico, viene bruciata. In una parete interna della nuova casa, acquistata per amore di sua madre, compare la scritta minacciosa: “Scomparire”.

La casa ampia e luminosa con giardino, è bella ma, subito dopo, forse troppo repentinamente, la madre muore.

A distanza di tre mesi dal suo arrivo Felice incontra Oreste, in cima a un palazzo, rinchiuso e circondato dai suoi uomini, come un uomo braccato, che non può permettersi  di vivere liberamente come tutti gli altri.

L’incontro voluto tenacemente da Felice, è liberatorio. Quando osa dire, francamente, ad Oreste, ridendo,  che è uno stronzo, il boss si commuove. Il cattivo ritrova, per un attimo, la sua umanità, i sentimenti, le emozioni; avverte la sincerità di un amico vero che non lo ha mai tradito. Mai  lo ha denunciato per il delitto commesso da ragazzo,  di cui anche Felice si sente, in parte, responsabile.

Da quel momento, liberato da quel peso, attraverso il confronto faccia a faccia con Oreste e dopo una sorta di confessione fatta a don Luigi, Felice inizia a sentirsi davvero leggero e felice.

Può cominciare a vedere il quartiere con altri occhi: le bancarelle colorate della frutta, le floride piante verdi in certi squarci del quartiere, il giardino e la luce che riempie la nuova casa. Le altissime palme (unico elemento in comune con il lungo mare di Cannes), che per un attimo svettano al di sopra degli edifici malandati del quartiere. Le voci femminili che dalle finestre aperte diffondono le melodie napoletane. E poi la bellezza sorprendente delle catacombe sotto la città, con i preziosi dipinti del 500, come quello, ancora intatto, che rappresenta il ritratto di una donna africana. E infine la musica dell’orchestra, formata dai tanti giovani dell’oratorio, tenacemente voluta e realizzata da don Luigi, per tenere lontani i suoi ragazzi dallo spaccio e dai crimini della camorra. 

Non tutto è nero dunque, come appariva inizialmente: luci ed ombre, bene e male, brutture e bellezza, che convivono in un unica  realtà.

Durante l’esecuzione del concerto, all’interno della chiesa, Felice si allontana con un’espressione sorridente, davvero felice, dopo aver abbracciato don Luigi, che gli ha procurato un auto in prestito, per andare all’aeroporto, la mattina dopo, a prendere la sua amatissima moglie Arlette, in arrivo dall’Egitto.

La musica lo accompagna, mentre lui si allontana, lungo il vicolo oscuro del quartiere: non è un motivo allegro e neppure un adagio o un allegro andante. Un crescendo di note, che lasciano presagire il finale. Felice, andando via da Napoli, era riuscito a salvarsi, a trovare l’amore, a guadagnare bene con un lavoro onesto. Il boss è prigioniero della sua solitudine, perso nell’oscurità del male. Per lui non c’è speranza; non c’è più niente di buono da salvare; neanche l’unico amico vero che gli era  rimasto. Ma Felice non era un cretino e tutto ciò lo aveva messo in conto; perciò aveva preso le sue precauzioni. Quali? beh! non posso svelarvi tutto. Andate al cinema e saprete. 

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Discussioni

  1. E’ trascorso qualche tempo da quando ho letto il racconto precedente, ma è stata bello conoscere i retroscena del viaggio a Cannes. Bella la storia di Charlotte e Gavino, fa a gara con la trama del film. Confesso che non l’ho visto: rimedierò 😀

    1. Ciao Micol, il film per me è stato davvero coinvolgente e a tratti commovente. Una delle poche cose vere del mio racconto è che sono andata subito a vederlo in un cinema multisala poco distante da casa mia. Se dovessero proiettarlo di nuovo al cinema ti consiglio di andarlo a vedere.

    1. Grazie Alessandro, e´ proprio vero, ancora non so se la mia piu´ grande passione siano i libri o un certo genere di cinema. Di certo i libri, e soprattutto i libriCK, sono piu´ accessibili in tutti i sensi e ci consentono di avere un feedbacke su cio´ che scriviamo.

  2. E non mi resta che andare al cinema! Mi è piaciuto molto il tuo personaggio Gavino, nel quale ho riconosciuto alcuni elementi tipici isolani. Resta un solo quesito: al direttore piacerà questo pezzo? Dico di sì io 😉

    1. Grazie Carlo. Non so se la mia recensione potrebbe piacere a un ipotetico direttore. A me, comunque, il film e´ piaciuto: l’ ho visto davvero, ieri sera, da The Space, alla Corte del Sole. Ti suggerisco di andare, vale la pena.😉