Fausto

Serie: L'Adelina


"I awake dry the scream." Skunk Anansie

“Ne ha fatta fuori un’altra!”

Era stato Alberto a dirlo, ovviamente. Suo zio lavorava al giornale locale: un semplice usciere, che però sapeva sempre tutto prima degli altri.

Aveva dato la notizia a mezza bocca, sussurrando; e subito si era rigirato in avanti.

Non avevano il permesso di parlare degli omicidi, perciò naturalmente non facevano altro. La voce si sparse subito fino al fondo della fila, che ondeggiò tutta insieme in preda ad un brivido. Non proprio paura, no; piuttosto, l’aspettativa di qualcosa, capace di trasformare quella giornata d’ottobre – che la nebbia fitta rendeva così simile a qualsiasi altra – nel segno dell’imprevedibile, dello strano e del misterioso.

Anche Fausto si guardò attorno, l’aria un po’ sonnolenta che aveva spesso, all’ora di entrare a scuola, spazzata via dalla tensione e dal brivido della novità.

Davide, che stava proprio accanto a lui nella fila per due, gli toccò il braccio con il gomito.

“Roba per te, cacciatore di mostri!”

Lo disse in tono leggero, senza traccia di scherno. Fausto non aveva raccontato a nessuno dell’Adelina, solo a Papi; perciò non poteva trattarsi di una presa in giro.

Per questo non ci rimase male, ma si limitò a sorridere vagamente, con un residuo di quella timidezza che lo distingueva da sempre, e che era diventata tanto più forte, dopo la separazione dei genitori.

Nessun altro aveva i genitori separati, per quanto ne sapeva lui. In paese, la gente li guardava un po’ strano, come se si aspettassero qualche altro guaio, da loro.

Era stato ormai due anni e mezzo prima; ma era come se non avessero capito che si trattava di una faccenda definitiva. Continuavano a parcheggiarlo di qua e di là, a seconda degli impegni di uno o dell’altro… Nessuno pensava che fosse una seccatura, per lui, con quello zaino gigante sulla schiena.

All’inizio, ci infilava anche i giocattoli. Non che li usasse, era da un po’ che non ne aveva più voglia; ma non gli andava di lasciarli soli. Poi però la mamma si era innervosita. Diceva che le faceva perdere tempo. Era quasi sempre stanca e nervosa, ora.

Prima, gli leggeva spesso delle storie. Bastava che Fausto si presentasse con un libro in mano, e subito lei spegneva la TV. Ma anche questo, ormai, apparteneva al passato, come un sacco di altre cose. Le spese erano diventate troppe, gli orari di mamma erano cambiati.

Non che si lamentasse. Non era davvero il tipo. Ma a volte la mamma lo guardava come se lui fosse l’ennesimo problema da risolvere, nell’arco delle sue giornate già fitte di impegni.

Alla fine, dentro lo zaino metteva soltanto le cose di scuola e i libri che leggeva. Si trattava soprattutto di vecchi libri della mamma, sulle leggende, i fantasmi, i folletti e le fate; ma gli piacevano anche gli omicidi, e gli investigatori che li risolvevano.

Tra tutti preferiva Sherlock Holmes. Il nonno diceva che era troppo piccolo per capirli davvero, lo prendeva un po’ in giro, e gli diceva sempre “Elementare, Watson!”, ogni volta che non sapeva risolvere qualche problema o qualche calcolo complicato.

Fausto non sapeva davvero come dirlo, al nonno: mai, neanche una sola volta nell’arco dei milioni di pagine che aveva letto sul brillante investigatore inglese, lui aveva pronunciato quelle parole.

“È un’invenzione del cinema” gli aveva spiegato Papi.

Fausto era grasso (la nonna diceva robusto, ma il nonno sorrideva divertito, allargando gli occhi a dismisura), e aveva spesso l’espressione di uno che non ci capisce niente. Soprattutto nelle ore di matematica, che non era esattamente la sua materia preferita.

Papi sapeva un sacco di cose fantastiche, che nessun altro sapeva. A Fausto piacevano da matti le giornate che passava da solo con lui.

A metà della primavera precedente, si era trasferito in una cascina fuori dal paese, circondata da chilometri e chilometri di campagna, e nient’altro. Ora che era autunno pieno, quando si affacciava alla finestra a volte la casa era circondata da una nebbia così fitta da sembrare quasi prepotente, come se spingesse contro le porte e le finestre per entrare…

Non c’era niente di più bello che starsene davanti al camino acceso, sul divano, a leggere le avventure dei suoi eroi preferiti.

Per la maggior parte del tempo, il resto del mondo pareva lontanissimo. Non si sentiva nessun rumore. Ma qualche volta, la campagna lasciava andare come una specie di grido lontano, la voce di qualche animale di passaggio, forse; oppure, dopo essersi sforzata tanto di diventare invisibile, non ce la faceva più, e semplicemente doveva fare qualcosa, per ricordare a se stessa di essere ancora lì, sotto tutta quella nebbia, di esistere davvero…

Una volta aveva tentato di spiegare questa cosa a Papi, ma non c’era riuscito. Era stato l’estate prima, probabilmente la più bella della sua vita.

Non aveva mai provato, nei confronti dell’estate, quella venerazione che sembrava caratterizzare i suoi compagni di classe. L’aspettavano come se fosse il tempo dei miracoli. Insieme al Natale, era il periodo preferito da tutti quanti.

Per il Natale, era d’accordo. I regali, si sa, ti rimettono in pace con la pioggia, la neve, ed altre piccolezze. Quella faccenda dell’estate, invece, proprio non la capiva.

Cioè, non che davvero non la capisse, non era mica così scemo; solo che non la condivideva, ecco.

Primo: era lunga, lunghissima, non finiva mai.

Secondo: gli altri bambini passavano ore in sella alle biciclette, scorrazzavano intorno al paese e per i viottoli, davano la caccia alle rane in riva al fiume, organizzavano risse divisi a squadre, fatte di ciottoli che volavano e urla bestiali, andavano a fare il bagno nel braccio di fiume dove l’acqua verde stava ferma ed era sempre piena di strani guizzi, di cose che strisciavano, e crepitavano in mezzo all’erba folta del greto… Nessuna di queste cose piaceva a Fausto, neanche lontanamente.

La cosa peggiore era che lui sospettava che gli sarebbero piaciute, se solo fosse stato meno grasso. Ma sudava troppo, si affaticava, gli veniva subito il fiatone. Sapeva che, se si fosse unito a loro nei giochi sfrenati e nelle corse furiose, sarebbe stato sempre l’ultimo – quello che arriva quando tutti gli altri hanno deciso di tornare indietro. Non avrebbero fatto altro che prenderlo in giro.

Magari era vero, che era un po’ scemo; ma non abbastanza da accettare di far la parte del buffone per tutta l’estate.

Durante l’anno scolastico, andava meglio, perché Fausto aveva un suo ruolo. Soltanto lui possedeva tutti quei libri e fumetti polizieschi. Li prestava volentieri, perché così, dopo, aveva qualcosa di cui parlare con loro.

Per questo, forse, a parte qualche risatina quando le maestre lo prendevano in giro perché era lento a svolgere le consegne, i suoi compagni non lo avevano mai considerato un inutile grassone.

Grasso forse sì; ma di certo non inutile.

Dopotutto, lui era quello che conosceva le storie migliori.

Papi aveva cominciato a rimettere a posto la cascina all’inizio dell’estate. Per quasi un anno aveva abitato nell’unico albergo del paese. In quel periodo non aveva un bell’aspetto. Ogni volta che lo vedeva, Fausto non faceva che domandargli quando avrebbe avuto una casa.

Era l’unico ad insistere così, sosteneva Papi.

Poi, alla fine di aprile, aveva scovato il posto giusto, come diceva lui; ed era iniziato un periodo di attività varie e frenetiche, cui Fausto aveva assistito, incuriosito e partecipe.

Per la prima volta, nella sua breve vita, gli capitava di notare che gli adulti non sono rocce, sempre stabili e coerenti; ma piuttosto oscillano, in preda al vento delle passioni, proprio come i bambini. Le loro passioni durano un po’ più a lungo, questo sì; perciò, ad un occhio frettoloso, possono sembrare immobili.

Papi aveva deciso di approfittare delle belle giornate estive prima del freddo per rimettere a posto la cascina, e renderla non solo abitabile, ma anche piacevole.

“Ho sempre sognato di abitare in campagna” ripeteva, sorridendo.

Fausto lo seguiva attraverso la lunga fila di stanze dai pavimenti polverosi, con le ragnatele che scendevano dalle travi a vista che sostenevano il soffitto, nere di sporco antico.

Si chiedeva cosa intendesse, Papi, con quella frase. Aveva sempre abitato in campagna, dopotutto: il paese ne era circondato sui quattro lati, e occorrevano dieci minuti buoni per raggiungere lo stradone principale che portava in città.

Ma non ricordava che avesse mai approfittato di quella vicinanza per fare anche soltanto una passeggiata fino al fiume.

Aveva chiesto a Fausto se gli andasse di dargli una mano. Così: come se di colpo il bambinetto che era sempre stato si fosse trasformato in un uomo, a cui fare proposte da uomo.

Per un attimo, gli erano mancate le ginocchia sotto. Continuava a pensare a tutti i modi in cui avrebbe potuto deluderlo. Non riusciva a decidersi, così continuava a rimandare con una scusa o l’altra.

Era stato più a meno alla metà di giugno che le cose avevano deciso per lui. Ricordava bene la data precisa: era stato il 12, perché la mattina aveva sentito parlare per la prima volta degli omicidi.

Serie: L'Adelina


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Discussioni

  1. Ciao piacere di leggerti. Possibile che volessi fare il primo episodio di una serie invece di un racconto singolo? Perché sembra l’incipit di qualcosa più che un racconto autoconclusivo. Ti consiglierei di andarci un pochino più piano con le digressioni: dopo la primissima parte in cui catturi benissimo l’attenzione del lettore, è un continuo affiorare di ricordi e di parentesi che si aprono una dentro l’altra: il lettore rischia di perdersi e di fatto non sta succedendo nulla. Il mio suggerimenti sarebbe di dosare queste digressioni e scatenarle solo quando ci sia un gancio appropriato, altrimenti rischi di buttare addosso al lettore in maniera sbagliata tutto l’ottimo lavoro che traspare nella costruzione del personaggio.

    1. non ci crederai, marco, ma è esattamente quello che ho fatto, creare una nuova serie… solo che con la tecnologia sono peggio di woody allen, io lo dico, ma il pc non lo fa… grazie per il commento e per i preziosi consigli, spero che anche il resto della storia sia di tuo gradimento… mi farai sapere…

  2. Ciao Sassy, mi è piaciuto, riesci a creare una bella atmosfera e a dare credibilità ai personaggi, sia Fausto che i genitori. Mi sono sentita osservatrice di quel che succede, magari seduta su un ramo a spiare in basso. Attendo con gioia il prosieguo (ci sarà, vero?)

  3. “Per la prima volta, nella sua breve vita, gli capitava di notare che gli adulti non sono rocce”
    Una tappa così importante nello sviluppo delle ragazze e dei ragazzi….