Fiore cieco

Alicante, Spagna, estate 1957.

Giovanna: anche se sono diventato cieco, mi ami ancora.

È così semplice, il tuo nome è così semplice da pronunciare, è così facile da ricordare; ha in sé una lieve sfumatura grigio azzurra: ecco perché mi ricorda la sabbia, la sabbia grigia dei pomeriggi al mare. C’è del grigio argento nel tuo nome.

La tua voce invece la percepisco in sfumature verdi smeraldo, ma meno lucenti. È un verde gradevole, sa di leggera freschezza, come la menta in giornate di sole, o la sfumatura vellutata del retro delle foglie di rosmarino in certe mattinate di primavera. La tua voce ha una sensibile profondità, è come un nastro per decorare i regali, largo e sfugge un po’ quando parli; il tono più profondo della tua voce scompare prima perché c’è un che di incomprensibile quando pronunci le vocali finali delle parole; perché mi aspetto sempre che tu debba sorridere quando chiudi una parola. Se dici anche solo “Beh”, io giurerei che stai sorridendo.

Se dovessi paragonarti a qualcosa, forse penserei ad una caramella, ma non di quelle alla frutta o quelle agli agrumi; saresti quelle caramelle fondenti alla menta. Ti associo ai colori verde, grigio, azzurro. Si può passare da uno di questi colori agli altri molto facilmente: il verde, l’azzurro e il grigio sono fratelli, sai, è come se uno fosse la sfumatura dell’altro.

Per quanto tu mi abbia detto che ti piace ballare e che giochi a pallavolo, veramente mi è difficile pensare che ti muovi velocemente. Per me hai un ritmo lento, più lento. Tu, se devi prendere un libro, ci metti un po’, perché ti piace vedere come si muove la tua mano mentre lo afferri; il libro non ti cadrà mai per terra, hai una presa decisa, lo so; è forte come i tuoi abbracci. Nei tuoi abbracci c’è del calore, calore vero! Passa, per un attimo, il caldo dei giorni d’estate, d’agosto, quello che arriva alla mattina tardi, mentre magari ancora dormo e sono coperto da quell’unico lenzuolo. In quel momento eccolo arriva quel calore e lì mi sveglio. Nei tuoi abbracci c’è sempre come un risveglio, è come se ci si rendesse conto che si sta perdendo qualcosa e conviene svegliarsi. C’è sempre del bianco nei miei ultimi sogni al mattino. Il bianco ritorna poi quando metto i cereali nel latte; il miele arancio arriva la sera, invece, con le luci gialle dell’artificiale, che spengo quando te ne vai.

Col mio cucchiaio ancora in mano tenuto come un pennello finisco in giardino e sto troppo tempo sospeso tra il verde del fogliame e quei frutti rossi del ciliegio anziano giapponese, o cinese, che tu chiami Tai Li Chu e che c’ha un ché di gommoso nel nome, e par che la corteccia chiara debba sciogliersi da un momento all’altro.

Poi comincio a dipingere. Arrivi quasi subito, appena mi fermo davanti alla tela bianca (per me è sempre bianca). Ti sento aprire lenta la porta in cucina con un crepitio di legno e come di carta, come la carta pesante da pacchi giallo carico, come le foglie dei tigli in autunno. Quando apri la porta in estate, un filo di luce ti attraversa; posi i colori sul tavolo, mi abbracci da dietro e mi baci.

— Ciao, Jesùs.

— Ciao, Giovanna.

— Cosa ricordi di quello che hai visto mentre venivi qui?

— Ho visto un fiore.

— Un fiore.

— Era piccolo, era sbocciato vicino all’albero di Ginkgo sul crocevia.

— Odori di vaniglia. Oggi il fiore è giallo come la vaniglia, come il profumo delle paste. Avvicinati.

Le cingo i fianchi con la mano destra e avvicino le labbra alle sue: le sfioro, le odoro, mi profumano per un attimo e una spada di luce mi trafigge e mi squarcia la testa. Lei mi abbraccia… E piango. Mi bacia ancora e dice:

— È un fiore giallo, ora l’hai visto; dipingi, ti prego.

Così prende il giallo, l’arancio, il nero, il bianco, il rosso, il viola.

Io dipingo, dipingo come mi ricordo, come mi ricordo quel fiore. Chiedo i colori e lei li avvicina al pennello e li chiama con nomi di cose: vaniglia, miele, luce artificiale, neon, corrente elettrica. Stendo il colore lentamente, con pennellate larghe; nel silenzio sento la sua densa cremosità appoggiarsi alla tela piano, come un piccolo rettile che striscia in mezzo al limo di un fiume.

— Parlami di quel fiore, Giovanna. Cos’hai provato quando l’hai visto?

Le stringo la mano.

— Ho pensato che doveva avere un grande coraggio a nascere lì, con così poca terra, al fumo delle automobili. È un fiore molto attaccato alla vita, Jesùs.

(Pausa)

— Passami il viola, il viola S. Valentino. Il nero è qui..? Si, è qui. Vorresti raccoglierlo quel fiore? Vorresti portarlo qui?

— No. Preferisco che tutti lo vedano.

(Pausa).

— Un po’ d’argento, un po’ d’argento, argento sabbia; qui, Giovanna, qui vicino al petalo.

(Pausa).

— Il bianco, il bianco latte caldo… il nero… ma solo un po’… L’altro pennello dov’è?

Andiamo avanti così per tutto il pomeriggio, ci fermiamo solo quando fa buio.

— Ora è buio, Jesùs.

— Ora è buio, Giovanna.

Rimaniamo soli, il quadro è finito.

Silenzio.

L’aria passa dalla veranda con una tenerezza che mi sovrasta, e chiedo baci e carezze. Giovanna, delicatamente mi allontani dalla tela e dai colori e facciamo l’amore in silenzio. È buio, ma con te una spada di luce mi trafigge e mi squarcia la testa; sono cieco, ma ti vedo con precisione di linee scolpite dalla luce della nostra salvezza; sono cieco, ma dipingo, dipingo il miracolo abbagliante di tutta questa gente, di quella che applaude, che compra i miei quadri, che si stupisce; dipingo il miracolo dei colori, delle emozioni, di quella perla che sei tu, Giovanna, che rapisci istanti profumati.

È buio, ma si espande una luce calda, calda come il tuo abbraccio in sere d’estate a dipingere un fiore.

Ti piace0 apprezzamentiPubblicato in Amore

Discussioni

  1. Ciao, avevo letto ieri questo racconto, andando a cercare sotto Librick -amore. Mi ero ripromessa di commentarlo con calma.
    Trovo che scrivere sull’amore e dell’amore sia una cosa difficile, almeno per me lo è, il dubbio e il rischio è quello di cadere nello scontato o di spingere sulle parole per caricare troppo un sentimento che di per sé non ne ha bisogno. Io ho letto qui un bellissimo racconto. Lo hai saputo narrare questo amore in maniera non convenzionale, a tratti in tutta la sua semplicità di cose e parole, in altri punti c’è stata un’attenta ricerca delle parole, dei colori, dei dialoghi che sono la parte viva di un racconto, facendoci vedere (anche a chi possiede la vista degli occhi), particolari necessari nell’amore. Per come è scritto, mi verrebbe da pensare che chi lo ha scritto non abbia davvero l’uso della vista, ma abbia cavalcato altri “canali” per farlo. Complimenti! Buon proseguimento di scrittura.

  2. Ciao Alberto, il tuo racconto è speciale, come lo sono le cose amate. L’ho letto con i sensi e l’ho immaginato. Un tripudio di colori, odori e sensazioni. Un susseguirsi di meravigliose metafore. Splendida la donna, Giovanna, colei che ha misericordia. Veramente bravo

  3. Ciao Alberto, benvenuto.
    Hai condiviso una piccola meraviglia, ci hai fatto un bellissimo regalo, grazie.
    Ti seguirò con piacere.