
Forrest
Novantotto metri di diametro. Trecentonove metri di circonferenza. Trentasette diverse specie di alberi e arbusti in più di settemila metri quadrati di prato ben irrigato.
Forrest aveva calcolato e catalogato tutto, come faceva sempre. Sapeva con esattezza quanto misurava un suo passo, quindi non gli restava che contare i passi e moltiplicare. Cosa che gli riusciva benissimo.
Anche quella scelta, in fondo, gli era riuscita bene. La scelta di vivere in una rotatoria.
Era successo un martedì pomeriggio: sedeva sotto la tettoia del centro commerciale dove, per trent’anni, ogni settimana, sempre di martedì pomeriggio, era andato a fare la spesa con la lista scritta dalla madre. Quel martedì pomeriggio però non aveva più una madre che gli scrivesse la lista, né una casa dove ritornare con il sacchetto della spesa.
Troppi cambiamenti. E anche piuttosto difficili da accettare.
Guardò il traffico. Guardò i carrelli colmi di sacchi della spesa altrui che uscivano dalle porte automatiche. Guardò nel suo futuro e non vide nulla.
Poi i suoi occhi si volsero sulla rotatoria. Grandi così non ne aveva mai viste. Neanche quando era andato a fare il militare in forestale. L’unica volta che era uscito di casa, in effetti.
Sembra un’isola, pensò.
E traversò la strada incurante del traffico. In mano la busta della spesa appena fatta con i soldi della pensione della madre. L’ultima pensione. Poi non ce ne sarebbero state più.
Al centro della rotatoria la vegetazione era abbastanza fitta. Lì in mezzo una porta di ferro introduceva in un locale di servizio del ripetitore per la telefonia, illuminato da una finestrella. In breve quel locale, non più ampio di nove metri quadrati, divenne la sua casa, il suo bunker.
La faccenda più complicata fu quella di sistemare i rapporti con la ditta incaricata della manutenzione della rotatoria. Quando i giardinieri si accorsero di lui Forrest timidamente avanzò una proposta: lasciarlo lì senza dire niente a nessuno. In cambio avrebbe pensato lui alla cura delle piante e allo sfalcio dell’erba. Chiese agli operai di concedergli due settimane di prova, una falciatrice a spinta, una sega, una scala e un paio di forbici. Tornati nei tempi stabiliti, gli operai trovarono il lavoro eseguito a regola d’arte e, senza discutere oltre, se ne andarono in un bar vicino a festeggiare il tempo guadagnato e la fatica risparmiata.
Per il mangiare e l’arredamento della nuova casa non ci furono grandi problemi. Bastava qualche breve incursione notturna verso i cassonetti del centro commerciale, una bella nuotata dall’isola alla terraferma – si diceva tra sé e sé Forrest – e tra gli scarti di giornata trovava tutto il necessario.
Un pomeriggio capitò un imprevisto. Mentre Forrest se ne stava in mezzo al suo bosco a sistemare il terreno per un piccolo orto, ad un tratto sbucò fuori un anziano in canottiera con un mazzo di asparagi in mano. Si guardarono fissi, con sorpresa. L’anziano gli chiese chi fosse e cosa ci facesse lì. Forrest gli rispose che ci abitava e che anche lui raccoglieva gli asparagi.
L’anziano si mise a ridere. Pure io tanto normale non sono – si disse – visto che vado in cerca di asparagi su una rotatoria in mezzo al traffico cittadino.
Così diventarono amici, Forrest e l’anziano. Anzi per la verità, questo nome, Forrest, fu proprio l’anziano a metterglielo. Forrest, d’altro canto, aveva catalogato con perizia forestale, tutti gli alberi e gli arbusti della rotatoria. Ognuno aveva ora la sua targhetta con l’aggiunta di un nome di battesimo. Perciò c’erano il leccio Giorgio, la quercia Maria, l’abete Maurizio, l’alloro Giuseppe, l’ippocastano Alberto e il pino Pino.
L’anziano, che invece si chiamava Gino, disse a Forrest che era veramente un bel tipo. E che era giusto trattare gli alberi come persone, perché in fondo ogni albero ha dentro di sé un genio, anche se vegeta in mezzo a una rotatoria.
Forrest ne fu molto colpito e si sentì meno solo, per la prima volta dopo la morte della madre.
Fu così che Gino, qualche giorno dopo, condusse per mano suo nipote Andrea in visita all’isola misteriosa, la rotatoria di Forrest. Gli fece conoscere il suo nuovo amico a condizione che Forrest insegnasse al nipotino i nomi di tutti gli alberi, anzi che glieli presentasse di persona.
Il piccolo Andrea fu così entusiasta di quella visita sull’isola-rotatoria misteriosa che lo raccontò a tutti i suoi compagni di scuola. In breve papà, mamme e figli, nonni e nipoti organizzavano visite periodiche alla rotatoria di Forrest, che ne divenne la guida, o meglio, il genio della rotonda. Quasi sempre era vestito di verde con una tuta da lavoro che gli avevano lasciato i giardinieri e in testa portava un cappello con una piuma trovato nei cassonetti del supermercato nel periodo di carnevale.
L’elfo Forrest divenne così amato e popolare nel quartiere, tanto che i bambini chiedevano sempre un selfie con lui prima di lasciare la rotatoria. Forrest sorrideva e acconsentiva a condizione che nel selfie trovasse spazio almeno uno dei suoi amici alberi. Così i bambini tornavano a casa con la loro foto insieme a Forrest e all’abete Maurizio. Oppure insieme a Forrest, a Pino pino e a Luigi tiglio.
Qualche problema si poneva per la viabilità. Perché non essendoci strisce pedonali verso il centro della rotatoria, spesso le visite dei bambini e degli adulti che li accompagnavano creavano intralci al traffico.
Un giorno questo transito di persone finì per causare un piccolo tamponamento. Intervenne una pattuglia della Polizia Municipale e un giornale locale riportò l’accaduto collegandolo a quella stravagante situazione che si era creata nella rotatoria.
Per tutta risposta la burocrazia comunale partorì, stranamente in meno di dieci giorni, un’ordinanza di sgombero della rotatoria. Un assistente sociale traversò la strada e andò a parlare con Forrest, al quale – per la verità – propose una sistemazione decente in un centro accoglienza.
Forrest si consultò con i suoi amici alberi e il giorno dopo, tramite il signor Gino, fece sapere all’assistente sociale che lui no, non aveva proprio alcuna intenzione di muoversi dalla rotatoria.
Passarono altri giorni senza che succedesse nulla e Forrest iniziò a credere che lo avrebbero lasciato in pace. In fondo a chi dava fastidio? La rotatoria era verde come mai lo era stata in precedenza, gli alberi sembravano felici e – soprattutto – i bambini del quartiere mostravano di voler far amicizia con loro, con gli alberi. Un’amicizia che, forse, sarebbe durata a lungo, ben oltre la rotatoria. E lui, Forrest, se ne sentiva il garante. Quantomeno sentiva di poter essere utile a qualcuno, anche senza dover andare a fare la spesa al supermercato una volta alla settimana. Era un’anima semplice Forrest, come il genio di un albero, appunto.
Però la sua semplicità non gli consentiva di concepire i tempi dei procedimenti amministrativi, lenti ma inesorabili, come l’autunno che fa cadere le foglie dalle querce.
Perché, in realtà, pian piano l’ordinanza divenne efficace. Esperito il tentativo pacifico, sarebbero dunque arrivati i vigili a portarlo via. Glielo dissero il giorno prima, come ultimo avvertimento. E lui lo riferì a Gino. Che lo confidò a Andrea. Che lo raccontò a tutti gli altri bambini. Che si dettero appuntamento per il giorno successivo.
Dunque un bambino con le braccia aperte – calcolò Forrest – occupa uno spazio di circa 120 centimetri: quindi, intorno alla circonferenza della rotatoria ce ne sono ora 257. E si tengono per mano in un grandissimo girotondo. Saranno qui per aiutarmi? Ma no, magari sono venuti solo per proteggere i loro sogni appesi a questi alberi, pensò di nuovo…
Forrest sorrise soddisfatto: intorno a lui un cerchio di alberi, un cerchio di bambini e un cerchio d’asfalto: tutto era bello, rotondo e protettivo.
La pattuglia della Polizia Municipale restava ferma al margine della rotatoria, con i lampeggianti accesi, in attesa di ordini dalla centrale.
Avete messo Mi Piace4 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Molto bello, poetico e scritto davvero bene. Come si resiste del resto al fascino delle isole? Complimenti.
Bellissimo racconto, mi ha preso tantissimo!
Un racconto fluido e veloce che fa di frasi chiare ed incisive il suo marchio. La storia è molto ben scritta anche se non è originalissima.
Un inizio davvero ammaliante. La scrittura poi procede liscia e scorrevole fino ad una conclusione a dir poco piacevole. Complimenti, l’ho letto proprio di gusto!
Grazie Roberto! Il racconto è un piccolo gioco. Passando davanti a una rotatoria della nostra città ci abbiamo scherzato molte volte con gli amici, invitando qualcuno ad andarci a vivere…?
In quanto agli alberi e ai loro geni…si tratta di un omaggio al grande Buzzati…
L’incipit cattura subito, Il racconto fatto di frasi chiare e concise non ti fa mai abbassare l’attenzione, finale molto bello! Bravissimo, complimenti!