Frammenti 

Non c’è luce qui. Anzi c’è, ma è poca.
È quella della luna, che filtra debolmente dalla finestra. Mi metto a sedere sul letto con un po’ di fatica, sento le ossa pesanti, come se fossero schiacciate da un peso invisibile.
Sento il cuore scalciare nel petto, devo aver fatto un altro incubo, ma non ricordo. Inspiro ed espiro profondamente, c’è qualcosa che non va. Mi sento osservata. So di non essere sola. Mi guardo intorno, assottiglio lo sguardo per abituare i miei occhi al buio e poi, la vedo.

È lei.

Il fantasma di quella vecchia raggrinzita, mi guarda da lontano, da un angolo della stanza. Se ne sta lì ferma e immobile, la veste bianca, le mani ossute, i capelli grigi come cenere, le rughe le incorniciano il volto scavato, mentre gli occhi… non ho mai visto degli occhi del genere, così vuoti e spenti. Sembra che mi vogliano scavare dentro l’anima. Ho paura. Ho tanta paura. Voglio la mia mamma. Inizio a piangere, non riesco a fermarmi, non capisco perché quella vecchia sia qui

Cosa vuole da me?

“Mamma, mamma!” urlo con tutta l’aria che ho nei polmoni.

Silenzio.

“Mamma! Ti prego vieni, ho tanta paura!” riprovo ancora più forte di prima.

La vecchia è lì, nell’angolo, ad osservarmi. Non si muove, non parla, non fa niente, ma è ancora lì.

 

Dei passi, finalmente, sento dei passi avvicinarsi. La porta si apre di colpo e una donna dai lunghi capelli rossi compare sull’uscio.

 

“Mamma!” squittisco io con un filo di voce e gli occhi pieni di lacrime.

Lei si avvicina al mio letto con aria stanca.

“Cosa è successo?” mi chiede con tono dolce. Io alzo un dito verso l’angolo della stanza, dove fino a un attimo fa c’era quel maledetto fantasma.

“Quella vecchia raggrinzita,“ spiego io tra i singhiozzi “se ne stava là in piedi a fissarmi.”

La mamma si gira nella direzione che le ho indicato, il suo sguardo si sofferma su un punto indefinito della parete per alcuni secondi, poi torna a poggiarsi su di me.

I suoi occhi chiari si riempiono di una tenerezza che mi scalda subito il cuore.

“Tranquilla Amelia, ora non c’è più, se n’è andata. Puoi tornare a dormire, va bene? Io resto qui con te.”

Annuisco mentre mi asciugo le lacrime.

La mamma mi aiuta a rimettermi a letto, poi mi accarezza i capelli mentre un dolce sorriso si fa largo sul suo volto assonnato.

E sotto il suo tocco, mi addormento di nuovo.

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Oggi il sole splende alto nel cielo così ne approfitto per fare una bella camminata in giardino. L’aria è fresca, i fiori devono essere appena sbocciati e in lontananza sento degli uccellini cinguettare.

Al mio fianco, un giovane uomo cammina accanto a me. Lo osservo con la coda dell’occhio, le mani nascoste nelle tasche di un giubbotto scuro, la barba appena accennata, le labbra sottili.

 

È affascinante, penso, mentre sento le guance andare a fuoco.

“Oggi è una bellissima giornata, non trovi?” mi chiede il giovane sorridendo.

Annuisco imbarazzata rimanendo in silenzio. Che ci fa un uomo del genere insieme a me? Glielo chiederei ma…

 

Una farfalla dalle ali variopinte svolazza ad un passo dal mio viso, poi si posa su una rosa poco distante.

“Che bella, guarda!” esclamo stupita.

L’uomo mi raggiunge un attimo dopo, si china per guardarla meglio.

“È davvero bella, Amelia. Davvero bella.”

Mi volto verso di lui, perplessa.

“Amelia?” chiedo confusa “Chi è Amelia?”

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È sera, il sole è appena tramontato ed io sono sola nella mia camera da letto.

Tra poco la mamma preparerà la cena e subito dopo mi infilerò sotto le coperte per una bella dormita, sono così stanca. Mi avvicino al comodino di fianco al letto, voglio scrivere sul mio diario prima che la cena sia pronta, voglio scrivere della giornata di oggi.

Apro il cassetto, inizio a frugarci dentro ma del diario non c’è traccia.

Dov’è? Dove l’ho messo?

Inizio a guardarmi intorno freneticamente. Controllo sul letto, sotto il cuscino, sulla scrivania ma niente, non lo trovo. Poi mi volto di scatto verso l’angolo più buio della stanza e la vedo, di nuovo, è ancora lei.

 

“Tu” sibilo mentre con passo deciso mi avvicino a lei.

La vecchia mi fissa.

“Sei stata tu, lo so! Hai rubato tu il mio diario! Dov’è? Dove l’hai messo?” urlo stringendo forte i pugni. La vecchia tace ancora ed io sento la rabbia crescere come un fuoco dentro di me. Non la sopporto più, non la voglio più vedere.

 

Mi avvicino alla scrivania spoglia, afferro la sedia e con fatica la trascino verso la vecchia. Poi con tutte le forze che ho in corpo la sollevo, chiudo gli occhi e gliela scaravento addosso.

Quando li riapro mi trovo per terra accasciata sul pavimento, intorno a me una miriade di pezzi di vetro riflette un paio di occhi vuoti che mi scrutano senza pietà. Afferro uno dei frammenti con un movimento incerto, la scheggia tagliente mi solletica il palmo della mano.

 

“Chi sei?” chiedo al riflesso, ma questo non mi risponde.

La porta si apre, una donna dai lunghi capelli rossi mi guarda con aria triste.

Sembra preoccupata, perché è preoccupata? Si avvicina con passo lento poi si inginocchia davanti a me.

Una lacrima solitaria le attraversa la guancia.

“È pronta la colazione?” le chiedo sentendo la pancia iniziare a brontolare. Lei si asciuga il volto, non so perché pianga, non so nemmeno chi sia, non mi sembra di averla mai vista prima, ma sembra gentile.

“Sì è pronta, andiamo a mangiare adesso. Devi avere molta fame” mi dice sorridendo.

Io annuisco.

Ci alziamo insieme, lei mi prende una mano tra le sue, ma invece che stringerla forte me la fa aprire delicatamente. All’interno c’è un frammento di vetro sporco di sangue.

 

“Questo lo prendo io, va bene?” mi chiede dolcemente. Annuisco ancora.

 

“Lì dentro c’è un’anziana signora che mi guarda con occhi spaventati. 

Ma non so chi sia…Tu la conosci? Puoi prenderti cura di lei?”

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Discussioni

  1. Ciao Sabrina, mi unisco agli altri commenti. Hai trattato con grande delicatezza un tema molto triste, di cui sono stata spettatrice per pochi mesi con mio nonno. Hai reso alla perfezione entrambi i punti di vista. Complimenti di cuore!

  2. Penso che riesca nel suo intento: prende il lettore e lo pone di fronte alla fragilità umana. Sono temi di cui non se ne parla abbastanza, ma soprattutto non così bene, non con questa dolcezza nelle parole.

  3. Ciao Sabrina, hai descritto perfettamente la demenza senile o Alzheimer. Il credersi ancora bambini, non riconoscere più le persone care o rivederle in altri. Racconto tremendo e bellissimo, narrato con delicatezza e poesia. A volte mi domando se la sofferenza sia maggiore per chi osserva il cambiamento di una persona cara o per chi cambia e ritorna con la mente a tempi più felici. Bravissima❤️

    1. Grazie per queste parole Concetta.
      È vero, c’è sicuramente tanto dolore da entrambe le parti, forse l’unica “fortuna” (nella sfortuna) della persona che ne soffre, è proprio quella di dimenticarsi anche di questo dolore, arrivati ad un certo punto di non ritorno🌷

  4. Brava Sabrina perché con delicatezza e con l’uso della prima persona che qui risulta particolarmente efficace, hai toccato un tema che è sicuramente caro a tutti. Direttamente o indirettamente.

  5. Ciao Sabrina, mi è piaciuto molto il tuo racconto. Ha rintuzzato quella paura in me, silente che se ne sta quatta sotto il velo, di perdere piano piano la ragione senza accorgermene quando sarò più avanti con l’età. E ci ho visto anche i sogni che ogni tanto, raramente, mi capitava di fare tempo addietro, quando mi ritrovavo ad osservare me stesso da vecchio.

    1. Buongiorno Roberto, sì, da una parte mi fa sicuramente piacere che questo racconto sia riuscito a toccare corde tanto profonde ma dall’altra, ovviamente, mi dispiace aver rispolverato questa tua paura che, però, penso appartenga un po’ a tutti noi (anche se in misura differente e in diversi momenti della vita) quindi grazie per averla condivisa qui con noi 🫂