Fratelli d’armi

Quel giorno sarebbe rimasto nella storia. Ma per noi che combattevamo fianco a fianco da anni, per noi, consumati nel fisico e logorati nella mente, noi ignari eroi, non era quello che davvero importava.

Inquadrati su tre linee, poste una dietro l’altra, attendevamo in silenzio scrutando preoccupati alla nostra destra, dove si apriva una foresta oscura dalla quale giungevano sporadici, allarmanti segnali. Un rumore di ferraglie, il clangore di officine infernali ci faceva tendere i nervi fino allo spasmo.

Sapevamo che il nemico sarebbe giunto da quella parte, ma non quando… e l’attesa ci sfiniva. I centurioni presidiavano i punti chiave dello schieramento; due all’estremità, uno al centro. Guardavamo loro cercando di imitarli: erano dei veterani. Sui loro volti duri, scavati, correvano le rughe di mille battaglie, dei momenti gloriosi. Delle mute sconfitte.

Quando, dal nulla, comparve un bagliore sulla collina, i nostri cuori pulsarono all’impazzata. Avanzava tremolante come uno spirito demoniaco, segno tangibile ed etereo di una massa che spinge, che freme. Ci fu uno sbandamento nelle retrovie, ma i veterani si voltarono con sguardo truce, riportando l’ordine dove serviva. Ogni esitazione ci sarebbe costata molto più di quanto avremmo potuto immaginare.

Poi l’oscurità prese vita… centinaia di fiaccole si accesero, muovendosi a folle velocità. Solo allora realizzammo che saremmo stati travolti se non avessimo imitato i centurioni. Fu la loro determinazione a farci mantenere la posizione nonostante l’indicibile fragore che, da solo, sarebbe bastato a fiaccare il nostro impeto guerriero.

Lo confesso, ebbi paura. Paura di non riuscire, di fallire. Una disfatta che avrei potuto accettare in altri luoghi, in altri momenti: ma sentivo accanto a me un nugolo di gomiti che mi sostenevano, l’intreccio dei calzari che sfregavano gli uni con gli altri. Il mio dovere era quello di resistere, e non per me… c’era, su tutto, il rispetto per quegli uomini che avevo visto ridere, piangere, cantare davanti a un fuoco. Gli stessi ai quali, nelle notti fredde sotto i cieli della Caledonia, avevo confidato le paure nascoste, il dolore invincibile di un desiderio senza speranza. Loro, i miei fratelli d’armi. Eravamo ancora una volta insieme, legati dal vincolo di un perenne giuramento, in un dramma invisibile che si consumava mentre la furia del fronte avversario ci spingeva all’indietro, travolgendoci.

Quando un grido gutturale sovrastò tutti, credetti di svenire:

«Fermi…! È una trappola!» urlò il centurione che presidiava l’angolo sinistro.

Fu grazie a lui che uno scampolo di razionalità ci rese coscienti: la fila nemica si era arrestata di colpo, e noi con essa. Un attimo terrificante e sublime, permeato da un silenzio innaturale che faceva eco ai respiri affannosi, ai pensieri confusi. Uno di quei momenti in cui tutto, tutto può succedere.

I veterani levarono in alto le braccia e noi le seguimmo con i nostri sguardi increduli, fino a incrociare le palle di fuoco che piombavano dall’alto, troppo rapide per poterci ormai chiudere a testuggine. Ci avevano colti di sorpresa, rischiando essi stessi al limite dell’incredibile. Eppure, le loro macchine infernali furono precise e letali.

Quella era una morte annunciata. Sferrammo colpi di gladio alla cieca, consci del nostro destino. Ma quando sentii una lama trapassarmi da parte a parte, afferrai con forza gli ultimi brandelli di respiro per guardare ancora l’aquila d’oro e argento, e il motto che essa riportava: “Usque Ad Finem”.

La mia vita per la Legione.

Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Questo racconto sembra quasi narrare un sogno.
    Davvero molto bello ed evocativo, le scene sono vivide e si proiettano nella mente come scene di un film.
    È sempre un piacere leggerti, caro Robért. 😊👍

    1. Giuseppe, è per me un vero piacere saperti tra i miei lettori. A dispetto della brevità, hai detto tutto ciò che avrei voluto sentire. Ho aggiunto, proprio a seguito della tua osservazione sulla sequenza “cinematografica”, una clip dei SuiAkrA, dal titolo “The IXth Legion”. Musica un pò di nicchia ma che dire, nutro una vera passione per i gruppi metal tedeschi…

      La storia della IX Legione, il cui destino è rimasto avvolto nel mistero per lungo tempo, ha ispirato romanzi e registi. La scena iniziale del film Centurion (2010) di Neil Marshall mi ha di certo appassionato fino, a far scattare le corde giuste per scrivere.

      Grazie come sempre.

  2. All’insegna della qualità. Si parlava proprio pochi giorni fa di chi preferisce scrivere poco ma bene, centellina le sue pubblicazioni quasi a farsi aspettare. O magari ha solo poco tempo per pubblicare, perché fa altro, lavora ad altre cose o legge tanto o, ancora, scrive un proprio libro e non ha tempo per altro. Bentornato, Robért. Ogni tanto ci si rilegge, ed è sempre un piacere al palato.

    1. Caro Giancarlo, la tematica di cui parli, e cioè il ritmo di pubblicazione, è una tematica che mi sta molto a cuore. Personalmente, l’attività di lavorazione e revisione che faccio su ogni mio testo è massiccia, impegnativa e già da sola non mi consentirebbe di avere una frequenza come quella che vedo, talvolta, in giro.
      Ma, devo essere sincero, c’è la questione altrettanto importante del sapersi gestire. Non credo vada spiegato come le letture perdano quel “mordente” a fronte di un’inflazione di racconti. In particolare quelli brevi. Differente sarebbe un libro che ti trascina lento, con alti e bassi, picchi e picchiate.
      Perfino nel mondo commerciale le case discografiche, cinematografiche, editrici stanno ben attenti all’eccessiva proliferazione artistica.
      Non dico infine che non sia possibile mantenere il medesimo livello di qualità, ma le pubblicazioni a raffica non aiutano nel racconto breve in termini di intensità, a mio parere.

      Grazie per i complimenti, sempre apprezzati. Questo mio piccolo racconto, davvero breve, punta tutto sulle emozioni indotte nei lettori che, nella mia intenzione, si vedono presi in contropiede, sospesi tra il desiderio di essere solo spettatori e quello, ben più potente, di fare di tutto pur di arrestare l’inesorabile.

  3. “a fila nemica si era arrestata di colpo, e noi con essa. Un attimo terrificante e sublime, permeato da un silenzio innaturale che faceva eco ai respiri affannosi, ai pensieri confusi. Uno di quei momenti in cui tutto, tutto può succedere. “
    Complimenti.

  4. ” Ma quando sentii una lama trapassarmi da parte a parte, afferrai con forza gli ultimi brandelli di respiro per guardare ancora l’aquila d’oro e argento”
    Grande momento epico.

    1. Se fossi bravo con le parole, forse riuscirei a fare un valido commento del commento.

      Apprezzo tanto, Luigi, non solo la tua eleganza d’altri tempi, ma la coerenza di fondo che va al di
      là del gradimento o meno: approcci da lettore con lo stesso spirito con cui scrivi. Nessuna ideologia né dietrologia sul contenuto ma un’analisi competente che spazia su vari fronti, dalla linearità
      della trama alla sintassi, giungendo a rilevare allitterazioni, a cogliere e rimandare dinamismo e
      tensione. Passi dalla forma al contenuto (e in questultimo dimostrando, ribadisco, una vera etica professionale) con una facilità disarmante.

      Sono onorato, perfino sorpreso, delle tue belle parole. Soprattutto perché non vuote ma intrise di un senso che ti sforzi di esplicitare. Ecco, su questo tua generosa attitudine che, lo dico con molta umiltà. è anche la mia almeno nelle intenzioni, vorrei concentrare l’attenzione concedendomi una citazione, si tratta di una frase di Kurt Vonnegut sulle regole per scrivere racconti che ho scoperto solo oggi ( postata da @sonialom ) “State sottraendo del tempo ad un perfetto sconosciuto, fate in modo che lui, o lei, non sentano di averlo
      sprecato.” Semplice al limite del banale, ma così crudamente vero.

      Tutto questo per dirti: grazie.

  5. Hai dipinto un quadro di grande impatto e forza espressiva. Tutto riluce in uno scintillio sinistro che va a intrecciarsi con i sentimenti intrisi della febbre dei luoghi e dei bagliori delle fiaccole. Bellissimo l’intreccio del “nugolo dei gomiti” (molto efficace per il dinamismo e la tensione allitterrante che hai congegnato) e dei “calzari che sfregavano gli uni con gli altri”, che dentro l’affresco ho avvertito come prolungamento visionario delle coronarie dei combattenti, oltre il loro ardore e il loro sfinimento. La progressione dei toni e dei tempi narrativi è molto oculata e funzionale. La costante visionaria dilata di continuo lo spettro delle azioni, in quello stesso “dolore invincibile di un desiderio senza speranza” che cala come una scure lucente sul tuo proscenio.

  6. Non è semplice cimentarsi nel raccontare la storia, specialmente quella antica, che di battaglie ne ha viste tante e tutte apparentemente simili ai nostri occhi di oggi. Ci vogliono dunque le parole adatte per riuscirci, ce chi le ha e chi no. Tu appartieni alla prima categoria. C’è un messaggio nei racconti storici? Forse sta in quel “mille e non più mille”. Per quanto mi riguarda io so che allora come oggi, nell’antica Caledonia o in Ucraina, la gente va mandata a morire.

    1. Grazie, Francesco. Mille e non più mille si riferisce al nuovo limite delle parole che la redazione ha posto dall’inizio del nuovo anno.

      Per il resto, che dire, qui cerco di cimentarmi nella narrativa. Indegnamente, certo, ma senza inquinamenti di sorta.

      Un abbraccio.