
FUNERALE
Cigolò il vecchio carro di legno, si inclinò e la bara cadde nella fanghiglia coperta di neve leggera.
Il cielo grigiastro stava prendendo il colore scuro della sera, mentre alcune fioche luci si accendevano lungo la stradina che portava al camposanto.
Il fiacco cavallo che tirava il carro fece un acuto nitrito, nell’aria fredda.
La bara infangata fu rimessa a posto, un’altra volta.
Il corteo era composto soprattutto dagli anziani del paese; i loro volti nascosti da sciarpe e berretti pesanti. Nessuno piangeva, sotto le tremolanti ombrelle. Speravano soltanto che la cerimonia funebre finisse in fretta.
Dopo la breve messa, celebrata nella algida e silenziosa chiesetta di mattoni, in mezzo alla campagna, qualcuno era tornato subito a casa, bestemmiando per tutta l’acqua sporca che entrava nelle scarpe.
Quelli che decisero di seguire il morto lo fecero soprattutto per insultarlo, ad alta voce, come ultimo commiato prima della sepoltura.
Il prete che guidava il corteo ogni tanto si voltava indietro, dicendo: “Fratelli, abbiate un po’ di pietà per lui, almeno adesso che la sua anima è salita in cielo.”
“Ma quale anima!” disse Matilde, una vecchietta con il naso grosso e rosso, “mica ce l’aveva l’anima, era peggio di un cane con la rogna.”
Adele, dietro di lei, con un ombrello pieno di buchi, le diede manforte: “Non avrei mai scambiato il mio cane con quel vecchio puzzolente, ubriacone e bugiardo.”
Intervenne Teodoro, sfregandosi le mani intirizzite, senza guanti: “E hai ragione, sapeva soltanto scroccare zuppa e bicchieri di vino in osteria.”
La neve stava mutando in pioggia gelata; per terra un pantano di fango e foglie marce. Il cavallo tremava, la coperta che gli avevano messo sulla schiena era fradicia e pesante. Il prete teneva una borsa con l’incensiere, ormai pieno di acqua, e diceva a bassa voce qualche frase in latino. Nel corteo nessuno pregava, e tanto meno piangeva.
“E poi sempre a raccontare quella storia” cominciò Geremia, togliendosi gli occhialetti appannati “che Gesù Cristo ogni domenica andava a trovarlo, a parlargli, a dargli consigli.”
“Sì, proprio a lui!” disse allora Gina, una grassona che avanzava a fatica “peccatore della peggiore specie.”
Il prete si girò un’altra volta, ma non riuscì a parlare; gli si avvicinò Aldo, il fabbro del paese, e lo prese per un braccio chiedendogli: “Ma lei, don Sergio, lo ha mai visto in chiesa, durante tutti questi anni? lo ha mai sentito ringraziare chi lo aiutava a campare? o magari crede che davvero ogni domenica, alle sette di sera, ricevesse quella santa visita?”
Il prete stava per replicare, ma Lino, dai lunghi capelli canuti e unti, fu più veloce: “Esatto, tutte le domeniche del Nostro Signore, alle sette in punto, ma solo lui poteva vederlo!”
“Soltanto lui! vecchia pelle di volpe fetente” concluse la Pina, arzilla novantacinquenne, vedova da mezzo secolo.
Il carro, con un ultimo cigolio, si arrestò davanti ad uno spiazzo malamente illuminato. Nella sera ormai arrivata si scorgevano a malapena lapidi e croci di marmo. Qualche lumino, sfuggito alla pioggia, tremolava di luce rossastra.
Il prete si avvicinò ad una fossa aperta da poco, coperta con un telone sudicio; posò la borsa per terra, nella poltiglia.
“Fratelli” iniziò a mani giunte, mentre gli tenevano l’ombrello “siamo qui, in questa triste domenica, a salutare per l’ultima volta…”
La pioggia ritornò neve, ora a falde molto grosse e pesanti. La predica finì in fretta; l’incenso, tutto bagnato, nemmeno si accese. La bara fu calata nella fossa, assieme a grossi grumi di terra scura. Due becchini, muniti di badili, riempirono poi lo scavo; infine inchiodarono due corte assi a formare una croce, che piantarono sopra la sepoltura.
Nessuno, alla fine della preghiera, disse ‘amen’. In fretta tutti tornarono verso casa, con i vestiti inzuppati ma la coscienza liberata e tranquilla.
Quando ormai i partecipanti al corteo furono lontani dal cimitero, lo screpolato campanile iniziò a battere le sette.
Sulla tomba del vecchio ubriacone, la misera croce di legno si piegò su un lato; la terra appena deposta si smosse, fino all’ultimo rintocco.
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non mi sembra che i commenti dei partecipanti a funerale siano ipocriti, bensì ostili. È pur vero che l’aforisma cristiano che siano soprattutto i malati (i peccatori) ad aver bisogno del medico spiegherebbe le apparizioni di Cristo all’odiato ubriacone. Ma nella mentalità bigotta, e invidiosa, una apparizione di Cristo appare più una visita di riguardo di cui sentirsi onorati che una mano tesa per aiutare chi affonda.
e aggiungo che non rintraccio alcun elemento “horror” nel tuo racconto.
grazie per la lettura.. i vecchietti non credono alle ‘visite’ forse perchè non confidano nemmeno nel Padreterno.. vanno in chiesa solo per convenzione.. manco il prete, in fondo, è così interessato alle ‘rivelazioni’ dell’ubriacone..
Concordo con i commenti precedenti. C’è stile in questo racconto altamente evocativo. Sopra tutto, a mio parere, l’immagine del cavallo fradicio con la pesante coperta sulle spalle. La pioggia rende tutto più appesantito e fastidioso come i commenti ipocriti racchiusi negli ottimi dialoghi. Bravissimo
Grazie Cristiana.. sei sempre molto gentile nei confronti delle mie minuscole composizioni
E’ un racconto scritto molto bene che poteva essere catalogato benissimo sotto il genere horror. Nella sua brevità è riuscito a colpirmi per l’accurata ambientazione, una scena con tutti i suoi degni personaggi intorno a una bara, con fitti discorsi che appartengono al ciarlare paesano o meglio a una borgata. Uno stile asciutto, pulito, fatto di poche, ma precise frasi. Piaciuto molto.
grazie mille.. un commento molto gradito.. come genere ci starebbe anche grottesco/religioso, forse..
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Grazie Giancarlo.. sei sempre puntuale e preciso nei tuoi commenti.. e scrivi bene pure tu.