Funivia (2)

Serie: L'Urlo Muto delle Ombre


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: NB: "L'urlo muto delle ombre" è un'antologia di racconti autoconclusivi. Puoi leggerli in ordine sparso 🙂 Frinzi è in viaggio con il Signor Gastani, il suo (fastidioso) socio in affari, su una funivia che sembra non arrivare mai...

Avvertì il torpore protrarsi nei muscoli. Un ronzio che lo avvolgeva. Voleva aprire gli occhi, ma le palpebre sembravano incollate, e non ci riuscì. Quindi riconobbe i contorni sfocati del sonno. Poi arrivò il dolore ai glutei. Infine si fece sentire il freddo e, lentamente, gli arti e le dita tornarono a far parte del suo corpo.  Sollevò le palpebre.

C’era solo l’oscurità, e un punto rosso incandescente che svolazzava, come una grossa mosca di fuoco. Solo il fetore di cui era impregnata l’aria gli fece capire. A pochi passi, Gastani fumava, silenzioso. Il punto rosso si illuminava quando inspirava, e si spegneva quando il fumo veniva espirato dall’angolo della bocca invisibile. E nell’aria tornava pungente il puzzo di tabacco.

Frinzi voltò il capo, ignorando le proteste dei muscoli cervicali. La luna gelida illuminava la foresta di abeti e le rocce aguzze. Appoggiò il viso al vetro della cabina, che si appannò del suo respiro. Si ritrasse, infastidito dal freddo. La cabina passò ronzando davanti a una roccia lunga e appuntita, sulla cui sommità cresceva un piccolo abete.

“Che diavolo…” biascicò Frinzi, in preda ai residui della sonnolenza.

Il punto rosso si fermò a mezz’aria.

“Amico mio” disse Gastani in un tono pacato, che lo avvolse quasi coccolandolo. “Che si dice?”

Frinzi tacque.

“Che si dice” disse infine, ripetendo le parole del socio. Il silenzio calò come un velo nella cabina. Frinzi apriva e chiudeva gli occhi; se li strofinava, ma nulla cambiava. Sempre il punto rosso, e la roccia aguzza sui cui cresceva l’alberello.

“Già. Che si dice?” ripeté Gastani.

“Che si dice” disse Frinzi alzando il tono della voce. “Che si dice?” domandò ancora, e questa volta stava gridando. Si protrasse in avanti, osservando Gastani che era solo un’ombra. E quel punto rosso.

“Amico mio, non- ”

Frinzi scattò. Le sue mani attanagliarono il collo di Gastani, stringendolo come se la cosa più importante, in quel momento, fosse non farselo sfuggire. Il sigaro scivolò dalle labbra dell’altro, rimbalzò sul cuscino del seggiolino, bruciandone la pelle, e cadde sul pavimento il lamiera senza che nessuno suono si udisse; ora gli unici rumori erano i rantoli soffocati di Gastani.

“Amico un accidente!” tuonava Frinzi. “Amico un corno!”

Gli occhi si erano abituati all’oscurità, e iniziavano a distinguere la figura che si dimenava tra le sue mani. Gli occhi di Gastani erano di un bianco spento; la forza delle sue convulsioni si era ridotta a quella di un piccolo animale intrappolato. Poi le dita di Frinzi si aprirono di scatto. Gastani si accasciò inerme sul seggiolino e sbatté la testa contro la parete di plastica trasparente. La cabina vacillò.

Frinzi era indietreggiato fino a urtare anch’egli contro il vetro, per poi lasciarsi andare contro lo schienale del suo seggiolino. Gastani nel frattempo si era ricomposto e aveva raccolto il sigaro con la punta delle dita. Lo spense schiacciandone la punta contro la lamiera del pavimento. Il punto incandescente sparì, e il sapore dell’aria migliorò.

“Accidenti” gracchiò Gastani massaggiandosi il collo. “Che presa.”

“Dove siamo?” chiese Frinzi. Faticava a far uscire le parole dalla bocca.

“Beh, amico mio” rispose Gastani. Deglutì a fatica. “Siamo sulla funivia che porta al lago di Milveno.”

“E allora” ribatté Frinzi, con il tono di chi ha appena concluso una maratona, “spiegami perché non siamo ancora scesi da questo cazzo di trabiccolo!”

“Amico mio” proseguì Gastani riprendendo il controllo, “diamo alla funivia il tempo di arrivare.”

Frinzi guardò fuori dal finestrino, e scrutò il versante della montagna attraverso il pannello alle sue spalle. La cima era ancora nascosta dal tettuccio della cabina. Poi tornò a rivolgersi a Gastani.

“Hai visto?” esclamò indicando alle sue spalle con il pollice.

Gastani alzò le sopracciglia e disse: “Visto cosa, amico?” Sorrise, e ripose il sigaro fumato a metà in una scatoletta di metallo che aveva estratto da un taschino della giacca.

Sotto di loro, una roccia appuntita sulla quale cresceva un piccolo abete.

“Ecco!” gridò Frinzi indicando in basso. “Guarda! Vedi?”

“Cosa, di preciso?” chiese Gastani guardando in basso a sua volta, in un tono a metà tra il dubbioso e il divertito.

“La roccia! Il Pino!”

“Oh, beh… qui è pieno. Di rocce, e di pini, intendo.”

Frinzi lo fissò a lungo, incredulo. Intanto l’aria si faceva sempre più gelida, e il suo respiro sempre più corto. Nelle sue orecchie tuonavano battiti di gran cassa e timpani, fuori tempo rispetto a quelli sommessi del cuore.

“Tutto bene?” chiese Gastani. Inclinò il capo, e sorrise. “Amico mio?”

La vista si oscurò, e l’oscurità tornò totale.

* * *

Una fitta trapassò il cranio del Signor Frinzi. Aprì gli occhi, e attraverso le palpebre filtrò un raggio di luce che lo accecò. Attese che l’alone bianco al centro della vista si dipanasse, quindi ritentò. Sopra di lui era sospesa la sagoma di un volto umano. In contro luce non la riconobbe, ma in ogni caso non aveva mai visto quell’uomo.

“Si è svegliato” esclamò la persona, che Frinzi riconobbe dalla voce essere una donna. Apparve un altro volto.

“Mi sente?” chiese il secondo arrivato, che era un uomo.

“Dove sono?” bofonchiò Frinzi, incerto che gli altri avessero capito le sue parole gracchianti. Aveva la gola secca… quanto aveva dormito?

L’uomo era sul punto di rispondere, quando lui e la donna dovettero farsi da parte..

“Fate largo” esclamò una voce in avvicinamento. I due infermieri – Frinzi riconobbe le giacche arancioni con le strisce catarifrangenti – sparirono, e al loro posto apparve un uomo in un completo nero.

“Signor Frinzi?” chiese laconico.

“Sì…”

“Lei è in arresto per l’omicidio di Mauro Castelli.”

“Chi?”

“Mauro Castelli” ripeté l’uomo distrattamente, mentre annotava qualcosa su un taccuino.

Le parole risuonarono vuote nella mente di Frinzi. Ma lui riusciva a ricordare solo la funivia; il sigaro; la notte. E il Signor Gastani.

“Che giorno è?” chiese senza sapere di preciso il perché di quella domanda.

L’ispettore corrugò la fronte. “È il ventidue di luglio” rispose con leggerezza.

“Ventidue…” ripeté Frinzi pensando, senza che quella data gli dicesse nulla.  

Infine, Frinzi domandò: “Dov’è il Signor Gastani?”

L’espressione sul volto dell’ispettore si fece dubbiosa. Lo fissò a lungo, prima di parlare.

“Quale Signor Gastani?”

Serie: L'Urlo Muto delle Ombre


Ti piace0 apprezzamentiPubblicato in Horror

Discussioni

  1. Pazzesco. Mi ha ricordato un film di parecchio tempo fa, l’uomo senza sonno. Trattava di uno stato di dissociazione simile. Ho riletto due, tre volte, cercavo indizi, passi falsi, ma nulla. E’ perfetto. Ci hai “ingannati” fino alla fine, sei stato bravissimo.

    1. Grazie Irene! In realtà un indizio c’era, seppur molto sottile: il fatto che Frinzi non ricordasse il giorno in cui lui e Gastani costituirono la società 🙂
      Ps: Dovrei recuperare quel film 😉

  2. Riprendo dal commento del primo episodio… In effetti si è rivelato molto interessante. Ottimi gli indizi che ci preannunciano la follia di Frinzi. Anche qui richiami al tempo e alla ripetizione ossessiva di dettagli.

    1. Esatto, Arianna: Il Signor Gastani, la società che avevano creato insieme… era tutto nella testa di Frinzi (ecco perchè non riusciva a ricordare il giorno in cui avevano costituito la società, ecco perchè Frinzi non si ricordava di essere mai stato dal notaio). Quindi a lasciarci le penne è stato Mauro Castelli, che in realtà è uno sconosciuto che si è trovato, per una (sfortunata) coincidenza, nella cabina con Frinzi.
      Questa era l’idea, spero tanto che anche a te sia arrivata, e di non aver fatto, invece, confusione.