Giochi di luce II parte

Serie: Credo.


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Fede e Bene fanno una passeggiata.

Proseguimmo il pomeriggio facendo un giro per il quartiere, bevendo vin chaud tra le bancarelle di un mercatino dove comprai dei libri in lingua e delle vecchie stampe dei progetti di costruzione della basilica. Rientrammo per l’ora di cena.

“Com’è andato l’appuntamento?” chiese in tono canzonatorio Marco appena varcato la soglia.

“Benissimo grazie” risposi. Fede sorrise facendogli l’occhiolino.

Appresi che Elena e Marika mi avevano preparato una torta. Marco aveva scongelato la pasta al forno di sua madre per l’occasione. Stavo per ribadire che non festeggiavo il mio compleanno, ma ripensai a ciò che aveva detto Federico quel pomeriggio.

Cosi sorrisi a quelle quattro persone che negli ultimi mesi erano diventati fondamentali per la mia sopravvivenza li. Grazie a loro era diventato semplice non sentire nostalgia di casa. Non pensare a Roberto, soprattutto. Mangiai una bella porzione di pasta al forno, sulla quale tra l’altro nacque un’intensa discussione. Perché la pasta mischiata è più buona se la mischi tu e non se la compri già mischiata? Perdemmo una serata dietro questa cazzata. 

Tornai in camera dopo una doccia e riguardai le due polaroid scattate da Federico. La prima in cui spegnevo una candelina sulla torta e l’altra dove, dopo aver tagliato accuratamente cinque fette, Elena mi buttava la restante torta in faccia. Ero felice, e non lo ero davvero da troppo tempo. 

Mentre indossavo una tuta per andare a dormire, Mi soffermai a pensare come è possibile che due persone che per anni hanno condiviso qualsiasi momento o emozione, possano diventare indifferenti da un giorno all’altro.  Come stava? Cosa faceva? Come andava il lavoro? Aveva fatto aggiustare la macchina? Come stava sua mamma? E la gattina aveva avuto i cuccioli? In realtà a metà di queste domande avevano risposto le mie mie migliori amiche. Io non chiedevo nulla però loro continuavano comuqnue ad aggiornarmi. Speravano, credevano erano fermamente convinte che prima o poi saremmo ritornati a essere Bene e Robi,  era difficile lasciare andare tutto quando si era legati anche da amici in comune.  Sua mamma era migliorata, i gattini erano stati adottati tutti e sei, la macchina l’aveva comprata nuova, aveva ottenuto un contratto a tempo indeterminato e faceva sempre doppi turni. Stava bene o almeno così sembrava si era inscritto in palestra, non usciva molto e spesso dovevano obbligarlo. Sbuffai cacciando via i pensieri.

Un post-it verde fluo e una scatola blu sul comodino catturarono la mia attenzione. Aprii la scatola che conteneva un grazioso porta candela cilindrico in ferro battuto e vetro che riproduceva minuziosamente la vetrata sopra il coro della chiesa di Saint Denis, dentro una piccola candela bianca. Spensi la luce della lampada e accesi la candela, la fiamma illuminava le piccole vetrate che riflettendo sui muri creavano punti di luce colorata. Lessi il post-It.

”Per quando hai bisogno di un momento di pace.” 

Non so nemmeno come mi ritrovai davanti la porta della sua stanza. Bussai piano. Quando mi aprì stavo giocando nervosamente con quel bigliettino verde fluo tra le mani. Non sapevo cosa dire, cosa fare. 

Federico mi prese per il braccio e mi trascinò nella sua stanza, chiuse la porta alle mie spalle spingendomici contro per poi baciarmi.

Poggiai controvoglia le mie mani suo petto spingendolo via delicatamente da me. Lui si postò di scatto. 

“Sono stato troppo irruento,  scusami” il mare nei suoi occhi era in tempesta e io mi ci volevo perdere.

“Io non…” non avevo idea di cosa dire.

“Sei così fragile Benni”

“Non sai quanto”

“Non ho nessuna intenzione di giocare con te. Sono qui e non vado da nessuna parte”

Inspirai rumorosamente avvicinadomi. Mi avvolse delicatamente connun braccio attirandomi a se e mi baciò di nuovo, dolcemente questa volta. 

Quella sera fu l’ultima in cui pensai a Roberto. 

Serie: Credo.


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