
Giusto tre minuti
Guarda, ti concedo giusto tre minuti, e dico tre, quindi vedi di fare alla svelta.
Posso sembrarti antipatico, ma oggi è stata una giornataccia e mi permetto di essere franco con te: di racconti è pieno il mondo, di storie edificanti e zuccherose, o lugubri e terrificanti, tutte irrimediabilmente uguali a sé stesse.
Non mi va proprio, dunque, di alimentare speranze inconsistenti.
Da bravo, sbracciati per darmi più di quello che mi aspetto da te, che mi aspetto da ogni racconto che meriti in prestito il mio sguardo: che tocchi il mio cuore, stuzzichi la mia fantasia, aizzi il mio desiderio, o più banalmente che secondi le mie uggie. Divertendomi, magari, o insegnandomi qualcosa, sarebbe il massimo.
So che sai che non potrai sottrarti alla tua sola ed unica missione, alla ragione per la quale sei venuto al mondo dall’angusto orifizio di una stilografica: far vivere sul palcoscenico della pagina un personaggio e le sue relazioni, raccattando da ogni dove le schegge del suo universo emotivo per sciorinarle davanti gli occhi sognanti o accigliati del lettore.
Come al mercato, dove tutto è in vendita e tutto può essere acquistato, non prima però di essere attentamente soppesato.
Come vedi, il mio atteggiamento nei tuoi riguardi non è affatto capzioso: si tratta semplicemente di dimostrarmi quanto vali. Non ti chiedo altro: di rispettare una promessa.
E di farlo in fretta.
Perché vedi, caro il mio racconto, che il primo dei tre minuti che ho deciso di concederti è già alle nostre spalle, definitivamente trapassato, e se devo essere sincero non mi sembra che tu abbia ancora fatto o detto nulla che passerà alla storia dei racconti, consegnandoti all’immortalità dell’imperitura citazione sui social, destinata alla viralità.
Eppure da te mi aspetto uno scatto d’orgoglio, la tenace presunzione di chi ha qualcosa da dire, di chi è qualcosa da dire. Lo hai già fatto, so che tornerai a farlo, perché questa è la tua cifra: mi hai sedotto mille volte quando, soffiando ancora ed ancora nel personaggio un alito di vita lo hai consegnato ad una storia di cui lo hai reso attore e spettatore al tempo stesso, come un palloncino cui un bimbo buono abbia deciso di regalare un’opportunità. Magari la sola.
Che stupido son stato a concederti questi tre minuti, la metà dei quali è scivolata via inesorabile: non mi resterà che lasciarti i tuoi tre minuti, per me ormai inservibili, raccattare le mie poche cose e lasciarti sul ciglio di uno scaffale; deluso, a capo chino, rivolgerò la stessa esortazione allo schermo abbagliante di uno smartphone, il quale mi zittirà senza andare tanto per il sottile, vomitandomi addosso una furiosa baraonda di immagini e suoni.
Ben più assordante del tuo flebile sussurro: per lo meno non deluderà alcuna promessa perché non ha mai preteso di farmene una.
Come dici? Che la colpa della figuraccia odierna va ripartita in parti eque tra te e me? Vedi di non scherzare, adesso, o mi arrabbierò per davvero! Assumiti almeno le tue responsabilità e riconosciti per quello che sei stato: uno spiraglio su un mondo rimasto ermeticamente sigillato, incapace di intrattenermi, di commuovermi, di lanciarmi e lasciarmi il benché minimo messaggio.
Adesso la stai sparando davvero grossa, ti avevo avvisato: questa cosa di rimpallarmi la responsabilità per la tua inconcludente sciatteria mi da su tutte le furie. Stento a riconoscerti, cosa sei diventato?
Stento a riconoscere in te il compagno che ha dato calore e colore alle mie giornate, l’aquilone sull’esile rivestimento del quale sono planato su mondi fioriti nella mia fantasia forse ancora prima che sulla tua pagina.
A pensarci bene, in effetti, non ci avevo mai pensato prima.
Non avevo mai pensato prima che la carica inesauribile che si sprigiona dal tuo scheletro di parole ha avuto una prima dimora nella mia mente: è lì che si sono plasmati i miei gusti personalissimi in fatto di trama ed intreccio, di ambientazione e punto di vista, è sempre lì che foraggiano le mie aspettative in merito a ciò che mi significherai, è ancora lì il reparto ostetricia dove tutte le principesse e tutti gli orchi del mondo hanno visto la luce, dove le mie speranze hanno preso per mano le mie paure, camminandovi insieme.
È stato il mio sguardo ad averti dato l’immane potere che hai esercitato su di me come meglio hai voluto, strappandomi al sonno e ricompensandomi con dei sogni.
Con tutti i sogni che potrò mai sognare.
A questo punto, però, non credi di essere ingeneroso verso te stesso quando affermi che, per parte tua, hai contribuito con poco più della tua buona volontà, con l’equilibrismo funambolico tra l’informe materia narrata e quel pizzico di maestria e perizia tecnica di una penna che ti ha scaraventato sulla pagina?
Come potrei io, ancor prima di aprirla, quella pagina, aver fatto da solo tutto il resto, col mio sguardo?
E come avremmo potuto, io e te insieme, cospirare ai danni di ogni meschinità che imbruttisce il mondo?
Mi spiace, caro racconto: non mi hai convinto.
I tre minuti finiscono qui.
Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Un punto di vista inedito, il tuo racconto mi ha divertita. Per chi scriviamo? Negli ultimi tempi confesso di essermi un po’ persa, fatta piegare dall'”ansia di prestazione” e bloccata: la mia mente è affollata da mille universi che non riesco a mettere in parole per “timore”. Scriviamo per provocare negli altri un’emozione, un ricordo pseudo sensoriale in grado di fissarsi indelebilmente nella mente del lettore: “non ricordo cosa ho letto, ma so che mi ha fatto sentire bene”. Ora sto recuperando le mie origini, dove scrivere era un bisogno primario e un piacere che regalavo per prima a me stessa. Certo, desidero toccare chi mi regala un attimo del suo tempo per leggermi, ma ho deciso di recuperare un po’ di “leggerezza”. Grazie per aver innescato in me questa riflessione.
Wow Micol! Grazie per la portata e la raffinatezza delle tue considerazioni! Una riflessione importante, stratificata, che richiede di soffermarsi per assaporarne ogni risonanza: magnifico essere riuscito ad innescarla, merito condiviso con una sensibilità, evidentemente, matura, inquieta e pensosa. Che, e qui sta il bello, ha in sé il lievito dell’interrogarsi sul perché e sull'”in vista di cosa” scrivere. Insomma: mio il vento, tua la vela. Alla prossima
Che dire…davvero originale! Questi tre minuti sono volati via, mentre leggevo l’autore parlare col suo racconto, esortarlo, pungolarlo…ascoltarlo.
Piaciuto!
Grazie mille sono contento sia piaciuto! Mi piace creare dialoghi surreali, esplorare le potenzialità espressive che nascondono!