
GLI ADDII
Lo attendevano in silenzio, senza aprire bocca in quello che è il tempio della musica classica, non un semplice sottoscala, proprio “La Scala” in via Filodrammatici n. 2, a Milano.
Lo aspettavano muti e concentrati, come tanti pomodorini Mutti in attesa di essere spremuti dal Maestro. Loro erano i Professori, lui il Maestro; cento professori d’orchestra comandati a bacchetta da un maestro concertatore. Non è che in questo mondo rovesciato la prossima riforma degli Enti Lirici eleverà il bidello, o più appropriatamente il collaboratore scolastico, al rango di Sovrintendente del teatro?
Il Maestro Riccardo ritardava la sua uscita, la pedana vuota al centro del palcoscenico da tempo lo reclamava, anche se ogni tipo di reclame o reclamo era vietato. Un leggero brusio proveniente dalle ultime file del loggione, praticamente dalla soffitta incassata nel sotto tetto, iniziava a farsi sentire anche dalle prime file della platea, rigorosamente riservate a personaggi altolocati in attici e superattici che, pur di apparire, non disdegnavano un posto ai piani bassi, magari al piano terra.
Come sempre accade, qualche ritardatario dell’ultimo minuto cercava disperatamente il suo posto aiutato dalla maschera; il posto prenotato inevitabilmente era in mezzo alla fila, costringendo una alla volta, una decina di persone ad alzarsi mugugnando a denti stretti:
“E venire prima, magari con qualche chilo di meno per essere più agili?”
Dall’alto di un palco laterale la vista di tanti schermi luminosi, quelli degli smartphone accesi, rendeva la platea simile ad un campo santo con i tanti bei lumini votivi che uno ad uno si spegnevano mano che la luce del teatro si diradava fino al buio totale. Quasi sempre un ultimo irriducibile spettatore lasciava acceso lo schermo fino all’ultimo, per le conclusive e improcrastinabili comunicazioni social, dimostrandosi così asociale: “A-Social”. Chiara’mente doveva essere una importante influencer ma poco importa, a parte a qualche milione di follower, la maleducazione rimane.
Immancabili e contagiosissimi i colpi di tosse, anche di chi ne anticipava la necessità perché non si sa mai, è meglio prevenire per non dover poi trattenere, proprio nel momento meno opportuno, magari durante un delicato arpeggio di un’arpa, uno stimolo irrefrenabile gestito da quel sistema nervoso simpatico, per nulla simpatico, così antipatico da far venire il nervoso.
In galleria i primi battimani sottolineavano che la pazienza del pubblico stava scemando, invitando con le buone il Maestro a comparire, pur non avendone il mandato.
Finalmente il Maestro Riccardo fa la sua entrata davanti ai tanti professori d’orchestra che lo stavano attendendo in piedi in segno di rispetto, ci mancava la riverenza ma i tempi son passati, per fortuna.
Con un cenno della mano ringrazia affettuosamente il pubblico plaudente zittendolo.
Più di “mille” persone – mille e una con la maschera in fondo alla platea, tutti muti, tutte mute per la sintassi e perché dotate della parola, attendevano da (un) “quarto” (d’ora) il loro condottiero. Ora duemila occhi (tolti i due bendati, quello di Gessica Notaro per tragica necessità, e quello di Jovanotti per pura idiozia in quanto vestito da pirata) fissavano la bacchetta per intercettarne il benché minimo movimento. Dato il tempo, il Maestro ordina l’inizio della sinfonia n. 8 in Si minore D 759, l’Incompiuta di Franz Schubert.
In sala nella prima fila l’attrice Ornella Muti fa bella mostra della sua mise leopardata, attirando lo sguardo di tanti spettatori, spettatori, loro malgrado, del suo inevitabile declino. Il tempo passa uguale per tutti, a parte per qualche buco nero lontanissimo nell’universo dove, prima o poi, finiremo tutti.
Il Maestro Riccardo vedeva crescere col tempo il suo mito, la Muti vedeva sfiorire nel tempo la sua bellezza. Di certo “è un’ingiustizia però”, e non solo per Calimero, ma l’uomo non è mai stato uguale alla donna, eccetto per Cesare Cremonini nella sua canzone “Gli uomini e le donne sono uguali”, che secondo lui è “Logico, sì, è logico”, altra sua hit di successo che mi piace un “Mondo”, perché “Dev’essere così”, lo dice lui che è un “Latin lover”.
L’organico era al completo.
Gli archi erano privi di frecce, anche se gli archetti delle viole e dei violini potevano trarre in inganno. Le corde, perfettamente accordate al la di 440 Hz del pianoforte, vibravano all’unisono, solo un violino “solo” – poverino -, il primo violino, incantava il teatro con le note di una melodia cantabile forse a molti ignota, mentre un flauto dolce, anzi dolcissimo, faceva il controcanto.
Il Maestro Riccardo gira lo spartito sul leggio in modo automatico, dirigendo quasi a memoria la sinfonia. Ora lo spartito prevede l’organico al completo, con un “tutti” che ne sottolinea la potenza, come immaginata da Schubert. Ad un tratto quattro violini si alzano uscendo dalla scena con le gambe dei loro professori, violini autonomi robotizzati tattici nucleari, per il momento non si sono visti, neanche nel mondo immaginato ed incompleto del meta verso. Poco dopo due contrabbassi vengono coricati su di un fianco e riposti a terra, i loro legittimi proprietari escono seguendo i violinisti, d’altronde quello è il loro ruolo, seguire la melodia completando l’armonia. Il Maestro, concentratissimo, continua a dirigere la sinfonia, quando qualche battuta dopo anche le trombe prendono la via dell’uscita, seguite da tre violoncelli, un quarto rimasto solo, li insegue rovinando malamente a terra. Il pubblico rimane spettatore incredulo. Qualcuno rumoreggia venendo zittito da un “Sssss!” perentorio, anche due percussionisti smettono di segnare il tempo lasciando orfani timpani, campane e grancassa eclissandosi in punta di piedi emulando la pantera rosa, ma senza la musichetta di Henry Mancini. Il Maestro, senza una benché minima reazione, continua quella strana direzione orchestrale. Forse è un emulo di Victor Borge, musicista comico danese e pianista funambolico o c’è lo zampino della Banda Osiris?
Altri dieci violini, tre viole e qualche lucido ottone abbandonano la scena. La sinfonia continua come un treno che perde i vagoni ma che deve comunque continuare la strada tracciata fino alla destinazione finale. La musica con quelle defezioni risulta azzoppata, il contrappunto ne risente vistosamente. I pochi strumenti rimasti la rendono irriconoscibile. (N.d.A: con tutte queste defezioni non è che è in atto uno sciopero di qualche sindacato Cobas?)
Il pubblico inizia a fischiare, materializzando il dissenso per quell’esecuzione fuori dalle righe, o meglio dal rigo del pentagramma. Vabbè un concerto per pianoforte e orchestra di Ravel per sola mano sinistra, ora eseguito non solo da mutilati, ma una sinfonia monca, manco Schönberg l’avrebbe immaginata, anche perché troppo normale per una mente dodecafonica.
Il Maestro mostrando sempre le spalle al pubblico continua la direzione fino all’ultima nota. Al termine dell’esecuzione – per fortuna senza sparginento di sangue a parte qualche corda di violino spezzata a terra – il silenzio si fa sentire, assordante, e nel teatro cala il gelo, e non siamo a Mariupol, nel suo teatro distrutto da bombe idiote, i missili intelligenti evidentemente erano finiti. Qualche sporadico applauso di circostanza viene sommerso da un coro di fischi rendendo elettrico l’ambiente.
Dalla poltrona centrale del palco d’onore si alza il Maestro Riccardo affacciandosi alla balaustra, con il piglio marziale di un condottiero. Tutto il pubblico tace immediatamente; tutti rimangono muti aspettando con trepidazione le sue parole. Rosso come un pomodoro dall’ira, dacché l’appellativo di Maestro “Mutti”, si rivolge dall’alto al direttore d’orchestra in un epico scontro tra titani: Riccardo contro Riccardo, come in Cramer contro Cramer, – il fisarmonicista e direttore d’orchestra Gorni -.
“Maestro Chailly, cos’è questo scempio? La musica non merita un simile affronto!”
Il cuore del Maestro Muti palpitava dalla rabbia, lui che aveva sempre lottato come un leone per elevare la musica classica ai massimi livelli.
Ora il Maestro “Riccardo cuor di leone” sfidava apertamente il suo più giovane rivale dal nome omonimo che era subentrato alla direzione orchestrale del teatro scaligero.
“La sacralità della Scala è stata profanata, un sottoscala ti si addice di più, abbandona la bacchetta e vattene!”
Una persona del pubblico, con fare polemico, rincara la dose: “A Riccardo! Che l’è la sinfonia degli addii? (Quella di Haydn n. 45 in fa# minore).
Il Maestro Chailly, rimasto fino a quel momento muto, impassibile, come un carabiniere durante l’alzabandiera, apre finalmente bocca.
“Magari fosse la sinfonia degli addii di Haydn. Dovendo dare addio ai finanziamenti statali questo è lo spettacolo desolante che assisteremo prossimamente con la riduzione degli organici nelle orchestre dei teatri nazionali. ” Poi, rivolgendosi a un politico seduto accanto al Maestro Muti: “Riduzione votata dalla nuova legge finanziaria del Governo che ci ha voluto gentilmente omaggiare della sua presenza in questa memorabile serata.”
Tra i due grandi Riccardi vorrei ricordare il Riccardino* di Renzo Arbore:
“Non è che si sta andando I N D I E T R O T U T T A?”
*Il comico Mario Marenco scomparso recentemente.
Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Ciao Fabius, bellissimo racconto. Molto dettagliato, come solo chi conosce e ha studiato la musica può scrivere, ma mi hanno sorpreso le varie citazioni qua e là. Davvero mi è sembrato di essere lì alla Scala. Ben descritto anche la parte iniziale degli smartphone, ormai un’estensione delle nostre mani. Veramente seccante. Non sapevo dove stessi andando a parare fino al finale, davvero ottimo! Una bella denuncia, congratulazioni. Hai reso perfettamente l’idea. Sono in ritardo per gli auguri di Natale ma ti auguro un buon anno nuovo! Alla prossima!
Se ti è piaciuto vuol dire che forse l’ho ben orchestrato. Ricambio gli auguri e che l’ispirazione sia sempre con te, anche per gli anni a venire.
Bel testo! Un cameo il concerto di cento professori, evoca i centoventi di C. E. Gadda.
Grazie per il cameo. Anche per oggi ho evitato un tapiro d’oro.
Sorprendente e competente, direi, come autore di questo libriCk, sul tema che ha per simbolo la chiave di violino, svolto egregiamente in chiave satirica. D’ accordo su Cremonini, ma mi oppongo sull’ idiozia di Jovanotti, che mi mandava in brodo di giuggiole quando era piu` giovincella e ancora oggi mi piace, nonostante tutte le polemiche contro i suoi spettacoli.
La frase sulle bombe idiote per mancanza di missili intelligenti, direi battuta tristemente vera, ma super.
Scusa se ho gettato “fango” su Jovanotti ma Lorenzo è “un pirata e anche un signore” , “se lo senti lo sai”. Di lui “penso positivo”. “A te” che sei “sensibile all’estate” dedico una “bella” “serenata rap” al “chiaro di luna”. Che sia “il più bel spettacolo dopo il Big Ben” “mi fido di te” perché sei una “ragazza magica”. Anche se ha “le tasche piene di sassi” è un “ragazzo fortunato”, lo penso con “tutto l’amore che ho”. Le canzoni di Jovanotti sono “come musica” anche se fuori “piove”. Lo sai che “un raggio di sole” illumina “le canzoni” di tutta la “gente della notte?” “Chissà se stai dormendo”, magari in sogno “ti porto via con me”. Comunque un saluto da Jovanotti: “I love you baby” e “un raggio di sole” ti porti “l’estate addosso”. Un saluto anche dal “l’ombellico del mondo” e da Fabius P.
I soldi mancano per tutto tranne che per coprire
i debito del calcio: un bel autogol. L’eliminazione dai mondiali per me è la giusta punizione.
Riflessione attualissima e molto vicina alla realtà. La cultura, la scuola, la sanità, le abilità diverse: tutto chiuso fuori dalla porta della politica. Si taglia un po’di qua e un po’di là. E i musicisti lasciano la sala…molto bello.
P.s. Ma quante ne sai?