Grazie Gino

Serie: Di ora in ora


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Dopo aver ricevuto la visita della sua amica Mena, Lina riprende a leggere il romanzo di Bianca Aloisia "Pepe sale e fiori freschi". Il segnalibro è un vecchio biglietto aereo per Khartoun, che per lei sembra avere un valore affettivo importante.

Stesso giorno, di lunedì, ore 18.

Lina aveva controllato il cellulare, per rivedere, ancora una volta, lo stesso messaggio, letto e riletto tre volte. Aveva paura di aver capito male o di aver sognato tutto a occhi aperti. Le sembrava troppo bello per essere vero. Aveva aperto poi l’applicazione per rivedere le foto. Quanto era bello – aveva pensato, osservando i tratti del suo viso, in uno scatto in primo piano, di qualche anno prima – E forte e coraggioso e generoso.

Non tutti sarebbero stati capaci di compiere le stesse scelte che aveva fatto lui, sapendo bene a cosa sarebbe andato incontro.

Da quando aveva conosciuto Gino aveva deciso che non poteva più continuare a vivere comodamente, amato, servito e riverito, infischiandosene di chi viveva in condizioni disperate, di sofferenza e spesso senza neanche l’acqua potabile in casa.

Era partito per  un mese, poi era tornato: sembrava cambiato. Continuava a pensare a quella realtà, a quei bambini che correvano scalzi, con i loro grandi occhi scuri che, nella magrezza dei volti, risaltavano ancora di più. E quando gli sorridevano sentiva una strana emozione, che non aveva mai conosciuto prima.

 A quel pensiero il suo sguardo diventava languido, nostalgico di quei piccoli tesori che aveva lasciato.

Dopo alcune settimane aveva ricevuto la lettera di un collega francese, suo coetaneo, per invitarlo a tornare. C’erano anche i saluti di tanti altri e di Gino, con una delle sue frasi ricorrenti, usata, a sua insaputa, dal collega francese. “Non si va nei Paesi del cosiddetto terzo mondo per portare una sanità da terzo mondo. Un ospedale va bene quando tu saresti disposto a ricoverarci tuo figlio, tua madre, tua moglie.”  L’amico francese aveva aggiunto anche una sua considerazione personale: “Quindi c’è sempre bisogno di Medici con la M maiuscola, proprio come te”. 

Era ripartito come volontario ed era rimasto lì per tre mesi di seguito, al Centro Salam. Era stata un’esperienza dura, l’impatto emotivo e fisico iniziale era stato forte. Era dimagrito otto chili in un mese. Nelle foto che aveva inviato, con i capelli rapati a zero e il viso scarno, era irriconoscibile. Certe situazioni di pericolo, anche per gli operatori, o certi corpi straziati, che venivano portati in ospedale per tentare di salvarli, non erano condizioni a cui ci si poteva abituare. Allo stesso tempo, quel che stava affrontando, esaltava l’importanza della sua professione, dava più valore e più umanità a ogni momento e a ogni gesto della sua vita.   

Gino era un uomo straordinario ed era circondato da persone altrettanto speciali. Per un giovane che non aveva mai conosciuto suo padre, lui gli era apparso subito come una figura paterna ideale, un maestro di vita, un chirurgo eccezionale e persino un eroe. Non era un gran chiacchierone, ma quando apriva bocca erano sempre parole di saggezza, di verità vissute sulla sua pelle, con coraggio, coerenza e perseveranza. Le rare volte che appariva in TV, Gino non parlava di certo a vanvera o per egocentrismo. Era solo un  sacrificio in più, che si imponeva, per una giusta causa, rinunciando a qualche ora di meritato riposo.

Certe volte nei territori flagellati dalle guerre, dopo uno scampato pericolo, potevano finalmente rilassarsi. C’era sempre qualcuno dello staff che scherzava. Anche Gino, quando non era sotto pressione, amava stare con gli altri a conversare, ridere, mangiare e bere; oppure sdraiarsi e ascoltare musica.  Uno dei brani che aveva ascoltato e riascoltato in continuazione, per un lungo periodo, era Animals dei Pink Floid. Quando il nastro della musicassetta si era rotto, a furia di riavvolgerlo, era stato come se avesse perduto un bene prezioso. Molto tempo dopo, il giovane cardiochirurgo, che condivideva la stessa passione per quel mitico gruppo, gli aveva suggerito di ascoltarli su You Tube, risollevandogli il morale.

L’interesse del giovane medico per la sua grande organizzazione umanitaria era nata dopo aver letto Pappagalli verdi, il primo libro scritto da Gino: l’inizio di una lunga serie di pubblicazioni, per spiegare e far conoscere a tutti la carneficina provocata soprattutto dalle mine antiuomo. Mine che esplodevano quasi sempre in mano ai bambini, perché le costruivano di proposito con una forma somigliante a quella di un giocattolo. Mine fabbricate, in parte, in quel periodo (come le Valmara 69), anche in Italia. Per quelle esplosioni, le vittime, quando riuscivano a sopravvivere, perdevano gambe o braccia e restavano mutilate. I vecchi afgani chiamavano quelle mine pappagalli verdi.

Quel libro era stato importante per iniziare a divulgare l’informazione sull’operato che andavano compiendo in diverse zone del mondo dilaniate dalla guerra. Gino e la sua associazione, intervenivano allestendo ospedali da campo e impegnandosi nel gestire e migliorare le strutture preesistenti, per salvare il salvabile, cercando di ridare nuova vita a quelle vittime (soprattutto civili innocenti), con gli  interventi chirurgici (molte amputazioni) e la riabilitazione con le protesi, in sostituzione degli arti spappolati dalle mine o dalle schegge di altri ordigni.

Con il passare del tempo i loro ospedali, soprattutto quelli costruiti di sana pianta, erano tra i migliori esistenti al mondo, un’ eccellenza in campo medico internazionale, per i servizi offerti, per la competenza, per gli strumenti utilizzati, per la grande umanità e persino per la bellezza delle strutture dal punto di vista architettonico.

Come amava ripetere Gino:  “Non puoi andare nei Paesi del cosiddetto terzo mondo e portare una sanità da terzo mondo… “

Nei territori flagellati dalle guerre loro curavano tutti indistintamente, senza discriminazioni o separazioni, tra soldati e civili, amici o nemici, buoni o cattivi.

Alla fine anche Lina si era lasciata coinvolgere; aveva sposato la causa di Emergency, pur non essendo mai stata in Sud Africa o in Afghanistan o in tutte le altre zone in cui erano presenti con strutture stabili o con presidi mobili di primo soccorso. Non aveva mai partecipato né come volontaria, né tanto meno come socia. Cercava di sostenere i loro progetti a distanza, di contribuire, nel suo piccolo, acquistando e regalando libri scritti da Gino, allo scopo di finanziare le loro attività umanitarie. La donazione del cinque per mille, puntualmente, era riservata a loro. Raccoglieva fondi tra i colleghi insegnanti, gli amici, i parenti e i conoscenti, per comprare farmaci che il suo bel dottore provvedeva a trasportare, ogni tre o quattro mesi, facendo la spola tra l’Africa e l’ Italia. Lina avrebbe fatto qualsiasi cosa per amor suo. E lo avrebbe amato sempre, in modo incondizionato, anche se un giorno avesse disapprovato le sue scelte. In tutti i casi non sarebbero state le scelte scellerate di una persona malvagia. Lui era un uomo-angelo; o perlomeno così lei lo sentiva. Era e sarebbe rimasto, per sempre, il suo grande, eterno amore.

Il trillo del campanello l’aveva fatta sussultare. Ancora quel rompiscatole – aveva pensato. Poi  si era avvicinata alla porta e aveva guardato attraverso l’occhio magico. Noo!! Non ci posso credere – aveva detto, urlando, e spalancando subito la porta. Gli era saltata addosso, abbracciandolo e stritolandolo, senza lasciarlo respirare.

“Ma’… mi fai male” aveva detto lui sorridendo.

Poi gli aveva chiesto come mai fosse già arrivato. Lo aspettava molto più tardi. Nel messaggio che le aveva inviato quel pomeriggio, accanto all’emoji di un aereo, aveva scritto partenza ore 19.

“Si, mamma, però c’era un altro volo in forte ritardo, con decollo immediato. Sono riuscito a salire su quell’aereo. E poi avevo già fatto lo scalo:  ero all’aeroporto di Milano. Speravo di farti una sorpresa.”

“Ci sei riuscito” gli aveva detto Lina. “E quanto ti fermi?” la sua domanda inevitabile che non riusciva mai a trattenere, ogni volta che tornava, dopo averlo riabbracciato.

“Un bel po’ di tempo, credo. E comunque non andrò molto lontano, questa volta. C’è bisogno di un cardiologo al poliambulatorio di Polistena, in provincia di Reggio Calabria.”

Lina, che non credeva alle sue orecchie, aveva aggiunto: “Tu, prima o poi, avrai anche me come paziente, con tutti i colpi al cuore che mi dai”.

Lui le aveva sfiorato i capelli con un bacio. Lei in quel momento si era sentita ripagata per tutta la pazienza che aveva avuto, soprattutto nell’ultimo periodo, con le persone più moleste.

Per quel dono inaspettato aveva rivolto lo sguardo verso l’alto e aveva ringraziato, col pensiero, l’Entità che governa il Creato.

Serie: Di ora in ora


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Discussioni

  1. Questa serie mi ha tenuto compagnia in un periodo un po’ difficile, calda e gentile come un abbraccio. Perché sono le cose semplici, uscite dal cuore, quelle a far guardare alla vita con un sorriso. Finalmente ho potuto conoscere il misterioso “uomo” della protagonista e devo confessare di essermi commossa: come madre penso che un figlio (biologico o meno) sia un pezzo di noi, capace di cancellare ogni ombra veli il nostro sguardo.

    1. Grazie Micol, il tuo commento mi ha dato gioia e sostegno. Quando ci sono problemi tecnici che mi impediscono di leggere, scrivere e confrontarmi con voi autori, con cui riesco ad avere più condivisioni, sento una forte mancanza.

  2. Ho trovato una serie delicata e garbata, scritta benissimo, senza mai eccedere nel linguaggio, anzi del linguaggio pare prendersene cura, con inserimenti di fatti di cronaca e di vita personale e internazionale che meritano di essere ricordati. Pare una scrittura “leggera” ma non lo è affatto, è una scrittura sicura, che si muove da dentro una stanza, la casa di Lina, con piccoli gesti e abitudini, intercalando in drammi umanitari. Una madre/protagonista così attenta alle cose del mondo e degli esseri viventi (piante e animali) non poteva che educare un figlio altrettanto attivo verso il genere umano. I frutti maturi cadono sempre vicino all’albero (mi pare dica così il proverbio). Ad ogni modo, l’ho apprezzata molto e mi sento di inviare un pensiero di abbraccio a Ciccio. E’ stato un cane fortunato. Aggiungo che l’amore di solito raggiunge chi lo sa comprendere. Ciao cara Luisa. (poetessa)

    1. Cara Bettina, ho sempre amato leggere tanto e scrivere, sin da bambina. Cosa si prova che te lo dico a fare? Tu lo sai bene. I tuoi commenti li rileggero` ogni volta che avrò bisogno di buone parole gentili. Quest’ ultimo commento mi ha commosso. Non so se merito tanto; oppure se sia tu, soprattutto, una persona generosa, che cerca di vedere il lato buono delle cose e delle persone. Grazie infinite. Sei stata preziosa.

    1. Un mio modesto omaggio a Gino Strada, fondatore di Emergency, che ho potuto conoscere solo indirettamente, attraverso i suoi libri e le sue rare apparizioni in TV. L’estate scorsa, quando e´ morto, il mondo ha perso una risorsa umana insostituibile.

  3. Un bel lavoro portato a termine con un obiettivo nobile: riaffermare valori quasi dimenticati dall’egoismo imperante. La “strada” di Gino è segnata. Sosteniamo chi dedica la vita per questa giusta causa.

    1. Grazie Carlo. E´ giunta l’ ora della ricreazione. Un po´ di pausa, ma non so se resistero´ a lungo senza scrivere. Non so se capita anche a te. Ma quando si comincia, smettere diventa difficile. Come per le droghe; pero´ in questo caso gli effetti dovrebbero essere piu´positivi o quanto meno innocui.