Harlock
«Nipotino mio,» disse la nonna. «È ora che tu impari il valore della resistenza. Della ribellione.»
Gli accarezzò i capelli.
«Devo raccontarti la storia di tuo nonno. Una storia che tua madre non ha fatto in tempo a dirti. Ricorda, James… sarà un segreto tra me e te.»
James era ancora un bambino. Vispo, curioso. Viveva a New York, con la nonna. Sua madre se n’era andata troppo presto. Per sempre. Gli aveva lasciato la cosa più preziosa: la propria madre.
James e Issa erano un corpo solo. La loro complicità si leggeva negli occhi, nei silenzi. Crescere senza madre era dura.
Il padre gli voleva bene, ma era spesso assente. Era a capo di una compagnia ingegneristica con sede a Tokyo.
Aveva conosciuto Misa, la mamma di James, su un terrazzo di New York. Due mondi si erano incontrati: la Somalia e il Giappone.
James era un bambino normale. Nel cuore, una nostalgia incancellabile. Aveva amici, una compagna vicina, un “migliore amico”.
A scuola andava bene, ma niente lo affascinava quanto i racconti della nonna. Lei parlava del nonno, Ismail. Un pescatore. Somalia, anni Ottanta. Povero, ma dignitoso.
Si accontentava di poco: pesce, verdura, riso. Ogni giorno lanciava le reti sperando che il mare fosse generoso.
Poi arrivò una compagnia ittica straniera, la Issis. Cominciò a saccheggiare il pesce del villaggio.
Le reti tornavano vuote. I bambini mangiavano meno. Alcuni uomini del villaggio, senza più nulla da perdere, si mascherarono.
Non volevano essere “pirati”. Volevano difendere il loro mare.
«Nonna… mio nonno era un pirata?» Issa sorrise.
«Sì. Lo dissero tutti i telegiornali. Attaccavano petroliere e pescherecci industriali. Avevano armi trovate chissà dove.»
Fece una pausa.
«Erano pirati, ma non criminali. Difendevano la loro terra.»
«Quindi… io sono il nipote di un pirata.»
«Sì. E hai il suo coraggio. Senti la rabbia se toccano ciò che ami? Voi siete nati per resistere.»
La vita andava avanti. Poi qualcosa cominciò a cambiare. Fu l’occhio destro. La vista calava. Le lettere si sbiadirono. James inciampava. Issa si preoccupò. Tokai, il padre, lo portò da un primario oftalmologo. La diagnosi fu chiara: malattia rara, degenerativa. Da operare. A New York non c’erano strutture adatte.
Solo a Tokyo c’era forse una speranza.
«Yarhey»* disse Issa, prendendogli il volto. «Hai una sfida da affrontare. Io non posso venire con te, ma sarò sempre qui.» Gli toccò il cuore.
«Ricorda chi sei. Nel tuo sangue c’è coraggio e avventura.»
Il viaggio fu lungo. In un battibaleno erano a Tokyo. La città era grigia.
Il padre tentava di iscriverlo a scuola, ma James non conosceva la lingua. Passava le giornate tra ospedali e la sua camera. Si chiuse in sé. Leggeva di pirati. Scorreva i social. Si spegneva.
Diventava un hikikomori.
Una notte sentì bussare forte alla finestra. C’era una ragazza, arrampicata su un ponteggio.
«Che fai, non mi fai entrare?»
James annuì.
«Vieni con me.»
«A fare cosa?»
«A scrivere sui muri. Tutto quello che ci va. Vieni, te lo mostro.»
Una sera Milai arrivò con uno strano fagotto.
«Non puoi uscire sempre in pigiama. Mi fai venire voglia di rimetterti a letto.»
Dentro c’erano pantaloni di pelle, una giacca vecchia, una bandana nera con un teschio. E una benda di pelle per l’occhio.
«Così assomigli a Morgan, il pirata.»
Poi gli mostrò un vecchio quotidiano sgualcito. Tredici ragazzini, più o meno della loro età, erano stati presi dalla polizia imperiale. Rinchiusi nel seminterrato del palazzo sanitario. Trattamento psichiatrico forzato.
Considerati un peso per la società. James guardò Milai. Lei lo fissò come un capociurma.
«Tu sei il capitano. Dimmi tu cosa facciamo.»
«Andiamo a liberarli.»
Raggiunsero il luogo. E non si sa come, fecero uscire tutti dalla finestra. Ad uno ad uno.
Al ritorno, James prese un carboncino. Disegnò una grande H su un muro.
Nei giorni seguenti, peggiorò. Fu portato d’urgenza in ospedale. Quella notte, l’ospedale fu invaso.
Ragazzi ovunque, di tutte le età, vestiti come una ciurma. Molti brandivano un cartello su cui c’era scritto:
“Buonanotte, Capitano.”
“Buonanotte, Harlock.”
Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Fantasy
Ciao. Un consiglio, evita la D eufonica dove non ci vuole e il disse, è sottinteso e quindi è inutile ribadirlo, si evince dal parlato.
Ogni consiglio è prezioso! Ma ti piace?
Per ora è presto per dirlo. Ti farò sapere in seguito. Accontentati del fatto che scrivi bene, a parte le incertezze che ti ho evidenziato il resto fila liscio. A presto.
Molto bello. Un testo chiaro ed evocativo che racconta di legami, amicizia e resilienza. 👏👏
Grazie