HEMINGWAY

Era il mio mito. A vent’anni avevo già letto tutti i suoi libri. Non che fossero poi molti.

Mi aveva portato per i caffè di Parigi e tra le strade chiassose di Pamplona, con una generazione pressoché perduta. Nelle corsie doloranti di un ospedale di guerra italiano, assieme ad una amorevole infermiera. Per tornare ancora in Spagna, a tifare per indomiti tori e toreri. E poi a caccia grossa in Africa, tra bevute e dissertazioni letterarie. Come non andare a Cuba, a vedere che combina uno sfortunato contrabbandiere. E tutti quei racconti, tra ricordi della giovinezza, safari finiti male, riflessioni sulla morte. Non poteva mancare un ritorno in Spagna, indeciso se far saltare un ponte o fidanzarsi con la guerrigliera Maria. Altra trasferta a Venezia, tra ponti e calli, inseguendo un amore troppo giovane. Per finire un’ultima volta a Cuba, a condividere la sfiga del vecchio pescatore, che se ne torna al villaggio con una gigantesca lisca di marlin.

Una decina di libri, quindi. Letti e riletti. Comprati e ricomprati, qualche volta sulle bancarelle degli usati. Messi in fila sulla libreria, portati in cantina, persi, ritrovati.

Negli anni novanta arriva mia figlia; impara in fretta a leggere, ma, soprattutto, vede le fotografie: tori infilzati, leoni abbattuti, fagiani impallinati, pesci enormi attaccati all’amo.

Così mi ritrovo copertine scarabocchiate, pagine strappate, interi romanzi dispersi. Un mito preso a calci, nel didietro. Per fortuna la bambina cresce, si dedica ad altre cose, anche se continuerà ad amare senza riserve gli animali. E a odiare lo scrittore cacciatore.

Allora, dopo tanto tempo, un paio d’anni fa, li riprendo in mano quei libri, li rileggo ad uno ad uno; ristampe nuove ma con le stesse e conosciute parole. Che devo dire? Mi piacciono ancora, qualcuno un po’ meno, qualcuno forse di più. Il primo ha quasi cento anni, ma non li dimostra; l’ultimo continua a farmi chiedere se nella vita si riesce a vincere, qualche volta.

Non mi resta che dirti ‘grazie’, caro Ernest. Ti perdono quasi tutto, pure la carabina infilata in bocca: almeno sei riuscito a battere quella ‘grande puta’ della Morte.

Avete messo Mi Piace4 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Il primo libro di Hemingway che ho letto è stato “Il vecchio e il mare” letto in tre ore di supplenza a scuola tra il casino generale. Non riuscivo a lasciarlo finché non lessi l’ultima parola, poi lo restituì al mio compagno di banco che non riusciva a credere lo avessi letto tutto. È stato uno dei primi libri che ho letto e grazie a lui non ho più smesso. Bellissimo omaggio a uno dei più grandi scrittori della storia.

    1. Grazie Domenico.. io li ho letti più volte tutti, postumi compresi.. le sue storie mi hanno accompagnato per tutta la vita.. ho approfittato di questo bellissimo sito per fargli una piccola, ma sentita, dedica..

  2. Bravo, bravissimo. Un applauso per questo omaggio commovente. Mi ci rispecchio, ancora una volta nel tuo racconto. Io, con un altro mito, scendo un pochino più a sud, ma non poi molto se contiamo che non sono nemmeno 3000 km. Stessa passione, stessi volumi consunti riletti mille e mille volte. E come si fa diversamente? Questo racconto è l’esempio di come la semplicità sia un valore aggiunto, niente orpelli, quando si scrive con il cuore.

  3. una rievocazione malinconica e affettuosa che certo farebbe piacere al grande Ernest.
    Molto trasporto per gli animali -nella nostra epoca – ma meno per gli esseri umani.