
I primi anni, Roma
Serie: DE SILVĀ
- Episodio 1: I primi anni, Roma
- Episodio 2: Ritorno in paese
STAGIONE 1
Delle sei sorelle maggiori di mio nonno, Desilva è stata la seconda in ordine di nascita. All’orecchio di un contemporaneo, il suo nome risuona insolito. Volendo azzardarne una ricostruzione etimologica, si direbbe derivi dall’unione della preposizione latina de con la forma ablativa del sostantivo silvă, ae; de silvā, letteralmente “dalla selva, dal bosco”. Per quanto sia puramente nominale, il richiamo a delle origini silvestri potrebbe valere a segnalare fin da subito una certa selvatichezza di carattere. Non che con “selvatichezza” si voglia lasciare intendere un’indole scontrosa; piuttosto una natura ricalcitrante ad ogni ruolo tacitamente assegnato alla donna entro le gerarchie familiari. Non a caso, la sua è stata una condotta complessivamente audace, specie se considerata alla luce dell’ambiente agreste e patriarcale da cui proveniva; non escludo possa aver perfino influito sul suo nubilato. In effetti, esprimendomi con minore gentilezza e reticenza, potrei già liquidare la sua come una vita da zitella. Certo, da un punto di vista probabilistico, non sorprende che tra tante sorelle ne sia restata una sprovvista di marito; nondimeno, mi risulta curioso registrare questa mancanza in diverse delle figure che popolano il mio albero genealogico dal lato materno. Sembra ve ne sia almeno una per generazione, il che mi fa pensare di essere rimasta la sola a concorrere per l’attuale posto vacante.
Ad ogni modo, non credo che l’assenza di una fede al dito sia stata per Desilva un motivo per cui darsi pena: al contrario, potrebbe averne conservata una libertà che il vincolo matrimoniale avrebbe molto probabilmente condizionato. Naturalmente, la solitudine della maturità non le precluse le più naturali frequentazioni giovanili; in famiglia se ne vociferano almeno due.
Essendosi conclusa in breve tempo, la prima non richiese neppure un impegno tale da potersi definire “storia”. Sembra che il ragazzo si risolse ad interrompere i rapporti per puro riguardo nei confronti dell’amica: saputosi affetto da una malattia venerea, intuì che la sua vicinanza nella pettegola realtà paesana non avrebbe potuto far altro che comprometterla. Di lui, più che le voci sul bell’aspetto e la morte in giovane età, si è conservato soprattutto il nome che, oltre ad essere abbastanza comune, era seguito dal mio stesso cognome.
Con ogni evidenza, ben prima di mio padre, già un altro Binella era stato sul punto di affacciarsi sul portone di casa, casa in cui d’altronde, a detta di Desilva, qualcuno da quella famiglia sarebbe dovuto arrivare.
Quanto alla seconda vicenda amorosa che si conosce con certezza sul suo conto, si sa che la avvicinò ad un altro compaesano, ma che ebbe per sfondo la città di Roma. La vasta dimensione urbana doveva richiamare numerosi giovani in cerca di lavoro e non è dunque strano se, come lei, anche un certo Bugossi originario della sua stessa zona vi si fosse trasferito. Dopo essersi ritrovati, la pregressa conoscenza ne affrettò l’affiatamento; per assurdo, fu proprio il parlare di nozze ad allontanarli.
In quegli anni, il matrimonio prevedeva delle vere e proprie trattative, da discutere in presenza delle reciproche famiglie. Di fronte alla sua, Desilva sentì pronunciare poco più di una cifra: 14.000, tante erano le lire che avrebbe dovuto portare in dote. Disgustata da un legame che si rivelava fondato sul solo interesse, la giovane non esitò a reciderlo. Molti anni dopo, pare serbasse ancora rancore per l’offesa, tanto che, informata della morte di lui, chiosò la notizia con una sequela di improperi.
Ad ogni modo, più che di quell’infelice parentesi sentimentale, Roma fu per lei il teatro in cui realizzarsi professionalmente. Come si è lasciato intendere sopra, se si era voluta spostare là, era stato soprattutto per esigenze e opportunità lavorative; in città perfezionò la sua formazione di sarta, trovando poi un impiego senza particolari difficoltà. In un primo momento, si appoggiò provvisoriamente alla cugina Giovanna. Di quest’ospite, non ho molto di cui prendere nota: figlia dell’unico zio paterno, veniva da una schiera di ben tredici fratelli e sorelle, era sposata e aveva due figli. Quanto al marito, se possibile, ho ancora meno da registrare, ma, per quanto superfluo, mi diverte ricordarne il nomignolo “Masticabrodo”.
Pur continuando ad approfittare della cugina per le visite estive alla famiglia, più tardi Desilva si sistemò presso un’anziana vedova affittacamere. Con coloritura romanesca, questa veniva chiamata Sora’Melia e tra i parenti più prossimi aveva un solo figlio di nome Renato. Andando avanti con gli anni, aveva deciso di accogliere in casa un massimo di due pensionanti alla volta, godendo della loro sporadica compagnia. In effetti, doveva esserle capitato di sentirsi spesso sola: Renato lavorava in ambito televisivo e, pur vivendo ancora con la madre, non riusciva ad essere troppo presente.
Una volta tornata definitivamente in famiglia, sembra che Desilva riferisse sul suo conto brevi racconti allusivi, lasciando supporre una qualche loro complicità.
– Quando rientrava tardi la sera, Renato mi faceva i dispetti, mi scopriva.
A quelle parole, chi le prestava ascolto non poteva che nascondere una risatina, immaginandola rannicchiata a letto e improvvisamente privata delle lenzuola. Chiacchiere maliziose avrebbero addirittura sospettato che se il buontempone non si sposò mai fu anche per causa di quella privilegiata vittima dei suoi scherzi.
La vita a Roma poco doveva avere in comune con quella di un piccolo borgo di provincia e il rinnovato ambiente diede a Desilva abitudini del tutto estranee alle instancabili contadine di casa. Probabilmente condizionata dal suo stesso lavoro, iniziò a curare con attenzione il proprio aspetto. Il suo guardaroba contava diverse borsette e cappelli con spillone, oltre a poter vantare una calda pelliccia di agnellino. Benché non soffrisse di una particolare perdita di capelli, per uscire indossava una parrucca perché potesse apparire sempre in ordine. Per sostenerla, aveva una testa di manichino che portò con sé al suo ritorno tra le mura domestiche; col tempo venne dimenticata in un angolo della soffitta e i topi la rosicchiarono insieme alle bambole di mia madre. In aggiunta all’acconciatura posticcia, Desilva si imbellettava con cipria e rossetto e preferiva dare alle unghie una forma piuttosto aguzza. L’elegante ritratto così abbozzato poteva poi essere saltuariamente completato da una sigaretta portata alle labbra tra indice e medio.
Durante il suo lungo soggiorno nella capitale, la Sora’Melia le si affezionò sinceramente al punto tale che alla morte le lasciò alcuni pezzi della mobilia. Quell’eredità seguì Desilva anche dopo la fine della sua avventura romana quando, attorno al 1970, si risolse a rientrare stabilmente nella casa paterna.
Non solo: quei resti d’arredamento sopravvissero di gran lunga persino a lei, se si considera che ancora oggi se ne stanno disposti in un cucinotto al piano terra di casa. Una credenza è posizionata lungo la parete a destra dell’entrata: i vani alle due estremità sono chiusi da ante stondate, mentre il centro del ripiano superiore è occupato da una vetrina. Sebbene non siano di alcun riguardo, gli oggetti al suo interno sono protetti da due lastre scorrevoli decorate con una scena di caccia. Le zampe di un gruppo di cervi sono fissate nella posizione di un agile balzo, mentre gli animali in fuga sembrano muoversi da una superficie all’altra. È incredibile come il mio stesso presente si componga di avanzi di un passato tanto lontano nel tempo e nello spazio; magari “radici” significa anche questo.
Serie: DE SILVĀ
- Episodio 1: I primi anni, Roma
- Episodio 2: Ritorno in paese
Straordinario!
Il tuo stile ha un nonsoché di particolare: ricercato e moderno al tempo stesso; mi ricorda alcuni autori del secolo scorso e ugualmente altri di questo secolo.
Scrivere in merito alle storie familiari non è mai semplice, sia per la difficoltà intrinseca del ricercare informazioni che per il pericolo di scadere in un mero e noioso resoconto cronologico.
Qui, invece, siamo di fronte a qualcosa di veramente unico, tant’è che basta poco per immaginare DeSilva impersonata da un’attrice in carne e ossa, mentre si muove in una scenografia.
Incredibile!
Grazie mille Giuseppe! Sono molto contenta che il racconto abbia esercitato questo effetto sul lettore 😀
Non posso fare altro che complimentarmi per questa fotografia seppiata di un quadro familiare che non viene però dimenticata alla polvere, bensì presa fra le mani e narrata. Sono forse le storie più belle. Ognuno, se ci si sofferma un attimo a ricordare, ha una Desilva in famiglia. La mia si chiamava Zia Giulia, migrata a 14 anni a Milano in stireria e sposa in seconde nozze di un vedovo di 30 anni più grande di lei. Tale Zio Mario, orefice. Sono vite ricche di aneddoti che ci sono stati raccontati. Tu hai saputo metterli in parole con la solita finezza di scrittura che ti contraddistingue e quella velata ed elegante ironia che ogni tanto fa capolino. Bravissima.