II – IL PELLEGRINAGGIO DEL FUOCO

Serie: La memoria delle acque


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Dopo la caduta di Aurion

I – Le ceneri di Aurion

La città fumava ancora.

Non era più una città, ma un deserto di vetro liquefatto.

L’aria bruciava i polmoni, il terreno si increspava come una ferita non chiusa. Le torri si erano piegate su se stesse, e il sole — pallido, quasi malato — scivolava sulle colate di sabbia fusa.

Enea Elyan avanzava tra le rovine con il volto coperto dal mantello. Dietro di lui camminavano in silenzio pochi superstiti: donne, monaci, bambini che non piangevano più. Portava in braccio il corpo di Selene, stretto in un lenzuolo di lino. Ogni passo era un atto di fede e di tortura.

Il Sigillo gli pendeva dal petto come una pietra viva, e pulsava.

Un battito irregolare, malato. Ogni volta che sentiva quel colpo contro il cuore, Enea si domandava se non stesse ascoltando la fine di Dio.

«A nord ci sono colline» disse, senza voltarsi. «Costruiremo un campo. Avremo acqua.»

Un vecchio monaco rispose con voce cavernosa: «E poi? Cosa ci resta da costruire, Custode?»

Enea si fermò. Guardò il Sigillo che emanava una luce febbrile, come un cuore che non vuole morire. «Fede» disse. «E mani per ricominciare.»

Attraversarono il fiume che odorava di ferro e ceneri. L’acqua fumava al contatto con le pietre. Ogni passo dentro quel fango era un addio.

Quando l’ultima torre di Aurion si piegò su sé stessa, nessuno parlò. Il rumore del crollo fu così grande che sembrò cancellare la memoria stessa della lingua.

Solo Enea restò a guardare.

Aveva ancora Selene fra le braccia.

Il sangue, rappreso, gli tingeva il mantello come un nuovo sigillo.

II – Il cammino tra le rovine

Camminarono tutto il giorno, come bestie sopravvissute a un incendio.

La pianura era muta: alberi anneriti, pozze di vetro che riflettevano un cielo in decomposizione. Ogni tanto, Enea si voltava a contare i superstiti. Ventitré all’alba, ventidue al tramonto. Il mondo diminuiva a ogni respiro.

Quando trovarono un villaggio bruciato, vi si accamparono.

Il vento passava tra le case vuote con il suono delle preghiere dimenticate.

Enea depose Selene su una tavola e le scoprì il volto.

Era serena, come se dormisse. Le dita rigide parevano pronte a pregare ancora.

«Non posso seppellirti qui» sussurrò. «Il terreno non accetta più nulla di vivo.»

Accanto a lui, un ragazzo dei superstiti — si chiamava Lior — lo guardava con occhi grandi.

«Hai paura che si risvegli?» chiese.

Enea gli accarezzò i capelli sporchi di cenere. «No. Ho paura che non ci sia più nessuno che sappia come pregare per lei.»

Il Sigillo tremava sotto il mantello, emettendo un calore inquieto.

Ogni volta che si accendeva, gli sembrava di udire la voce di Selene. Non parole, ma un respiro, come se lei continuasse a esistere attraverso quell’oggetto maledetto.

La notte, il vento portò un suono lontano — come campane che si sciolgono.

Enea capì che non erano campane, ma vetro che cedeva.

Aurion moriva per la seconda volta.

III – La notte del fuoco

Non dormiva mai davvero.

Ogni rumore lo faceva scattare, la mano sull’elsa della spada.

Quando vide due figure muoversi tra le tende, credette di sognare. Ma erano reali: uomini affamati, armati di coltelli arrugginiti.

«Chi siete?»

«Affamati. Come tutti.»

«Prendete quello che serve» disse Enea, «e partite con noi domani. Non vi manderemo via.»

Uno rise. «A nord non cresce nulla. Meglio morire qui con la pancia piena.»

Il primo colpo arrivò come un fulmine.

Enea parò d’istinto, sentendo la lama sfiorargli la spalla. Il dolore lo svegliò del tutto. Colpì a sua volta, un fendente secco, e l’uomo crollò con un suono d’aria rotta.

Non sentì colpa, solo nausea.

Il compagno scappò lasciando cadere una torcia.

In pochi istanti il vento la trasformò in un incendio. Le tende presero fuoco, la gente urlò.

Enea corse tra le fiamme, trascinando i bambini, i feriti, chiunque potesse muoversi.

Quando vide il fuoco lambire il corpo di Selene, si fermò.

Gridò, ma non la sentì.

Il Sigillo si accese da solo — una luce bianca, accecante — e le fiamme si ritirarono come spaventate.

Per un momento, il mondo tacque.

I superstiti lo guardarono come si guarda un dio.

«È un miracolo!» gridò qualcuno.

Enea cadde in ginocchio.

«No. È solo la pietà del fuoco, per chi non ha più nulla da bruciare.»

IV – Il giuramento

All’alba restavano in dodici.

Le ceneri del campo galleggiavano sull’acqua, leggere come neve morta.

Enea scavò una fossa con le mani e vi depose Selene.

Non recitò preghiere: pronunciò solo il suo nome, piano, come una parola che non vuole morire.

Poi si voltò verso il gruppo.

Aveva gli occhi arrossati, la barba incrostata di sangue secco.

«Aurion è finita» disse. «Ma non noi. Finché il Sigillo brucerà, costruiremo di nuovo. Non per gloria, ma per restare vivi.»

Un giovane fabbro lo guardò, stringendo un pezzo di ferro trovato tra le rovine. «E se il Sigillo si spegne?»

Enea lo fissò. «Allora costruiremo con la memoria delle sue ceneri.»

Il sole saliva lento, filtrando tra la nebbia.

Dietro di loro la pianura scintillava come una distesa di vetro.

Enea toccò il Sigillo: la luce era tornata stabile, calda.

Per la prima volta dopo la caduta, non ebbe paura.

Si inginocchiò e mormorò, più a sé stesso che agli altri:

«Non chiedo redenzione. Solo che le mie mani non restino vuote.»

Il vento portò via la sua voce.

Quando si rialzò, gli altri lo seguirono.

Camminarono verso nord, e per ogni passo che li separava dalle rovine, la terra tornava a essere possibile.

Serie: La memoria delle acque


Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Fantasy

Discussioni

  1. Mi è piaciuto molto: è un racconto che ti trascina dentro subito, con quell’immagine iniziale di Aurion illuminata da un bagliore innaturale. Quello che colpisce di più, secondo me, è il tono epico ma intimo: Enea è un eroe stanco, umano, che lotta più con il senso di colpa e la fede che con i nemici veri. E questo rende la storia toccante, perché non è solo “la città che cade”, ma un uomo che cerca di capire come credere ancora dopo la rovina.
    Molto bella anche Selene, che pur comparendo poco lascia un’impronta forte — la sua presenza aleggia anche dopo la morte, come se fosse una parte del Sigillo stesso.