Il Brutto Dentro

Ho deluso per la prima volta le aspettative dei miei genitori ad undici anni.

Dopo la fallimentare esperienza col judo, i miei iniziarono a riporre trionfalistiche, ed assolutamente immotivate, aspettative nel canottaggio.

Come spesso accadeva, i miei genitori mi vollero iscrivere di imperio presso la gloriosa società cittadina, senza minimamente considerare né il mio scarsissimo entusiasmo né la malcelata reazione di disgusto dei responsabili nel vedere quel fagotto basso lardoso ed indolente che ero.

Provai a proporre ai gestori un equo compromesso: io avrei atteso la fine degli allenamenti in un angolino, loro non avrebbero perso la retta mensile ed i miei si sarebbero potuti gloriare con i loro amici.

Purtroppo il mio piano diplomatico trovò un ostacolo insormontabile in un vecchio canottiere integralista, convinto di poter tramutare quel barattolo indecente in un atleta dignitoso.

Ovviamente la sua romantica verve venne rapidamente smorzata dalla mia ignobile goffaggine da impedito cronico, a cui peraltro in alcun modo mi opponevo, ritenendo, in virtù di quel cinico pragmatismo sviluppato già in tenera età, eventuali moti di orgoglio energia sprecata in un quel contesto.

Avevo infatti sin da subito realizzato che le mie caratteristiche fisiche e le mie attitudini mi avrebbero precluso scenari di successo e ritenevo poco saggio disperdere le mie energie per inseguire una irrealizzabile chimera.

Per questo il vecchio preparatore rapidamente mi scaricò, peraltro senza rimorso alcuno in quanto, nell’unica uscita nel fiume, dopo alcuni rantolanti colpi di remo, riuscì nell’ impresa di ribaltare, col mio peso da facocero, la chiatta che mi era stata affibbiata, finendo nelle melmose acque e rischiando di affogare.

I responsabili, imbarazzati, chiamarono i miei per riferire dell’ increscioso accadimento, offrendo, oltre alla restituzione totale delle rette pagate, anche un incentivo all’esodo pur di non dovermi più vedere nella loro struttura.

I miei accettarono il rimborso ma non il contributo all’esodo, concludendo la telefonata rammaricandosi con i responsabili per non avermi lasciato annegare.

Negli anni a seguire, ho coerentemente fallito in ogni attività sportiva a cui quei due fanatici hanno tentato di avvicinarmi per le loro deliranti brame di gloria, risultando parimenti disastroso nel calcio, nella pallacanestro e nella pesistica, fino a quando, finalmente, i miei genitori si arresero all’evidenza della mia insanabile mediocrità.

Quel giorno fu per me l’inizio di una liberazione, in quanto l’indifferenza di chi ha perso la speranza di gloria prese il posto della rabbia resa livida dalla frustrazione per il cronico insuccesso.

Tutto ciò mi permise di essere, senza particolari traumi né estenuanti pressioni genitoriali , un mediocre senza infamia e senza lode, cronicamente fluttuante tra il discreto ed il benino in ogni attività intrapresa.

A posteriori, posso affermare con una certa spocchia, pur preferendo restare umile, che nulla nella mia vita è il risultato di una ferrea ed incrollabile determinazione, ma tutto è dipeso da una convergenza conica di circostanze a cui ho deciso di non oppormi, non ritenendo il mosaico finale poi così peregrino.

La mia unica abilità è stata quella di sapere capire, con cinico pragmatismo, i momenti giusti in cui piazzare gli affondi essenziali.

In fondo, sono figlio di quella generazione che si è affidata allo sparagnino gioco all’italiana, basato su catenacci indecenti e contropiedi fulminanti, per vincere il terzo mondiale del 1982.

Non sono un fuoriclasse da rotocalco.

Non sono uno di primissima fascia.

Non sono uno da riflettori.

Non ho né stile né classe.

Non ho un fisico scolpito né un fascino magnetico.

Però sono uno di quelli magari non eccezionale di destro, magari non eccezionale di sinistro, magari non eccezionale nel gioco aereo e magari dal fisico sgraziato, ma che, alla fine dell’anno, si scopre avere totalizzato una ventina di reti, ovvero uno che la pagnotta, anche ripiena, la porta sempre a casa.

Con me certamente non si va nei ristoranti di lusso ma nelle trattorie, però in trattorie dove si mangia assai bene spendendo il giusto.

Io sono l’affidabile attaccante di scorta.

Io sono l’accumulatore seriale degli scarti.

Io sono quello che non rischia di perdere se non può vincere.

Io sono quello che non rischierebbe mai di lasciare una solida realtà per inseguire un sogno.

Io sono quello che prima di comprare chiede il prezzo e rinuncia, senza battere ciglio, se è eccessivo.

Io sono quello che si fa andare bene ciò che è alla portata.

Io sono quello che subordina il volere al potere.

Io sono quello che preferisce comprare tre anonimi maglioni di media qualità piuttosto che uno sgargiante pullover di marca.

Io sono quello che preferisce un ottimo usato alla moda del momento.

Io sono il piccolo borghese che odia le novità e le stravaganze ed ama le piccole solide certezze.

Io sono quello che crea salvadanai per le vacanze.

Io sono quello che esclude a priori gli incasinati per non complicarsi la vita.

Io sono quello che analizza tutto in termini di costi e benefici, anteponendo sempre la mente al cuore.

Io sono quello che al supermercato sceglie i prodotti in base al costo e non al gusto.

Io sono quello che non conosce perdono per i traditori e per le traditrici, in quanto nessuna motivazione può cancellare il fatto di essere un o una infame indegno o indegna.

Io sono quello che ritiene le zone grigie arrampicamenti sugli specchi per non subire le conseguenze dei propri errori.

Io sono per l’estensione dell’autotutela difensiva della proprietà in quanto chi ruba ed occupa non ha giustificazioni, od, in ogni caso, non sono interessato ad ascoltarle, in quanto ha invaso il mio spazio.

Io sono quello che se si lascia, rivuole indietro i regali o l’equivalente economico.

Io sono quello a favore degli accordi prematrimoniali.

Io sono quello che dice ai bambini che Babbo Natale non esiste per risparmiare sui regali.

Io sono Il Brutto Dentro.

Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. La caricatura di un omino che si accontenta ma non gode, per evitare spreco di energia, una sufficienza che non ce l’ha fatta ed è rimasta collocata a vita nella zona confort (ma non troppo, meglio pochino che niente) della mediocrità, forse un alter ego bugiardo, che recita all’ombra di sé , il copione di un attore impacciato e maldestro, per mantenere segreta la vera natura di colui che l’ha assunto. Tutto ciò per scrivere che il tuo racconto mi piace.

  2. Tanto brutto dentro non direi. Una caricatura di un personaggio che, per molti aspetti, appare persino simpatico e con molte virtú o qualità o risorse, a seconda dei punti di vista.
    E poi la frase “Non ho stile, né classe” non é credibile. Il personaggio descritto con molta ironia e un pizzico di cinismo, usa un linguaggio impeccabile, un suo stile originale e in qualche modo accattivante.

  3. Un racconto, questo il Brutto dentro, tanto familiare quanto inquietante.
    Scritto con la consueta precisione chirurgica.
    Mi ha colpito molto il ritratto di quest’uomo che si muove solo quando la posta è sicura: un “piccolo borghese”, anche un po’ fetente, che rifugge le novità e trova conforto nell’usato – non solo negli oggetti, ma anche nelle idee e nelle abitudini.