Il cacciatore
Serie: L'Adelina
- Episodio 1: Fausto
- Episodio 2: Un figlio e il suo Papi
- Episodio 3: Il fantasma dell’Adelina
- Episodio 4: Un uomo fa quello che deve fare
- Episodio 5: Gli opportuni aggiustamenti
- Episodio 6: Una gran brutta faccenda
- Episodio 7: Una storia impossibile
- Episodio 8: Il racconto di Ljuba
- Episodio 9: Mettendo a posto i pezzi
- Episodio 10: Il cacciatore
STAGIONE 1
Mangiarono in centrale, quella sera. Lui, Scianna e Sermonti.
L’atmosfera era quasi rilassata. La storia recente cominciava ad allontanarsi.
Si sentiva in colpa, per questo. Avrebbe voluto fare di più, per Fausto, per sua madre.
“E allora mia moglie mi fa: -Te, non capisci niente!-”
Risate. Calore, casa. Le cose, che tentavano lentamente di tornare normali, dopo tanto schifo.
Forse perché qualcosa, dentro di lui, assecondava quel moto uniforme, il ritorno alla normalità; e lo faceva incazzare, questa cosa.
Insomma, aveva avuto voglia di scrollarli, tutti loro.
“Cosa ne pensate di quello che è successo?”
La conversazione si spense, come se le sue parole fossero finite in una palude di sabbie mobili.
“Cristo, Collalto!” gemette Sermonti, esasperato.
“Non ci pensate mai, davvero?” insistette lui. “Com’è possibile che un uomo normale si sia trasformato in un mostro, e nessuno se ne sia accorto?”
Scianna alzò le spalle.
“Guarda che non è mica colpa tua. Era matto…”
Sapeva che Scianna cercava solo di aiutarlo; ma in un certo senso avrebbe preferito sentirsi dire che era stata sua, la colpa.
“Ma che vuol dire! Matto! Non significa niente!”
Sermonti lo fissò, serio.
“Significa che ha cominciato a pensare solo a sé. Questo, significa. Con un figlio da crescere…”
Bella. Ma non era ancora una vera risposta.
Scianna caricò un altro po’, teatralmente.
“È ovvio, no? Tutte quelle chiacchiere che ha riferito Maria… Madonna che tristezza! Quello si era proprio fissato, con quella casa! Gli aveva mangiato l’anima! I sacrifici di sangue, capisci? E chi li fa più, i sacrifici di sangue! Oggi al massimo ti accendi un mutuo, Colla’!”
La risata di Sermonti suonò un po’ lugubre; ma Scianna non aveva tutti i torti.
Rimase per un po’ assorto nei suoi pensieri. Sentiva che gli altri due stavano ancora discutendo del caso, da qualche parte in sottofondo.
L’assassino era stato trovato, chi poteva essere salvato era stato salvato…
Si sentiva come se gli stesse sfuggendo un dettaglio importante.
“E poi, quando Maria ha detto che parlava dialetto…”
Luciano quasi rovesciò la birra che aveva davanti.
“Collalto! Non ne indovini una stasera, guaglio’…”
“Chi parlava dialetto?”
Calò il silenzio. Gli altri due lo fissavano, stupefatti.
“Ma… la donna…”
“Che donna!”
“Quella che è andata a prendere Ljuba… Quella che l’ha portata fino alla cascina… Quella del martello, Colla’…”
Scosse la testa un paio di volte, da un lato all’altro.
“Non è possibile, Scianna!”
Sermonti gli mise una mano sul braccio, come se volesse calmarlo.
“Maria è nata da queste parti, ha parlato dialetto tutta la vita… Lo riconosce, quando lo sente…”
“E allora non poteva essere Lovisa!”
Era trionfante. Una logica inattaccabile. Ljuba aveva raccontato che Lovisa era rumena, arrivata alla fine di maggio. Al momento della fuga, parlava ancora pochissimo l’italiano.
Di certo, non avrebbe mai usato il dialetto; e mai per comunicare con Ljuba, alla quale si rivolgeva di preferenza in un pessimo inglese, non conoscendo il russo.
Il silenzio calato tra loro sembrava uno di quelli che non si spezzano più.
Alla fine, Scianna piombò giù a sedere. Aveva un’espressione vagamente inquieta.
“Uggesù… E allora quella chi era?”
Luciano non disse niente.
Nemmeno quello che avevano in testa tutti quanti.
Fausto lasciò la bicicletta e proseguì a piedi. Dritto verso la porta sprangata, con ancora i sigilli della polizia, senza esitazioni.
Timidezze, paure… Tutta roba che apparteneva al passato.
Prese dal giubbotto la chiave che aveva rubato dalla borsa dell’avvocato, mentre seguiva mamma in giro per casa, cercando di comunicarle quelle che lui considerava buone notizie.
Che le indagini avevano escluso che lui, Fausto, fosse coinvolto in qualche modo.
Ed era proprio la verità: Papi non gli aveva detto niente. Lo aveva tenuto all’oscuro.
Non ci sarebbero state conseguenze, non per lui.
A parte che Papi era morto.
Infilò la chiave nella toppa e fece scattare la serratura.
Era perfetta. Ricordava la faccia un po’ nervosa di Sansoni, quando gli aveva chiesto il doppione.
“Che chiave è, questa?”
Ma tutti lo credevano un inutile ciccione; perciò era stato sufficiente mettere fuori un’aria un po’ tonta, innocente.
“La mamma ha perso il doppione della chiave di casa. Ci serve subito, la puoi fare?” Aveva sorriso, timidamente. “Certe volte, le donne sono proprio distratte…”
Sansoni si era messo a ridere, divertito.
“Torna tra un’oretta, va bene?”
Si era perfino ricordato di dire grazie, come un bravo bambino.
La cenere fredda, sulla pietra del focolare, gli comunicò un senso di desolazione, che ricacciò subito in fondo alla pancia.
L’istinto era di accendere il fuoco, come aveva fatto tante volte, insieme a Papi. Ma presto o tardi, qualcuno avrebbe notato il fumo che usciva dal comignolo.
Sedette sul divano, stringendosi nel giubbotto. Appoggiò accanto a sé la cintura portaoggetti e sfilò il martello, facendolo ruotare nell’aria un paio di volte, calibrandolo nel pugno.
La sua solidità, la sua pesantezza, gli comunicarono un senso di sicurezza.
Era stata lei, non aveva alcun dubbio.
L’Adelina.
Poliziotti, psicologi, insegnanti, assistenti sociali… Loro non capivano niente. Non conoscevano Papi.
E la mamma… be’, anche lei non l’amava più; altrimenti non l’avrebbe lasciato, giusto?
L’aveva mandato a stare in quell’albergo schifoso…
La sua mano grassoccia si strinse convulsamente sul manico del martello. Provava una rabbia divorante.
In quel momento, la porta d’ingresso cigolò leggermente sui cardini.
Lei era arrivata.
Non aveva paura. Un uomo fa quello che deve fare. Sembrava semplice, ora, sapere cosa fare.
Perché ora era lui, quello col martello.
Si alzò in piedi. Voleva essere sicuro che lo vedesse bene in faccia, prima di colpirla.
Strinse la presa sul manico del martello, e le andò incontro.
Papi sarebbe stato fiero di lui.
(A mio padre.)
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