IL CORPO DEL SOLDATO
Camminavano nel bosco senza parlare. La luce filtrava a malapena dai rami, dal folto delle chiome degli alberi proveniva un trillo confuso di uccelli. Fu lì che lo videro, ai piedi di un rovere, la schiena appoggiata al tronco, la divisa lacera e macchiata di sangue.
La bambina chiese: “Chi è?”.
“Un soldato ” rispose il bambino.
“Cosa fa? Dorme?” chiese ancora la bambina.
“No, non credo”. Si avvicinò e lo toccò: “È morto”.
“Cosa vuol dire: è morto”. La bambina era molto piccola e non aveva ancora sentito parlare della morte.
“Quando uno non respira più, è morto”.
La bambina trattenne il respiro fino a diventare rossa, poi sbuffo’ fuori l’aria dalla bocca. “Non ce la faccio a morire”.
“Chi è vivo, non è morto” sentenzio’ il bambino scuotendo il capo. “Vedi, lui è morto. Non respira più “.
La bambina si accostò di più. “È vero. Non respira”. Si rivolse al bambino: “Non possiamo fare niente per lui?”.
Il bambino alzò le spalle: “Se uno è morto, è morto. Non c’è niente da fare”. Il bambino raccolse un iris da una piantina cresciuta in una roccia vicina e lo depose accanto al corpo.
“Cosa fai?” chiese la bambina.
“Lascio un fiore al morto”.
“Perché lo fai? Lui non ti vede. Ha gli occhi chiusi “.
“Si fa così ” spiegò serio il bambino.
I due bambini rimasero in silenzio per qualche minuto davanti al corpo del soldato morto. “Che facciamo?” disse la bambina.
“Dovremmo seppellirlo. Mettergli la terra sopra. Prima che vengano i cani e lo mangino. Ma non abbiamo una vanga per scavare la fossa”.
“Era un uomo cattivo?” chiese la bambina.
“Non lo so. Perché me lo chiedi?”.
“Se è morto, doveva essere un uomo cattivo”.
“Muoiono anche gli uomini buoni”.
“Anche io morirò? E tu?”.
“Anche noi moriremo”.
“È brutto. Non si dovrebbe morire”.
“È vero – fece pensieroso il bambino – Non si dovrebbe morire”.
Il soldato era giovane. Aveva una divisa kaki ed i capelli scuri. “Andiamo via – disse la bambina – Ho paura”.
“Di cosa?”.
“Che si svegli e ci trovi qui a guardarlo, e che si arrabbi “.
Il bambino ebbe un moto di impazienza. “Ti ho detto che è morto. Chi è morto non si sveglia”.
La bambina adesso era visibilmente smarrita. “E allora cosa dobbiamo fare?”.
“Andarcene. Basta. Andarcene”. Il bambino prese per mano la bambina e la portò via. La bambina si lasciò trascinare controvoglia, ogni tanto voltandosi indietro, fino a che gli alberi non nascosero il corpo del soldato alla loro vista.
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La donna si fermò. “Ecco, era lì” indicò all’uomo. Il fratello si abbassò e smosse con la mano le foglie morte tra le radici dell’albero. “Sei sicura?”.
“Sono sicura”.
“Io non sono più sicuro di niente, dopo tanto tempo. Avevo dimenticato tutto. Tu me lo hai fatto ricordare. Ma non sono sicuro del mio ricordo. Tu sei sicura? Eravamo così piccoli. Uno di noi potrebbe averlo sognato e raccontato il suo sogno all’altro ed averlo ripetuto così tante volte da convincere se stesso e l’altro di averlo visto realmente”.
La donna si aggiusto’ i capelli bianchi che le ricadevano dalla fronte sul viso. “Può darsi. Anche io non sono più sicura di niente. Uno si volta indietro, ripensa a quello che è stato ed ecco, tutto è così confuso. Tutto potrebbe essere stato un sogno. Tutta la vita potrebbe essere stata un sogno”.
L’uomo si rialzò ed abbracciò la sorella. La donna disse: “La gioia, il dolore – un sogno. Quando non ci sarò più, ci saranno ancora il sole, questi alberi?”.
“Andiamo via” disse l’uomo con dolcezza prendendola per mano.
“Tu credi che io sia folle, vero? Che io stia perdendo la ragione “.
“Tu non sei folle – disse l’uomo carezzandole la fronte – Andiamo via. È tutto un racconto, alla fine. Un racconto”.
“Andiamo via” disse la donna chinando il capo. La luce filtrava incerta dall’alto e gli uccelli suonavano il loro trillo confuso tra i rami.
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