Il festival delle cover band

L’estate in quel lembo sonnolento di provincia incastonata tra il Veneto e la Romagna non offriva mai granché di stimolante.

Qualche sagra di paese delle più dozzinali, autocelebrativa e chiassosa, e poco più.

Per il resto, zanzare a profusione.

Così i residenti salivano in auto, abbandonavano il paese e raggiungevano i lidi di Ravenna e la Riviera, oppure la sponda più vicina del Lago di Garda.

Le alternative non mancavano di certo.

Ma il Lambrini, nuovo assessore alle attività ricreative in carica da pochi mesi e con una rete invidiabile di conoscenze in loco e anche fuori regione, stava per mettere sul piatto un carico da novanta: un vero e proprio festival musicale dedicato alle cover band.

Sapeva che ce n’erano davvero tante in attività, e non aspettavano altro che una vetrina per farsi conoscere e uscire dall’anonimato dei soliti quattro pub.

La rassegna venne messa in calendario per l’ultimo weekend di luglio, proprio appena prima che le fabbriche chiudessero i battenti per le ferie dando il via all’esodo della gente verso il mare, la montagna, il lago o le città d’arte. Venne fatta una promozione massiva dell’evento, e nulla fu lasciato al caso.

La voce dunque si sparse attraverso manifesti piazzati qua e là in tutta la provincia da un gruppo di volenterosi ragazzini in vacanza da scuola improvvisatisi attacchini, e tramite una campagna pervasiva sui social.

Il risultato di tanta dedizione fu che il venerdì dell’inaugurazione sull’ampio spiazzo di proprietà del comune adiacente al campo sportivo si erano riversate più di quattromila persone. Un successo indiscutibile.

La conduttrice della manifestazione era Angelica Chioffi, una brillante speaker radiofonica locale che diede a tutti il benvenuto ringraziando “l’assessor Lambrini per il suo impegno, e il suo amore per il nostro paese e per la musica”.

Dopo l’introduzione in cui si menzionavano gli sponsor che avevano reso realizzabile il festival, i primi a esibirsi furono i Lovecats, coverband dei Cure. Truccati, melanconici, cotonatissimi.

Dopo di loro, i Tettallica, metallo al calor bianco declinato al femminile.

A seguire, i Crash, replicanti della celebre band punk rock londinese dei primi anni 80.

Chiusero la serata i November Train, emuli di Axl Rose & Co, cotone idrofilo a volontà nelle parti basse e spiccata inclinazione al demenziale.

E non fu certo la pioggia torrenziale a fermare un pubblico partecipe e scalmanatissimo.

La sensazione era quella di essere partiti con il piede giusto.

La sera successiva venne dedicata alla musica italiana.

I Figli Di Un Cane portarono sul palco l’energia del primo Ligabue. Quello ruspante, un po’ padano e un po’ americano.

Poi i Litf-Iban, quattro sportellisti del Credito Lombardo-Veneto che portavano in scena la band fiorentina di Pelù e Renzulli.

I Modà-Gli-Unasberla mandarono in sollucchero le ragazzine.

E per i maschietti, una procace cantante solista dal nome nientepopodimeno che di Emma Tarrone.

Terminata la sua performance, l’Organizzazione fece una sorpresa molto gradita al pubblico: aprì 300 bottiglie di lambrusco offrendone un bicchierino a chiunque si fosse presentato al bancone.

Dopodiché, trattandosi di un sabato, musica da discoteca per tutti fino alle tre di mattina.

La domenica sera, tutto era pronto per il gran finale: dopo l’esibizione degli ultimi quattro complessi, la giuria avrebbe decretato il vincitore.

Salirono sul palco nell’ordine:

i Brother Rissa, coverband ferrarese degli Oasis;

i Nervino, omaggio a Kurt Cobain e alla scena grunge di Seattle;

Bono & i Bonazzi, emuli degli U2, che vollero rimarcare il loro essere socialmente impegnati lanciando un appello per la salvaguardia dei pappataci di Pontelagoscuro;

Per ultimi toccò ai Doors Legacy, il cui cantante Federico si faceva chiamare Jimmy (scritto e pronunciato così) Morrison e tra una canzone e l’altra si divertiva a provocare il pubblico scimmiottando spudoratamente il Re Lucertola.

Tutto programmato e tutto concordato, anche se a causa dell’alcol si stava facendo prendere un po’ troppo la mano.

Infatti dalle prime file un manipolo di ragazzini iniziò a rispondere alle provocazioni del cantante, dandogli del povero idiota, del tossico, del fallito, e tirandogli le anguille marinate.

Insomma, tutto stava degenerando.

E le cose andarono definitivamente in vacca quando una tizia eluse i controlli e salì sul palco liberando ai quattro venti le sue forme da maggiorata, e andando a stampare un bacio sulla bocca a Jimmy che dimostrò di gradire eccome, ricambiando con tanto di lingua e di mani da mandrillo.

“Il festival si chiude qui” annunciò imbarazzatissima la Chioffi.

La ragazza che era salita sul palco a mò di cavalla pazza in realtà era una ex fidanzata del Lambrini con il dente assai avvelenato, e si era posta fin dall’inizio l’obiettivo di mandare all’aria la manifestazione scegliendo di fare irruzione durante l’esibizione conclusiva non soltanto perché il suo gesto risultasse più eclatante e plateale, ma soprattutto per il fatto che Jimmy era uno dei migliori amici del Lambrini, nonché compagno di vita di sua sorella.

Due piccioni con una fava, in pratica.

Ma non era finita certo qui.

La tizia, su di giri per i cuba libre ingeriti, raggiunse Jimmy nel backstage e gli saltò addosso.

“Sì sì, prendimi, Dio del rock e di stoc…”

E Jimmy bello sbronzo pure lui non se lo fece ripetere: si amarono, ammesso che si possa utilizzare un termine del genere, sopra due materassi buttati lì e con l’aria di un ventilatore scassato sparata in faccia, mentre là fuori il pubblico rumoreggiava e la giuria si preparava a decretare i vincitori.

Il primo premio venne assegnato ai Brother Rissa, soprattutto per merito di Wonderbra, una loro appassionata e personale interpretazione di Wonderwall, il grande classico della band di Manchester.

Ma il pubblico non era per nulla d’accordo, e iniziò a protestare e ad intonare all’unisono: “JIMMY! JIMMY!”.

L’allampanato cantante, dopo averci quasi fatto a botte, li aveva portati dalla sua parte.

Se questo non è carisma, come lo possiamo chiamare?

Lui però intanto assieme alla sua “groupie” aveva tagliato la corda, in direzione Po’ di Gnocca, sul delta del grande fiume.

Ci stavano dando dentro pure in barca, alla deriva sotto a un chiaro di luna.

Alla deriva come la reputazione del Lambrini, affogato in un mare di melma e di scazzi familiari detonati tutti assieme nel corso di una sera.

Ormai poteva tranquillamente candidarsi a Roma come parlamentare, non gli mancava proprio nulla.

Avete messo Mi Piace1 apprezzamentoPubblicato in Narrativa

Discussioni