IL GIOCO DELLA VENDETTA EP II

Serie: IL GIOCO DELLA VENDETTA


rapimento

Il Maresciallo stava rientrando dopo aver pranzato in un ristorante del paese. Amava frequentale le persone del posto, diceva che saldava la fiducia reciproca e ciò che ne otteneva, era la loro disponibilità a parlare e raccontare, specie i fatti degli altri. Ovviamente, erano informazioni che spesso si rivelavano inutili e anche fasulle, ma rappresentava comunque un sistema per conoscere i rapporti fra gli abitanti.

Era una giornata con vento forte e pioggia ed una strana agitazione e inquietudine lo avevano pervaso fin dal primo mattino, come avesse la percezione che quel giorno avrebbe riservato delle novità non gradite, ma forse era solo il suo stato d’animo.

«Comandante, c’è un pacco per lei. L’ho appoggiato sulla sua scrivania» disse l’appuntato.

«Chi lo ha consegnato?»

«Non lo sappiamo, era un uomo con un furgone che ci ha fatto firmare su un tablet. C’era il nostro indirizzo ed il suo nome, pensavo lo stesse aspettando.»

Le sue percezioni si fecero vivide e questo malessere si scaricò, come una saetta, lungo la spina dorsale.

«Brigadiere Mastroianni, mi raggiunga nel mio ufficio.»

«Comandante, eccomi.»

Era il più fidato dei suoi uomini ed anche il più preparato. Aveva prestato servizio attivo nei ROS e sapeva quanto potesse essere pericoloso.

«Metti i guanti e rimani qui a fotografare e riprendere tutto.»

***

Camminavano leggere e felici. Alice e Beatrice Bardi erano sorelle, divise da meno di due anni, praticamente coetanee, molto unite e molto diverse. Alice, la maggiore, studiava lettere antiche, mentre Beatrice, futuro avvocato, frequentava il primo anno di Giurisprudenza. Entrambe avevano, in modo differente, basato il loro futuro sulla parola scritta e parlata.

Belle, senza essere appariscenti, raffinate e colte. Vivevano con la madre, da quando il padre lasciò la famiglia per raggiungere la sua amante, ballerina di Flamenco, a Barcellona. Abitavano giù in città ma, durante l’estate, raggiungevano i nonni materni a San Piero in Bagno.

Siccome il tempo non prometteva nulla di buono, decisero di concedersi un pomeriggio di coccole, alle terme. Massaggio e piscina.

Nessuno le vide più.

Chi avesse osservato bene, avrebbe notato un furgone scuro lasciare l’ingresso della lavanderia. Nessuna scritta sulla carrozzeria, anonimo.

***

Il dolore fu violento, improvviso ed inaspettato. Mi lasciò senza respiro. Una fitta bruciante, come se un ago incandescente mi avesse perforato un polmone, ma fu un solo attimo. Mi accasciai e persino Leo sbarrò gli occhi, preoccupato, mentre Gordon corse a leccarmi il viso. Erano evidentemente allarmati.

«Fa che non sia così, fa che non sia di nuovo lui» pensai ad alta voce, tentando di riprendere fiato.

Anni prima il cancro devastò tutto ciò che ero, tutta la mia vita, trascinandomi strisciante nel girone più profondo dell’inferno, popolato da demoni quali ostilità, odio e accidia. Tentai di combatterli con l’alcol, ma fui sopraffatto dalla loro forza. Due amici ed una giovane ragazza, anche lei sprofondata nella stessa dannazione, riuscirono a riportare la speranza e la vita nel mio mondo, o almeno in ciò che era rimasto.

Avevo visto cosa il dolore, quello vero, può generare e quanta sofferenza produce anche nelle persone vicine ed ora non potevo pensare di dover combattere nuovamente i diavoli che mi avevano quasi distrutto.

Piano piano tutto tornò nella normalità.

***

L’uomo scese dal furgone ed aprì il portellone posteriore. Le due ragazze erano ancora addormentate. Gli aveva iniettato un sonnifero mentre erano stese sul lettino del massaggio. Una leggera puntura ed il buio le inghiottì.

Le sollevò con cura e le rinchiuse in un capanno di legno perfettamente uguale a quello dove era rinchiuso il ragazzo. In totale si potevano contare quattro strutture identiche, nascoste, quasi occultate alla vista. Il bosco le aveva assorbite, oppure erano state progettate proprio con lo scopo di renderle parte della natura circostante. In ogni caso, chi le aveva realizzate conosceva perfettamente il significato di scomparire.

Una sola, aveva alcuni pannelli solari sul tetto ed un’antenna alta.

Le depose sopra le brande, tagliò loro le fascette e appoggiò pane e acqua sopra il piccolo tavolino di plastica. Non c’era altro nell’unica stanza, se si escludeva un divisorio che separava la latrina dal resto dell’ambiente. Anche questa struttura, come quella del ragazzo, era rivestita con lamiera e priva di ogni finestra, se si esclude lo stesso abbaino schermato e la lampadina, sempre accesa, che penzolava dal soffitto.

Non rimaneva altro da fare se non attendere il loro risveglio. Sarebbe tornato più tardi.

L’uomo entrò nel capanno più lontano, quasi incastrato fra due querce secolari. Era arredato con cura, anche se in modo spartano. Una branda, un piccolissimo comodino, una pila di libri ed una grande poltrona, posta accanto ad una finestra che guardava un vasto prato. In lontananza si scorgeva una dimora signorile. Nell’altra parete pesi, attrezzi da palestra, un arco con relative frecce e due pistole. Non c’era cucina, forse perché non voleva attrarre l’attenzione con il fumo. Era un ambiente che, anche se si poteva definire confortevole, incuteva un senso di oppressione, compressione, come se si facesse fatica a respirare.

Appoggiata sul tavolo, una maschera da uccello di pelle e di metallo. Un oggetto antico, realizzato con la maestria di altri tempi. Accanto alla maschera, due telefoni, un computer portatile, una telecamera e due macchine fotografiche.

Steso sul tavolo un gioco dell’Oca e due dadi.

Era un uomo ancora giovane, quarant’anni circa, con un fisico perfettamente allenato, un ex militare. Aveva partecipato a molte missioni, molte delle quali, non ufficiali.

Tanti anni prima si iscrisse all’accademia e questa decisione trovò un ostacolo insormontabile nel padre, con il quale ebbe liti aspre e quasi cattive, fino a quell’ultimo diverbio terribile, talmente duro da fargli decidere di lasciare per sempre la sua casa e farvi ritorno solo dopo la sua morte.

E così fece.

Ricevette, qualche tempo dopo la sua partenza, una telefonata dalla madre, che gli annunciava la scomparsa dell’adorato fratello, l’unico con il quale aveva mantenuto rapporti quasi giornalieri. Il suo mondo andò in frantumi così come il suo cuore e, forse, anche la sua anima. Divenne un’entità sola e solitaria. Un fantasma ben addestrato e determinato. Dopotutto non aveva altro.

Quando gli fu comunicato il decesso del padre, decise, finalmente, di esaudire il desiderio della madre e, in fondo, anche il suo.

Ritornare a casa.

Solamente dopo il suo ritorno egli conobbe i dettagli della morte del fratello che lo spinsero a pensare e desiderare vendetta. Non solo. Forse avrebbe potuto usare quella rivalsa quale strumento per realizzare qualcosa di più complesso, un compito che gli era stato affidato e che doveva portare a compimento con successo.

Si era stabilito nella dimora di famiglia dove poteva godere di assoluta libertà di azione. Inoltre, la casa aveva un parco enorme di oltre venti ettari ed una grande porzione di bosco con querce e castagni, dove, tanti anni prima, il padre aveva fatto costruire delle piccole baite in legno, mai completamente ultimate, per accogliere eventuali ospiti. Lì, in quel luogo nascosto alla vista e celato nella selva, lui aveva organizzato e costruito il suo mondo parallelo, il suo inferno.

Durante le varie missioni, gli altri commilitoni avevano iniziato a chiamarlo “Il Matto” non perché lo fosse, ma perché una volta si era fatto fare i Tarocchi ed era uscita, per ben due volte, la carta del Matto, un arcano maggiore, una carta bi-valente che lo aveva affascinato fin da subito, forse proprio per questa ambiguità, oppure perché era l’unica carta senza un numero, non catalogabile, non classificabile.

Aveva chiesto informazioni alla cartomante, per quel ripetersi di quella carta, ma ella si rifiutò di dargli spiegazioni. Gli disse solo poche parole che, al momento, non comprese appieno.

«Fai attenzione ragazzo, fai molta attenzione a te stesso.»

***

I due uomini erano tesi, eppure si trovavano davanti ad un semplice pacco che attendeva di essere aperto. L’ansia non scaturiva da ciò che avrebbero trovato all’interno, ma dalle implicazioni che ne sarebbero derivate.

«Comandante, crede che sia lui?»

«Non posso esserne sicuro, ma ritengo sia molto probabile. Non ci resta che aprire e scoprire cosa ci attende.»

Non tagliarono lo spago, ma fecero in modo di slegarlo integro. Il nodo era normale. La carta, anch’essa del tutto banale, era fissata con colla. Aprirono con cura i lembi ed una volta liberata la carta esterna, si trovarono davanti ad un contenitore realizzato in legno di castagno, lucido e pregiato. Chi aveva prodotto quell’oggetto sapeva il fatto suo.

La chiusura era semplice, dorata.

Il Maresciallo lo aprì con molta attenzione, mentre il Brigadiere filmava ogni cosa, scattando anche alcune foto. Stavano sudando anche se la temperatura non lo giustificava.

Il legno era intagliato e riportava l’immagine di una carta stampata a fuoco: il Matto, carta dei Tarocchi e, a fianco, il numero 6.

Si guardarono senza dire nulla, sapevano che era lui e che tutto ciò che avrebbero trovato dentro, avrebbe cambiato le loro vite.

Sollevarono il coperchio.

Una chiavetta USB, un foglietto con un indirizzo Internet, una scatola di cartone ed una busta chiusa con cera lacca.

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