Il giorno della vergogna

Serie: Exasperation


James, un ragazzo di diciassette anni, sta per uscire con il fidanzato, ma un amico del padre, un viscido alcolizzato, lo costringe a venire con se...

James uscì dalla doccia avvolto dall’aroma del bagnoschiuma. Una ciocca di capelli biondi gli ricadeva sulla guancia. Nonostante la porta chiusa a chiave, sentì il bisogno di rifugiarsi nell’accappatoio. Come se la sua nudità, pur in un contesto in qui essa era la norma, costituisse motivo di vergogna.

Fece scattare la chiave due volte, cercando di ridurre al minimo il rumore. Aprì la porta e si affacciò oltre la soglia, voltandosi a destra e poi a sinistra nel corridoio silenzioso e in penombra. Via libera. Corse in camera, chiudendosi la porta alle spalle, anche questa volta badando a non far rumore.

Ora si trovava davanti allo specchio. Fece cadere l’accappatoio e indugiò guardandosi mentre accarezzava la sua pelle nuda. Gli piacevano le forme del suo corpo. Si sentì attraente. Un barlume giunse dal suo comodino. Il suo Casio digitale gli ricordò che mancava meno di un’ora all’appuntamento.

Si asciugò i capelli, pettinandoli prima all’indietro e poi spostandoseli ai lati. Indossò gli slip, la gonna e il top. Nuovi di zecca, arrivati il giorno prima tramite corriere. Spruzzò il profumo e controllò di avere tutto nella borsetta. Il resto del tempo lo passò alla finestra, aspettando Mike. La stessa finestra dalla quale sarebbe sgusciato, evitando di passare per il salotto, sotto gli occhi di suo padre e dei suoi amici.

Dal corridoio giunsero delle voci tonanti. Poi risate e schiamazzi. James stava prendendo in considerazione di chiudere a chiave anche la porta della sua stanza, quando un rumore di vetri infranti riempì l’aria.

“Porca puttana… vaffanculo!” si udì, e in quelle parole impastate James riconobbe la voce di suo padre Herbert.

“Quella puttana, sarà felice ora che non deve chinarsi per raccogliere. Quella puttana.”

Una lacrima si fece strada tra le palpebre di James. Avrebbe dovuto essere abituato a udire il nome di sua madre accostato a parole come puttana, sudicia, stronza… eppure, ogni volta che suo padre si lasciava andare alle sue opinioni più sincere James avvertiva una stretta al cuore. Aveva provato a odiarla, per essere scappata senza dir nulla a suo figlio che nulla le aveva fatto di male, per averlo abbandonato in balia di un orco, ma non ci era mai riuscito fino in fondo. Ogni volta che ci provava, gli tornavano alla mente scene della sua infanzia.

Una notte James non era riuscito a dormire. Le urla di supplica di sua madre gli echeggiarono nelle orecchia anche quando furono cessate. Il mattino seguente, sua madre gli aveva servito il latte con i biscotti senza dire una parola, tenendo lo sguardo basso. James notò lo stesso l’occhio nero. Fece caso al gemito che sua madre si fece scappare dopo un ridicolo urto con un’anta dimenticata aperta.

“Mamma è caduta dalle scale” rispondeva agli sguardi attenti di suo figlio. James non le credeva nemmeno un po’. Innanzitutto perché non avevano scale, a casa. E poi perché anche lui aveva dovuto nascondere gli ematomi a sua madre. A che sarebbe servito accasciarsi ai suoi piedi, piagnucolando papà mi ha picchiato?

Una volta, sua mamma gli aveva promesso che sarebbero scappati insieme. Sarebbero andati al mare e nessuno avrebbe fatto loro del male.

“James! Dove cazzo sei?” La voce di suo padre lo riportò alla realtà.

“Tutte le volte mi dimentico che hai un figlio frocio” disse un uomo. La sua voce era impastata.

“Tutto il male ce l’ho ha messo sua madre, sempre detto.”

In quell’istante, come un messaggio giunto in ritardo, nella sua mente si concretizzarono delle immagini. Si stava ricordando della prima aggressione, subita all’età di sedici anni.

Sedeva sulla panchina più appartata, quella fin fondo al parco, con Dean, un compagno della squadra di nuoto di un paio di anni più grande. Parlavano, e le parole si facevano sempre più belle per James. Sempre più calde, e i toni delle loro voci si abbassavano. Era sfuggito un bacio.

Dean era tornato a casa, e sarebbe stato meglio se James lo avesse accompagnato. Invece rimase da solo nell’oscurità che incombeva, tra le ombre delle querce che si allungavano al crepuscolo. Pensava, immaginava come fanno gli innamorati. Qualcuno – qualcuno che era sempre stato lì – si avvicinava furtivamente da dietro. Quando James udì lo scrocchio di un ramoscello che si spezzava, era troppo tardi.

Alla sua vista, il mondo si era ribaltato all’istante. Vide la terra, poi il cielo e le cime degli alberi. L’istantanea ritraente una suola di uno scarpone e il volto suino di Kevin Porter fu l’ultima visione di quella sera. Poi aveva visto il buio. Tra una fitta e l’altra, sentendosi mancare, udiva quell’odiosa parola, ripetuta allo sfinimento.

“Frocio! Devo venire io?”

Di nuovo la voce di suo padre lo riportava al presente. Forse i ricordi gli erano giunti per avvertirlo. Lo sai bene cosa succede, te l’ho appena mostrato. Entrò in soggiorno. Sulla tavola c’era di tutto, bottiglie di whisky, vino. Lattine di birra, quelle erano ovunque, anche sul pavimento. Suo padre e gli altri erano seduti in stato di semi-coscienza, tutti tranne uno, accasciato sul divano macchiato dal vomito. Nell’aria avvertì il tanfo pungente di alcol e sudore.

Uno di quei maiali – per un istante vide non il soggiorno di casa sua, ma una stalla di porci –, non si era accorto della sua presenza. Si voltò.

“Non mi avevi detto di avere un unico figlio? Ci hai tenuta nascosta la tua pupa?” disse mostrando un ghigno sdentato al padre di James, poi scoppiò in una risata.

“Vedi di farti gli affaracci tuoi” ringhiò lui di risposta, ma il porco sembrò non udirlo nemmeno. James si era avvicinato al tavolo, nel punto in cui giaceva il disastro. Di colpo, nonostante di fosse piena estate, avvertì freddo sulla pelle lasciata scoperta dal suo abbigliamento. Non era una sensazione nuova – tutt’altro – e James sapeva che non si trattava del clima. Erano gli sguardi di disapprovazione a soffiare sul suo corpo come aria gelida, facendogli venire la pelle d’oca. Ora raccoglieva i cocci dal pavimento, ignorando la conversazione. Quando il pavimento fu pulito, gettò il contenuto della paletta nell’immondizia. Si avviò verso l’uscita.

“Ho sempre voluto provare qualcosa di nuovo” disse l’uomo.

“E tu mi hai sempre fatto schifo” rispose suo padre arricciando le labbra. “Ma fa quel che ti pare” aggiunse, poi l’espressione del voltò mutò gradualmente, dal disgusto a un ghigno malefico. Nella sua mente invasa dalla nebbia dell’alcol, la malvagità era riuscita comunque a farsi strada. Un’altra volta.

“Torna subito qui” tuonò la voce di Herb. “Non un altro passo” disse puntandogli il dito. James si ricordò di com’era finita la serata al parco. Obbedì.

“Sono fidanzato” disse James, una vena di decisione nella voce. E quelle parole, come per magia, fecero cadere il silenzio nel soggiorno. Anche gli altri amici di suo padre, che fino a quel momento avevano seguito gli eventi come da un mondo parallelo, vennero richiamati all’attenzione da quella parola. Sono fidanzato. La sensazione di aver detto una frase da perfetto idiota gli venne confermata dalla grossa risata in cui scoppiarono tutti. Una risata che sembrava non finire mai, che tuonava da quelle mostruose bocche storte.

Rob – James si ricordò il nome del porco che aveva iniziato tutto – fu il primo a smettere di ridere. Tra le voci tuonanti degli altri si alzò di scatto, reggendosi al bordo del tavolo per non perdere l’equilibrio. “Ora ti faccio vedere io. Dì al tuo fidanzatino che farai tardi, stasera.”

James era solo, all’angolo del bagno, la schiena nuda a contatto con le mattonelle ancora umide per il vapore della sua doccia. Si stringeva le ginocchia, il volto rigato dalle lacrime.

Il cellulare vibrò nella borsetta . Mike lo aspettava fuori. Si alzò – gli faceva male tutto – e tornò in camera per vestirsi. Nella sua mano teneva la gonna e il top. Guardò quei vestiti che gli sembravano stracci per un po’, poi li lasciò cadere sul pavimento. Aprì le ante dell’armadio e ne estrasse un paio di jeans e una t-shirt. 

Serie: Exasperation


Avete messo Mi Piace6 apprezzamentiPubblicato in Horror

Discussioni

  1. Terribilmente crudo e diretto, come richiesto da un testo di questo tipo.
    Hai un’ottima capacità nel delineare certe tipologie di personaggi e di situazioni, senza preservarti dall’usare, ove opportuno, anche un linguaggio colorito non solo nel discorso diretto, ma anche nella narrazione. Ho notato alcune similitudini tra il personaggio del padre di questa serie e quello della serie “Vado al mare”: mi sembra di capire che è un tipo di personaggio che ti consente di esprimerti liberamente, costruendoci attorno, senza necessariamente esserne il protagonista, una storia dalle tinte tristi, dolorose e, in generale, emozionalmente forti.

    1. Ti ringrazio per il riscontro, gradito come sempre. Confermo, la figura paterna asfissiante e che obbliga il figlio/a a un’esistenza dolorosa è molto d’effetto nella scrittura di storie drammatiche. Purtroppo c’è un errore nella sequenza degli episodi di questa serie, ma a breve dovrebbe mettersi tutto a posto