IL GIORNO (STORIA DI VITE SPEZZATE)
Angela era sveglia da un pezzo. Rimasta nel letto contemplava il soffitto. Era felice, libera. Aveva terminato tutto quello che si era prefissata. Non aveva paura del domani. Era lì, in quel momento, sola con la propria presenza felice.
Si alzò e andò nel suo giardino a dar da mangiare al gatto. Era una bella giornata di giugno. “Potrei farmi un bagno,” pensava, “finalmente. Il primo bagno, è risaputo, si fa al mare.” Preparò la colazione e si sedette a mangiare.
Una volta finito si recò in bagno. “Voglio uscire. Andare da qualche parte,” pensò osservandosi: dei capelli neri, un viso lungo e olivastro si stagliavano di fronte a lei con noncuranza, come se tutto questo non le appartenesse. Si truccò. Il giorno cominciava in quel momento, in quell’aria di giugno che urlava estate. Uscì di casa e si incamminò verso il parco. Aveva preso un libro che aveva intenzione di finire in mezzo alla natura.
La testa di Timoteo scoppiava. Era piena di pensieri e paure. Anche lui era sveglio da molto tempo: non era riuscito a chiudere occhio. Non sapeva cosa più cosa fare: si sentiva solo e vuoto.
Si girava e rigirava nel letto in attesa di prendere sonno. “Mento a me stesso,” continuava ripetersi.
Si alzò per fumare una sigaretta. Era l’ennesima di quella mattina. Sembrava quasi un rituale: fumare per scacciare i pensieri negativi. Se ci rifletteva si rendeva conto di come la sua vita fosse sempre stata incentrata sul fuggire. Si alzò, stanco di guardare il vuoto del letto, e andò in cucina a fare colazione.
Osservò i mobili che lo circondavano. Qualsiasi altra persona avrebbe provato piacere, senso di familiarità. Per lui, però, tutti quegli oggetti offrivano un’immagine di sé passata, finita, che non sarebbe più tornata: lo lasciavano ancorato ad una dimensione che stava provando con tutte le forze a rifuggire.
Angela camminava felicemente, osservando le facce che la circondavano. “Sono vestiti a festa… gli uomini sono affascinanti. Sono bambini cresciuti: discreti in mezzo alle loro vicende, esistono per sé stessi e per gli altri. Si muovono legati tra di loro, vivono un’adesione che definisce la loro natura ma che non ha intimità.”
C’erano tutti: bambini, anziani, adulti. Passeggiavano beati, persi nella natura, destinati a vivere e a pensare. “Sembra che vivano un grande sogno ad occhi aperti.”
La strada verso il parco passava sotto una piccola pineta, dove lei si fermò a contemplare gli alberi. L’aria di festa arrivava fin lì. Amava tutto quello che la circondava: “vivere è una bella fortuna. Bisogna godersi il presente. La felicità è questa. Gli uomini non si conoscono, ma vivono. Lo fanno con accondiscendenza. Il tempo è bello e loro sentono di essere vivi.”
Arrivò al parco senza smettere di esaminare i volti e i movimenti di coloro che passavano: “Esisto in un mondo che mi ospita senza chiedere alcunché. È divertente. Siamo tutti figli della stessa specie, non conosciamo nessuno eppure ci amiamo. I colori soffiano sulle nostre vite arricchendole ma siamo noi ad accoglierli e farne tesoro. Ci muoviamo mascherati in mezzo alla folla per nascondere cosa? Debolezze che non interferiscono con la nostra esistenza. Pensiamo di non aver nulla a che fare con gli altri, ma in fondo siamo simili. Fingiamo. Siamo bravi a fingere o a nasconderci.”
Smise di rimuginare e cominciò a leggere il suo libro.
Timoteo uscì di casa dopo essersi lavato. Appena fu sul portone il suo sguardo fu catturato da una vecchietta seduta sul bordo della strada: una donna anziana, con i capelli bianchi corti. Si ergeva curva su di una sedia posizionata di fronte la porta di casa sua. Non era rigida, sembrava lasciarsi andare alla materia. La calma l’avvolgeva.
Timoteo si concentrò sul suo volto, solcato da rughe profonde. “La sua vita è fuggita via, eppure lei sembra felice,” pensava, cercando di immaginarsi la sua esistenza da lì a qualche anno. “La giovinezza è bella, la vecchiaia è solo avventura. Il termine di un’avventura.”
La donna guardava un punto indefinito, mentre le mani le poggiavano sul grembo rilassate. “Ha avuto una vita felice? Quali sono le tracce lasciate?” continuava a chiedersi mentre cercava un barlume in lei di ciò che era stata; mentre cercava di leggere tra le rughe del suo volto un qualcosa che gli potesse far capire che quell’esistenza non era come tutte le altre, aveva qualcosa da raccontare.
“Quando sentiamo che si sta avvicinando la fine? Quando si inizia ad avere paura, a che età? È crudele: cominci a vivere lontano da tutto ciò che ti circonda, senza poter dare un senso alle cose, dannandoti per offrire una testimonianza di ciò che eri prima di rimanere solo, facendo in modo che i ricordi vincano il decadimento e i rimorsi.”
La lasciò lì, andando via per la sua strada, in quella dimensione di attesa e spaesamento che solo gli anziani sanno vivere. Camminava ma continuava a pensare: “chiedersi cos’è l’amore, ricercare l’amore, assaporare le prime delusioni. È così che si definisce un’esistenza, è così che l’essenza diventa piena. La vita è un corridoio di cui tu non puoi vedere la fine. Sai che però ti attende, molto spesso quando meno te lo aspetti. Nessuno è pronto. Tu non hai fatto nulla.”
Il sole del pomeriggio si stagliava in mezzo ai rami. Nel parco si costruiva lentamente un mosaico di colori e profumi, urla e risate. Nonostante il caldo, gli alberi offrivano un ottimo riparo. Le famiglie continuavano a vivere la loro giornata: i genitori chiacchierando tra di loro, i bambini correndo e giocando vivacemente.
In questo quadro, Timoteo camminava distratto mentre Angela rimaneva ferma, leggendo il suo libro con i capelli mossi da una brezza leggera.
Lo sguardo di Timoteo fu catturato da quella figura. Non appena la vide sentì il mondo sparire: era come se non ci fosse nient’altro, come se lei fosse avvolta da una cupola che irradiava luce sulla sua figura leggera.
Angela alzò lo sguardo dal libro e i loro occhi si incontrarono. Uno scambio di sguardi, un sorriso: un’intesa silenziosa che non aveva bisogno di nulla se non di luce e spazio. Nessuna parola, nessun azzardo.
Timoteo fu investito da un’enorme gioia, di cui però capì immediatamente l’illusorietà: Angela, infatti, ritornò con noncuranza sul suo libro, tradendo quel briciolo di intesa che Timoteo pensava si fosse creata tra di loro. Deluso continuò a camminare. Provò ancora una volta a voltarsi, sperando che lei alzasse nuovamente la testa, accorgendosi che lui era lì, che la stava attendendo. Lei però rimase seduta, concentrata, senza dar alcun segno di abbandonare la sua lettura, avvolta dall’incognita del “e se.” Timoteo, quindi, abbandonò qualsiasi speranza e andò via.
Uno scambio di sguardi. Nessuna seconda possibilità. La vita di entrambi continuò. Ognuna nella propria dimensione.
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Sono d’accordo con @LegGoriferito racconto molto delicato. Se posso dire con sincerità, ma è solo per gusto personale, che nessuno se la prenda: Timoteo è proprio un nome bruttino 🙂
Ahahahah grazie mille, lo terrò a mente per la prossima volta
Ci hai dato tutte le premesse per una conclusione sdolcinata e poi in due righe ci hai sbattuto di fronte a universi incomunicabili, mi piace molto.
Grazie mille, sono contento che ti sia piaciuto
Ciao Tommaso. Chissà, forse il coraggio di una parola avrebbe cambiato la vita a entrambi! Non lo sapremo mai.
Grazie Roberta. Sicuramente sarebbe potuta andata diversamente
Scusa ma ho dimenticato di dirti che mi è piaciuto molto
Figurati. Grazie mille 🙏
Molto delicato il tuo racconto, bravo a mio avviso.
Grazie mille 🙏