Il lattante e il carnale

Giglio e Pancrazio sulla SS 131, in direzione per Cagliari, viaggiavano in silenzio, ignorando il terzo passeggero a bordo, che aveva chiesto un passaggio e subito dopo era sprofondato nel sonno.

«Perché non parli?» aveva chiesto a un tratto, Pancrazio. «Non hai aperto bocca da quando siamo ripartiti da Olbia. Che ti prende?»

«Che mi prende? Du sciu deu ita mi pigada. Puntasa a brenti, a conca e a d’onnia logu.* Quello mi doveva dare altri duecento euro, e invece… si è inventato un sacco di scuse e non mi ha dato neanche un centesimo in più. Me lo dici come me lo pago il Motorrolla nuovo?»

«Ma scusa, le rate del Motorola non puoi pagarle con lo stipendio mensile che ti da la ditta dove lavori?»

«Quello mi basta solo per i rifornimenti.»

«Va be’, che la benzina costa cara, lo sappiamo, ma quant’è che spendi ogni mese per il carburante?»

« Fai due conti: rifornimento di benzina per la macchina, di gasolio per il motorino, di birra per il mio serbatoio, di sigarette…»

«Ma, scusa, non mi hai detto che avevi smesso di fumare?»

«Si, ma sono così nervoso – porca l’oca – che non vedo l’ora di ricominciare. E poi ci sono i rifornimenti di acqua, di bibite, di panini per il pranzo. Cussu priogu torrau a nasci* ha fatto mettere le macchinette, com’è che si chiamano?»

«I distributori automatici?»

«Eja, quelli. E lo sai quanto costa una bottiglia di acqua da mezzo litro?»

«L’acqua dovrebbe darvela gratis.»

«Eja, akua ‘e grifoni. O akua ‘e funtana piscada a siccia.* E lo sai che acqua beve la moglie del boss? Quella che fanno vedere alla televisione, del santo benedetto, che fa miracoli. Fa restare giovani, senza rughe, senza pancia, con tutti i denti, tutti i capelli e tutte le pabariste.* Con quello che costa un litro di acqua di quel santo benedetto, potrei comprare una cassa intera di birra; tanto i denti e i capelli li ho già persi quasi tutti. Se l’avessi bevuta prima, quell’acqua, forse sarei riuscito a cuccarmi l’amica di Ginetta, quella rossa. Ma l’hai vista? Pittica sa bona. Più bona di un doppio cheeseburger.»

«Ma cosa dici, che paragoni fai? Una donna non è un pezzo di carne; non è qualcosa da divorare come un panino farcito con la polpa macinata di manzo o di maiale.»

«E cos’è, allora? Dimmelo tu.»

«Qualcosa da ammirare, da corteggiare, da amare… se piace.»

«Appunto. A me piaceva molto e l’amerei moltissimo. Più di un panino con la mortadella. Più di una pizza ai quattro formaggi. Più di una fettina impanata, con patatine fritte e maionese. Non vorrei offendere mia mamma; però credo che l’amerei anche più dei malloreddus col sugo alla campidanese, pieno di salsiccia, che mi fa la domenica, quando pranzo in casa, insieme a lei.»

«Che scemo che sei. Stai dicendo un sacco di fesserie. Sei il solito burlone. Ma, la ragazza che avevi, Rosina… o Rosetta, che fine ha fatto?»

«Si è fatta suora, di clausura. Figumorisca kentza ‘e cresura*.»

«Davvero è diventata suora?»

«Macchè! Tu credi sempre a tutto quello che ti dico. Sei sempre il solito ragazzo ingenuo, Candido Pancrazio. Ora ti spiego. Quella è partita. È andata fuori… di testa, per uno stronzo che aveva una macchina sportiva di quelle toghe. Correva come un pazzo. Lo chiamavano Schu-maccu.»

«E poi?»

«E poi è morto.»

«All’improvviso? Un incidente con la macchina?»

«No, era uno che se la spassava con molte donne, alcune sposate; altre, invece, erano ragazze ancora minorenni. E quella cretina gli correva dietro. L’ha pure pianto, quando gli hanno sparato. Era venuta da me per farsi consolare.»

«E tu?»

« Le ho fatto vedere la porta, vicina all’ufficio e il gesto di accomodarsi. Lei ha letto cosa c’era scritto e si è messa a piangere ancora più forte.»

«E cosa c’era scritto?»

«WC.»

Era calato di nuovo il silenzio. Ognuno assorto nei suoi pensieri. Giglio ripensava a Rosella, la sua ex, poi rivedeva Betta, la rossa, amica di Ginetta. Due donne completamente diverse, come il formaggino Mio e la crema piccante di caprino sardo. Diverse come l’acqua di rubinetto e l’acqua tonica; come l’uva acerba e l’uvetta sultanina in acquavite; come il mosto d’uva e l’Anghelu Ruju.

In quell’istante c’era stato un piccolo lamento. Pancrazio si era voltato a guardare il sedile posteriore. Il terzo passeggero, ignorato e dimenticato, dormiva ancora; forse stava sognando. Osservandolo cercava di ricordare come si chiamasse. Gli era rimasto impresso, soltanto, che voleva tornare a Pauli.

Subito dopo, Pancrazio, mentre fissava quello strano colore sgargiante dei sedili, aveva cercato di riordinare i pochi elementi di tutta quella storia molto ingarbugliata di cui Giglio gli aveva accennato, prima di partire insieme, per quelle vacanze brevi, intense e complicate.

Prima il viaggio panoramico, poi lo spettacolo all’anfiteatro Ceroli di Portu Tundu, con Iacopo Cullin e Gabriele Cossu. Il bagno nello splendido mare di San Teodoro, poi l’escursione a S’Ozzastreddu. In quei paraggi, vicino alla chiesa del Sacro Cuore di Padru, approfittando di un piccolo guasto, avevano mollato il vecchio Fiorino della ditta e avevano proseguito a piedi per un lungo tratto di strada. Nessuno che si fidasse a farli salire in macchina. Fino all’incontro casuale con le donzelle tricolori: la bruna, la bionda e la rossa. La cena in trattoria, poi l’appuntamento in piazza Mercato, a Olbia, per recuperare la vettura e infine il rientro. In realtà Pancrazio sapeva che quella vacanza, per Giglio, non sarebbe stata una vera vacanza. Era come se avesse una missione da compiere; o forse un’azione vendicativa, o anche un modo come un altro per incassare soldi, concedersi qualche giorno di ferie e pagarsi le rate del Motorola. Erano solo supposizioni, in realtà, Pancrazio, non ci aveva capito un tubo.

«Ma… questa macchina che hai recuperato, a chi dovresti consegnarla? Com’era esattamente la storia? Non ho capito bene.»

«Non hai capito bene? Meglio così. Lascia perdere. Ora ci fermiamo a mangiare. Mi è venuta fame. Credo che prenderò un doppio cheeseburger con salsa rossa piccante.  E un bel boccale di birra rossa, fresca e gasata, come l’amica di Ginetta.»

«Ancora con questa storia?»

«Tu, non hai fame? Che ti prendi?» 

«Un cappuccino con tanta schiuma e un tramezzino con sottilette; oppure un bel bignè con la panna.»

«Il solito lattante.»

«Il mondo è vario. Non siamo tutti carnivori e carnali come te.»

A quel punto avevano sentito uno sbadiglio rumoroso: il passeggero di Pauli si stava svegliando.

«Per me vanno bene sia i tramezzini che i cheeseburger. Ho dimenticato il borsello nel camper: appena avrò i soldi del mio ultimo ingaggio, vi rimborserò.»

«Certo, certo, non preoccuparti» aveva risposto Pancrazio, con uno slancio di generosità, sapendo che avrebbe pagato, ancora una volta, il suo amico. Giglio, invece, scuotendo la testa, concludeva mentalmente. Eccolo qua: non bastava il tizio che mi ha fatto rischiare la galera, per poi pagare molto meno della cifra che avevamo stabilito. Drucisi in su fundu ‘e sa crobi’*ci siamo pure accollati a questo qui: il gobbo di Pauli. Efisio lo spilorcio, scroccone e bugiardo. Che scarogna.

Giglio non riusciva a capire perché gli andasse sempre tutto storto. Non era un santo, ma non credeva di meritarsi tutta quella sfortuna. Dopo tutto non aveva mai fatto nulla di grave. Aveva solo cercato di recuperare qualche vecchio credito, sperando anche di rifarsi per qualche torto subito e nulla più.

*Du sciu deu ita mi pigada. Puntasa a brenti, a conca e a d’onnia logu: Lo so io cosa mi prende. Fitte in pancia, in testa e dappertutto.

*Cussu priogu torrau a nasci:. Quel pidocchio rinato.

*Eja, akua‘e grifoni o akua ‘e funtana, piscada a siccia: Si, acqua di rubinetto o del pozzo, pescata col secchio.

*pabariste: sopraciglia

*Figumorisca kentza ‘e cresura: Fichi d’india senza siepe.

*Drucisi in fundu a sa crobi. Dolci in fondo alla corbula.

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Discussioni

    1. Ciao Cristiana, grazie per avermi tirato su di morale con i tuoi commenti. Avevo molte perplessita` su questo racconto, a partire dal titolo, un po’ ambiguo; anche se, come scrisse Michela Murgia nel suo ultimo libro “Tre ciotole”, il pudore non fa letteratura. Ho voluto toccare alcuni tasti dolenti cercando di essere leggera e ironica ma non ero del tutto convinta di essere riuscita nell’ intento. Non e` facile conciliare l’ esigenza di sfiorare temi di attualita`, talvolta gravi, facendo una sintesi quasi telegrafica e senza appesantire il racconto, con toni drammatici. La generosita` delle tue parole, credimi, e` di grande aiuto.

    1. Un consiglio da amica: non fidarti troppo. Non uso il correttore automatico e faccio un sacco di errori che poi riesco a correggere con le opportune verifiche. Qualcosa sfugge sempre e non solo per distrazione. Se vedi qualche errore, ti prego, non esitare a farmelo notare.

    1. Giglio e` un personaggio un po’ strano; anche gli altri non sono da meno. Ho cercato di non renderlo troppo negativo nel suo approccio con le donne, anche se non e` il genere di maschio ideale nel corteggiamento e nel concetto che ha delle ragazze da cui si sente attratto.

    1. Ciao Carlo; dunque: Michele Lombardo con la sua troupe, ormai, saranno gia` sbarcati in continente. E tanti saluti. Qualcuna (le donzelle tricolori), e` rimasta su, verso Olbia, con la Jeep di Mary Spencer. Non mi hanno ancora detto che intenzioni hanno. Spero che non si caccino in altri guai, prima del loro rientro, in data ancora da stabilire.
      A presto, Carlo, e grazie.