Il loculo

La tenda, un tempo bianca, si muoveva fiaccamente nel caldo autunnale ancora soffocante. Talvolta, sorprendentemente, si spingeva di mezzo metro in avanti fino a lambire la poltrona verde. In quell’afflato miracoloso, Sabina, che su quella poltrona ci stava seduta da cinque giorni, si concedeva uno sbuffo e un colpo di ventaglio. Nel letto accanto, sua madre Tina emetteva versi sinistri, qualcosa a metà tra la disfatta di un rantolo premorte e un biascicato rimbrotto alla vita che non si decideva ad abbandonarla.

«Mamma, forse non è la tua ora» azzardò la ragazza. 

«Tu che ne sai? Quella arriva quando meno te l’aspetti» rispose Tina tirandosi il lenzuolo fin sotto il mento.

«E intanto stiamo qui a sperare che tiri le cuoia? Non si muore mica a comando.»

«Io non comando nessuno, tantomeno la morte. Io l’aspetto.»

«E quanto dobbiamo aspettare?» si sentì gridare dalla stanza accanto, «io ho fame».

In cucina Giulio se ne stava seduto a contemplare il piatto vuoto. Non era tanto la fame a mettergli in subbuglio lo stomaco, quanto la paura che, quella che sembrava essere una delle tante bizzarrie di sua moglie potesse in qualche modo concretizzarsi. Si era laureato nel 1935, faceva il medico da trent’anni e il marito da ventotto eppure, tutta quell’esperienza accumulata, non gli consentiva di fare una diagnosi netta sullo stato di salute della donna. Da cinque giorni se ne stava a letto in quello che gli sembrava uno stato depressivo. Ma, come poteva esserne certo? Si alzò lasciandosi alle spalle lo spettro del dubbio e si affacciò in camera da letto. Incrociando le braccia, appoggiò la schiena allo stipite della porta e rivolgendosi alla moglie disse:

«Titì, se non muori in giornata, domani toccherà a me. E morire di fame non è quello che voglio».

«E chi t’ammazza a te. Con tutto il grasso che ti ritrovi, puoi svernare senza toccare cibo» rispose lei immediatamente.

Giulio sorrise tastandosi l’addome, la pronta risposta della moglie gli fece escludere sintomi di demenza o delirium. Dunque, rincuoratosi, proseguì:

«Senti qua, oggi in ambulatorio è venuto Pasquale, mi ha detto che ti vuoi comprare un loculo nella parte nuova del cimitero».

«Embè?»

«Embè, che te ne fai? Ne hai già uno.»

Tina, cinquant’anni prima, s’era fatta consorella, non per devozione ma per opportunità. Allora ai confratelli e alle consorelle veniva garantito un loculo al camposanto e dunque, nonostante il contributo annuale di diecimila lire e la seccatura delle messe e delle processioni, la faccenda era sembrata a Tina un buon affare. Questo fino al giorno in cui non le era stato effettivamente assegnata la postazione: loculo numero 236 c/o cappella 6E. 

«E tu lo chiami loculo quel posto lì?» domandò al marito.

«Perché, cos’ha che non va?»

«È un sottano.»

«Si chiama ipogeo.»

«E si legge sottano.»

«Si intende sotterraneo.»

«Si definisce tugurio»

«Sinonimo di gratuito.»

«Contrario di bello.»

«E su Titì, adesso ti faccio erigere una cappella al centro del camposanto!» sbottò lui allargando gambe e braccia per sottolineare la maestosità dell’opera e al contempo lo sforzo, titanico, di contenere tutte le corbellerie di sua moglie.

«Bravo, prendimi pure in giro, ma sappi che io manco morta ci vado lì sotto. È troppo buio.

»

«E da quando i morti hanno bisogno di luce? Davanti alla vita eterna, la formazione del colecalciferolo è un trucchetto da alchimisti.»


«Senti Giulio, la morte è mia e su quella decido io. Quello è un postaccio umido e la mia artrite, come ben sai, peggiorerebbe.»



«Artrite post mortem, un fenomeno curioso  in effetti» disse lui fingendo interesse, «prima di agonizzare però, lo vuoi sentire il parere di un medico?

«Se il medico sei tu, no. Ieri hai fatto morire un paziente.

»

«Aveva 96 anni, il diabete, l’ipertensione e 2 ictus a carico. 

»

«E per questo non aveva diritto a vivere?»

«Titì, parlare con te è impossibile» si spazientì lui alzando gli occhi al cielo.



«E chi ti dice di farlo. Piuttosto non perdere tempo prezioso, vai all’agenzia di pompe funebri e fatti fare un preventivo per un funerale con fiori e banda.»

«Ma se non ti sono mai piaciute le marce funebri.»

«

Infatti. Continuano a non piacermi. Però mi piace l’idea di avere la banda in religioso silenzio dietro al feretro. È, come dire, signorile. »

A quelle parole, irricevibili a suo parere, Giulio non volle replicare. Si volto e disse solo: «vado a farmi un panino». 

Tina rimase raggomitolata nel suo sudario per un tempo imprecisato, alternando stati di catatonia a strazianti convulsioni in base alla prossimità dei passi del marito. Quando, finalmente, sentì la porta di ingresso aprirsi e poi richiudersi, scostò cautamente il lenzuolo dalla fronte scoprendosi il viso. 



«Sabina» chiamò.

«Sono qui, mamma
.»

«Tuo padre è uscito?»

«Sì. Sai dove è andato?»

«Sì. Mi ha detto che andava in comune per chiudere l’affare del loculo.»

 

Tina balzò in piedi lanciano in aria il lenzuolo. 


«Bene, usciamo va.»

Sabina, sulle prime, sembrò non capire. 


«Non stavi male, mamma? Cioè, non intendi più morire?»

«C’è tempo, Sabì, c’è tanto tempo.»

«E il loculo resterà vuoto?»

«Oh Sabì ma che è ‘sta scalogna?» 

«Intendo quello della confraternita, resterà vuoto per sempre?»

«No, non per sempre. Ho parlato con i priore, ci andrà tuo padre.

Prima o poi. 

Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Umoristico / Grottesco

Discussioni

  1. Non lo avrei detto dal titolo, ma ho adorato questo racconto e mi sono divertita tantissimo. I dialoghi sono favolosi, non c’è bisogno di altro per capire il carattere dei tuoi personaggi e il tipo di rapporto che hanno. Davvero, davvero brava Teresa!

  2. Un racconto brillante e ironico, dialoghi vivissimi e personaggi scolpiti alla perfezione. Si ride con leggerezza, ma dietro c’è anche un tenero ritratto familiare: la morte trattata con arguzia e un tocco di umanissima vitalità. Brava si può dire?

  3. Ciao Teresa, concordo con Paolo quando dice che il tuo pezzo sarebbe perfetto per un adattamento teatrale. I dialoghi sono davvero efficaci e grotteschi al punto giusto, mentre lo spazio narrativo fornisce le giuste indicazioni per una messa in scena.

  4. Ha il sapore di una scena della commedia dell’arte, me la sono immaginata in scena su un palco. Un efficace battibecco della “moribonda” col marito, porta con sé una riflessione sulle dinamiche che caratterizzano certe coppie rodate. Potrebbe essere uno spunto per una storia più articolata ed estesa. Grazie, Teresa, per la piacevole lettura