Il maiale è morto

Serie: Il maiale


Un ragazzo narra l'alcolismo del padre, e le atrocità commesse da quest'ultimo nei confronti della propria famiglia. La sofferenza di tutti si concluderà con un crudo e brutale "lieto fine".

Ho sempre odiato mio padre. Tutte le caratteristiche che possono indurre una persona a detestarne un’altra convergevano in lui, sotto l’influenza dell’attrazione gravitazionale della sua mancanza di attributi. Ogni ricordo che ho di lui nella mia infanzia, ha come protagonista principale il suo alcolismo, e i suoi sbalzi di umore indotti da quest’ultimo. 

 

Al mio tredicesimo compleanno uscì prima che iniziasse la festa per “andare a comprare le sigarette”… non tornando, uscimmo a cercarlo, ma solo dopo ore di attesa in preda all’ansia e alla paura che gli invitati scoprissero che il sorriso che avevamo stampato forzatamente sulla faccia, fosse solo strumentale a mascherare il fatto che il padre del festeggiato non si trovasse alla festa neanche per soffiare sulle candeline insieme al figliolo. Lo ritrovammo accasciato su una panchina della stazione, a 10 chilometri da casa… completamente ubriaco. Dire che lo portammo al pronto soccorso per farlo rinvenire mi sembra superfluo, dato che non fu la prima volta, né tantomeno l’ultima. 

 

In ogni singola occasione in cui ha bevuto così tanto da andare in coma etilico, la sensazione preponderante è sempre stata l’umiliazione: ci siamo sentiti umiliati come famiglia, nel far vedere alla gente colui il quale avrebbe dovuto esserne il leader, ridotto ad uno straccio per pulire i pavimenti; mia madre si è sentita umiliata come donna, nel mostrare agli altri quale terrificante scelta di vita intraprese sposandolo; io mi sono sentito umiliato come figlio, nell’avere come padre un uomo che necessitava di attenzioni più di un ragazzo adolescente. Per non parlare poi della volta, o meglio, delle volte in cui, dopo essere tornato a casa da un pomeriggio all’insegna della grappa barricata, si accaniva contro la mamma lanciandole contro schiaffi, e ingiurie indegne persino di essere pronunciate dal demonio in persona. In tali occasioni io e mia sorella ci barricavamo in camera, restando abbracciati per tutto il tempo delle urla, piangendo disperatamente, e sperando più di ogni altra cosa al mondo di non ritrovare la mamma in una pozza di sangue. 

 

Quando guardavo gli altri, pur con la consapevolezza dell’esistenza di moltissime trame familiari più o meno complesse della mia, provavo invidia al solo pensiero che qualcuno potesse avere un padre diverso dal mio. Ero invidioso perché, almeno all’apparenza, gli altri avevano padri normali, mentre il mio non era altro che un ammasso di istinti sguinzagliati dall’alcol… papà era un mostro. Infatti, serate come quella del compleanno erano solo la punta dell’iceberg, al di sotto della quale si nascondevano i disgustosi e disumani comportamenti che mi hanno spinto a desiderare la sua morte. Primo fra tutti, le sue molestie nei confronti di mia sorella: i ricordi più vividi della mia prima infanzia, sono ahimè quelli in cui quel mostro, nel cuore della notte, dopo aver passato tutta la serata chiuso in garage a bere, si intrufolava in camera di mia sorella per passarvi il tempo che un semplice bacio sulla fronte e una rimboccata di coperte non avrebbero mai richiesto; accadeva così di frequente che, appena prima che salisse, ero già pronto a osservare curioso dalla porta socchiusa cosa andasse a fare quasi tutte le sere in camera di Lucia; allora mi faceva rabbia sapere che non venisse mai in camera mia a “salutarmi” per darmi la buonanotte; l’innocenza mi impedì di capire, ed evitare che mia sorella subisse quegli abusi. 

 

Ad oggi Lucia non parla con nessuno di quelle nottate infernali… anche perché nessuno si è mai posto il problema che papà potesse arrivare a tanto. Quelle sevizie subite da bambina, l’hanno trasformata… non a caso non riesce ad instaurare rapporti con nessuno. Ha passato così tanto tempo credendo che quegli orrori fossero frutto dell’amore che, quando, crescendo, si è resa conto che non erano altro che l’esternazione di un egoismo putrido e patologico, è crollata. Ha cominciato a soffrire di attacchi di panico, e ogniqualvolta qualcuno nomina quel demone, scoppia a piangere… per non parlare del fatto che ha iniziato a soffrire di anoressia. La violenza fisica che papà ha riversato nei miei confronti per sfogarsi in tutti questi anni, è niente in confronto a quello che ha passato Lucia. Tutti gli schiaffi, i pugni e i calci che ho preso da lui, non potranno mai avvicinarsi all’ingiustizia di essere stuprati dal proprio padre… all’ingiustizia di vedere colui che ti ha dato la vita, distruggertela per sempre. Vivo con un senso di colpa indescrivibile, che mi porto dietro come delle pesantissime catene, per non aver nemmeno provato a chiedere aiuto… per non aver impedito che tutto ciò accadesse. Odio me stesso più di quel mostro, per essermene rimasto a guardare senza fare nulla, incuriosito dalle azioni aberranti del demonio che vergogno a definire “padre”.

 

 Fortunatamente per me e la mia famiglia, quell’entità maligna è morta circa cinque anni fa, e da allora siamo tornati tutti a sorridere, pur non dimenticando cosa ha significato per noi avere a che fare con un mostro del genere. La mamma ha conosciuto un signore dolcissimo, e con un cuore traboccante gentilezza, quasi come se la vita avesse voluto farle un regalo dopo l’uomo che ha dovuto sopportare per tutto quel tempo. Mia sorella ha ripreso a mangiare, cominciando a smettere di distruggere il suo corpo per evitare di subire nuovamente certe violenze, e ha iniziato ad andare da uno psicoterapeuta. Per quanto riguarda me, vedo la mia famiglia una volta a settimana. Vengono a trovarmi tutte le volte che la legge consente loro di farlo. Alla fine non me la passo troppo male: ho tre pasti al giorno, un letto, un gabinetto, e posso leggere tutti i libri che voglio; inoltre, essendo venuti a conoscenza del motivo per cui mi hanno sbattuto dentro, tutti i detenuti mi rispettano.

 

 Si, perché papà l’ho ucciso io. Non provo rimorso, né vergogna. Non mi sento in colpa neanche per la brutalità con cui l’ho ammazzato: era pomeriggio, e come al solito era già ubriaco; da giorni avevo in mente di farlo, e attendevo solo il momento in cui non ci fosse nessuno in casa; presi un coltello da cucina e scesi le scale nascondendolo nella cintura, di modo che nessuno potesse intuire ciò che stava per accadere; una volta in garage, lo trovai svenuto sopra un ammasso di cartoni gettati sul pavimento a mo’ di materasso; mi posizionai esattamente sopra di lui, accertandomi che fosse sveglio e riuscisse a capire che per lui fosse arrivata la fine; aprendo un occhio alla volta e farfugliando parole incomprensibili, ci mise un po’ per notare la mia espressione morta, e il fatto che in mano avessi un coltello con una lama da venti centimetri; non appena ebbi la certezza che si fosse reso conto, sfogai tutta la mia rabbia repressa contro quello che per me era ormai solo un sacco di carne; alla prima pugnalata sentì il coltello affondare nella carne, tagliando tessuti di diversa durezza e densità, così come anche il primo urlo di dolore emesso da quel maiale; per farlo stare zitto gli squarciai la gola con un fendente che arrivò fino alla spina dorsale, tanta fu la rabbia con cui lo sferrai; da ciò che rimaneva della sua trachea fuoriuscì un suono simile a un gorgoglio, dato che l’aria non passava più per le code vocali, ma per il suo sangue tossico che cominciò a fuoriuscire zampillando come un irrigatore; nei brevissimi istanti di vita che gli rimasero, fu costretto ad osservare il figlio martoriare il suo corpo con un’incalcolabile mole di pugnalate, lasciandolo annegare nel suo stesso sangue. Dilaniato dal dolore, non riuscí ad emettere nemmeno un sibilo… esattamente come sua figlia durante le molestie.

 

Probabilmente spetterà anche a me la stessa sorte, ma intanto spero che bruci tra le fiamme dell’inferno. Da quando non c’è più, il mondo, seppur di poco, è un posto migliore.

Serie: Il maiale


Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Termino il commento precedente, purtroppo a volte qui non si fa in tempo a scrivere che parte tutto autonomamente.

    Semmai fosse necessario, specifico che considero questo episodio come un racconto, cioè una creazione narrativa, seppur improntata come “diario intimo”.

    1. Mi accodo a quanto hai specificato. Io ho fatto notare una cosa che ritengo importante, ma deve essere chiaro che il punto di vista dei personaggi di un racconto o della voce narrante non deve per forza coincidere con quello dell’autore.

  2. Resto molto guardingo, in tutta onestà. Un complimento lo faccio per la buona scrittura, che è sempre un punto a favore e, in un altro contesto, sarà il valore aggiunto per un voto con lode.

    Qui mi frena molto il contenuto, che ripete ormai un adagio per me ampiamente, ripetutamente, noiosamente battuto, seppur a tinte forti. Ma è un primo episodio, quindi con assoluta correttezza lascio spazio a venire: questo forse è solo il preambolo per un’altra storia.

    Ho molto ma molto apprezzato il commento di @biro che reputo di alto livello e sul quale mi allineo: dipendenza.

    Mi rifaccio vivo a fine serie per una valutazione definitiva: e sarò il primo a fare i complimenti se vi saranno, per il mio modestissimo parere, gli elementi giusti.

  3. E’ un racconto molto feroce e pur trasmettendo tanta rabbia non trasborda mai, è ben scritto e controllato nello storytelling. E’ altresì una storia attuale, che stiamo vivendo in questi giorni, e la narrativizzazione che ne fai mi ha ricordato lo stile giornalistico, lucido e freddo, del Truman Capote di A Sangue freddo. E’ un racconto che mi ha molto colpito, purtroppo ho vissuto dinamiche simili e apprezzo il racconto anche nella sua onestà intellettuale, in quanto i sintomi prodotti da quegli abusi sono esattamente quelli. Ho avuto un fremito di speranza, verso la fine, ma poi ho capito che questo racconto è come la vita. Un vivido complimento, e sarebbe cosa buona se inoltrassi la narrazione in questo senso

  4. Sarò sincero, se questo racconto non fosse che il primo di una serie l’avrei giudicato male. Attraverso la sua narrazione passa infatti un brutto messaggio, l’equazione alcolismo = violenza e pedofilia. Messaggio che può essere ancora giustificato finché a parlare sembra essere un ragazzino incapace di capire cosa sia una dipendenza, ma privo di alibi allorché si scopre che la voce narrante è quella di un adulto.
    Siccome però di un racconto a sé stante non si tratta aspetto con curiosità il seguito di questa introduzione piuttosto intrigante.

    1. Grazie Francesco del commento. Il senso che trovo in ciò che scrivo, é quello di rappresentare il punto di vista di chi, sfortunatamente, si ritrova invischiato in situazioni che purtroppo fanno parte della vita di tutti i giorni… non di quella che vediamo e che pubblicamente mostriamo al mondo, ma di quella che si nasconde nell’ombra del timore del giudizio altrui. Ognuno (soprav)vive tali situazioni in modo diverso. Spero, nel mio piccolo, di fare più luce su quell’ombra.

  5. Mi colpisce l’efficacia delle descrizioni, l’uso di espressioni e termini che non lasciano spazio all’immaginazione, ma che piuttosto forniscono un quadro nitido. Giusto così, trattandosi di una sorta di diario/racconto dal carcere (immagino). Mi aspetto una serie di flashback e continuerò a seguire la tua serie che mi colpisce e incuriosisce. Scrivi molto bene anche se, tienilo solamente come un suggerimento legato più che altro al mio gusto personale, per un tipo di narrazione come questa io avrei preferito periodi più brevi con un maggiore utilizzo del punto. Però questo, come ti dicevo, è gusto mio.