Il mio secondo lavoro

Tornare a casa dopo una lunga giornata di lavoro è sempre una soddisfazione, nonostante quella che chiami “casa” sia un piccolo appartamentino in periferia, senza nemmeno il balcone. Io e Maria ci siamo sempre trovati bene qui: avrei un aneddoto da raccontare per ogni angolo della casa. 

Quando avevamo entrambi venticinque anni ricordo che lo scegliemmo tra almeno altri dieci, ognuno aveva qualche problema ma questo pareva il luogo perfetto per stabilirsi. Non lontano dal centro ma nemmeno così vicino da viverne i disagi; si poteva raggiungere l’aperta campagna con appena venti minuti di viaggio in auto e la vista era buona. 

All’inizio la rata del mutuo pareva anche bassa, non ci facevamo neppure caso, una spesa come un’altra da aggiungere alle molteplici di ogni mese. Un giorno tornai a casa al solito orario e trovai Maria seduta sul divano, le gambe accavallate e gli occhi che sorridevano. Ricordo la sensazione del cuore che correva come un treno lanciato a tutta velocità dopo essere uscito dalla stazione. 

“Avremo un nuovo inquilino, tra nove mesi” disse con un filo di voce.

Ci abbracciammo senza dire niente: non lo avevamo cercato con particolare convinzione, eppure era arrivato senza sforzi. Ero certo che sarebbe stata un’ottima madre, nonostante i troppi impegni dettati dal lavoro. Il tempo trascorse in fretta, qualcuno forse aveva raddoppiato la velocità perché pareva che le giornate durassero un battito di ciglia. 

La doccia fredda arrivò quando mancavano due mesi alla nascita, quel giorno percepii l’aria pesante ancora prima di fare il mio ingresso in casa. Maria era seduta sul divano, le mani lungo i fianchi e lo sguardo vacuo, gli occhi avevano perso la loro brillantezza. 

“Non avrò più il lavoro quando sarà nato Roberto.”

Ci abbracciammo senza dire niente: non era questa la speranza, chi era il mostro che lasciava una donna senza lavoro dopo un evento tanto lieto? Nel mio cuore percepivo solo la rabbia e la frustrazione per una situazione che era a dir poco assurda.

Il giorno successivo ricordo di aver passato in auto di fronte al luogo nel aveva lavorato Maria per cinque lunghi anni almeno mezz’ora. Il motore acceso consumava benzina ma io, in quel preciso momento, non ero interessato ai problemi del mondo. La mano aveva accarezzato la maniglia un paio di volte, poi era tornata a poggiarsi sulla gamba senza troppa convinzione. Lei forse mi aveva letto nel pensiero, fu proprio una sua chiamata al cellulare a distogliere la mia attenzione dai pensieri di vendetta. 

Nelle settimane successive tornai di tanto in tanto ad osservare le finestre che facevano trapelare la giallognola luce che illuminava le stanze. Ogni tanto un’ombra passava e io immaginavo di avere un fucile per farle saltare il cervello. Il solo pensiero permetteva alle mie labbra di assumere la forma di un sorriso sinistro. Quando il mio sguardo si incrociava nello specchietto retrovisore lo distoglievo di scatto. 

Intanto Roberto era nato, se ne stava con la sua testa nera di capelli a dormire nella culla, ogni tanto si lamentava reclamando il cibo e poi tornava a chiudere gli occhi. I suoi lineamenti morbidi e tondi accendevano in me una fiammella di speranza: desideravo che rimanesse per sempre innocente come in quel periodo. 

Le bollette e il mutuo iniziavano a pesare molto più di quanto avrei mai potuto pensare, il conto lievitava e lo stipendio rimaneva fermo al palo. Maria aveva cercato impieghi alternativi ma nessuno si era degnato anche solo di darle una possibilità per un periodo di prova. Aveva iniziato a dare ripetizioni ai bambini per portare a casa una piccola somma che potesse aiutarci.

Fu nel mese di marzo che ebbi l’idea di dare una svolta alla nostra vita, riportarla sui binari che avevamo pensato all’inizio della nostra avventura. Certo, implicava qualche rischio ma ero disposto a correrlo per regalarci un futuro migliore.

Tornato dal lavoro preparai la cena perché Maria era occupata in salone con matematica e un ragazzino delle medie. Roberto dormiva, la febbre lo aveva messo fuori combattimento e negli ultimi giorni eravamo stati costretti ad aumentare il dosaggio delle medicine. Mangiammo senza dire una parola, come ormai facevamo da mesi. Maria fissava il piatto e non osava alzare lo sguardo, io ogni tanto cercavo di iniziare una conversazione ma il tutto sfociava nel silenzio, ineluttabile come la morte.

Dopo aver lavato i piatti passai a dare un bacio a Roberto e salutai con un cenno la mia compagna, che sorrise e non disse niente, negli occhi albergava soltanto la rassegnazione. 

Fu solo quando chiusi la portiera dell’auto che controllai se nel caricatore ci fossero tutti i proiettili.

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Discussioni

  1. Qui estremizzato, il tuo racconto fa un passo avanti nel descrivere la parabola discendente innescata dalle difficoltà economiche. La moralità prende confini meno definiti, la sopravvivenza entra a fare parte del gioco.