Il mito
Serie: Vubvikette
- Episodio 1: Distinzione quadratica
- Episodio 2: Il mito
STAGIONE 1
Pronti? Partiamo.
Oggi tratteremo il primo dei nostri quattro tipi di racconto: il mito.
«Ma come mai cominciamo proprio da questo?» chiederete, giustamente. Vi darò una spiegazione solo dopo che avremo portato a termine il nostro compito, ovvero analizzare tutti e quattro i racconti. Prima di quel momento, affidatevi a me e lasciatemi illuminare la strada. Ora, avanti!
Ma cos’è un mito? Perché si chiama così? E cosa lo distingue dal resto? La prima risposta che darò è che il mito deriva da mythos, ovvero “discorso, parola, o favola”. Per evitare ambiguità, escludiamo il terzo termine.
Discorso, quindi. Ma su cosa e a che pro?
I primi miti solevano essere narrati oralmente per poter essere conservati all’interno dello scibile umano. Come parte della cultura e dell’essere umano. Così dicono gli studiosi. Converrete con me che si possa chiamare discorso qualsiasi atto di comunicazione verbale che abbia la finalità di condividere pensieri e cultura, no? Dal momento che veniva passato di generazione in generazione, il mito è diventato anche un discorso fra civiltà che non si sono mai conosciute, magari perché troppo distanti temporalmente. Ma rimane un mezzo per comunicare: questo lo rende un discorso. Eppure, il mito, come tutti i testi, ha dovuto subire il processo di stesura su vari supporti fisici, quali carta, papiro, corteccia ed altro. Ma non basta trascriverlo per eliminarne le origini. Un mito è breve perché dev’essere ricordato, presenta alcune figure retoriche e scelte stilistiche per agevolarne la memorizzazione; contiene valori non riducibili a poche parole. Tanti valori, magari troppi. Come mai sottolineo che la quantità dei valori sia eccessiva? Semplice: i contenuti sono troppi rispetto a quelli che possiamo notare leggendo distrattamente questi testi. I miti di una civiltà ne rappresentano i valori sociali, economici, domestici.
E come facciamo a capire che questi valori appartenessero a quelle società? Ci basta semplicemente tirare fuori un autorevole libro di storia, che magari approfondisca bene gli argomenti, per ritrovare nelle società i medesimi valori che troviamo in alcuni miti. E se poi ci affidiamo alla storiografia e alla filologia, diventiamo sicuri che quei testi che leggiamo oggi furono scritti in una lingua che apparteneva a una società sprofondata nel tempo. La lingua originaria del mito ci porta a una comunità, e questa viene studiata dalla storia. Poi, il confronto fra versioni differenti del mito ci permette di discernere le differenze culturali principali che, presumibilmente, intercorrevano fra società simili. E da dove sorgevano le differenze? Soprattutto dal sistema economico: la ricchezza e lo stile di vita medio determinano quale mito verrà prodotto da una società. Grosso modo, quest’ultimo meccanismo funziona ancora al giorno d’oggi.
Per preservare nella storia parte di sé, gli antenati scrissero testi da cui ancora trafilano i loro valori. Con la trasposizione del mito su sopporto, essi riuscirono anche a condensare nei simboli i loro valori. Così facendo, hanno immortalato una parte di sé e della loro storia.
Il metodo che gli antenati hanno trovato più adatto per preservare i loro costumi e le loro credenze è stato trasformarli in simboli. Ora vedremo un paio di esempi, giusto per chiarire ciò che dico.
Prendiamo due civiltà differenti e che produssero entrambe una propria mitologia: i popoli scandinavi e i greci. Ho selezionato queste due popolazioni per comodità, ma sono piuttosto sicuro che non vi sarebbero state differenze maggiori se avessi preso due civiltà dell’Oriente.
Cosa accomuna scandinavi e greci? La loro weltanschauung: la loro visione del mondo, della logica che regoli il mondo, della posizione dell’uomo all’interno del cosmo e della natura nella vita dell’uomo.
Per i vichinghi c’è la terraferma e attorno a questa soltanto acqua, sterminate distese di acqua. I greci concepiscono il mondo come prima una massa caotica, Kaos, dalla quale sorsero le prime divinità, fra le quali Gea, che rappresentava la Terra stessa. Quest’ultima riuscì a partorire un figlio, che chiamò Urano, senza aiuto da parte di alcuno. Urano vuol dire cielo: la Terra generò il cielo.
Per i vichinghi, similmente ai greci, tutto si formò dal vuoto, e furono create dapprima due parti, una landa estremamente calda, e una assolutamente fredda. Queste due si fusero per dare origine a un gigante, il quale a sua volta diede vita ad altre creature.
Come mai questo confronto? Per potermi aggrappare al prossimo punto: le condizioni storiche. Entrambe le società si formarono con difficoltà. Direi che le popolazioni scandinave dovettero fare i confronti o con temperature rigide e mancanza di ricchezze. I greci si ritrovarono immersi in una natura rigogliosa, e dovettero fare i conti con le temperature aride caratteristiche dei Balcani. Per i greci la stessa Terra che li aveva generati era altrettanto capace di sterminarli tutti, in base a meccanismi che non capivano. Tutto ciò che fecero i greci fu osservare la fenomenologia della natura, e trarne delle conclusioni che meglio si declinavano alla loro situazione. Per gli elleni tutto circolava attorno alla figura dell’uomo, spesso rappresentato o come guerriero virile, giovane e prestante, o come anziano dotato di acume ed esperienza di vita. In piccole città erano fondamentali i giovani capaci di difendere l’identità della città da aggressori esterni, ma erano altrettanto importanti gli anziani. Questi erano depositari di una forma di conoscenza che si raccoglie solo con l’esperienza: lo stato. O almeno finché non si diffusero i primi pamphlet sulla gestione degli stati ( cosa che richiese circa un millennio). Quindi gli uomini rappresentavano la forza e la tenacia, ma anche la saggezza e la lungimiranza. In particolar modo, i nobili incarnavano tali valori (timè greca) e, secondo la concezione comune greca, dovevano anche essere belli esteriormente. Così era pure per le divinità maschili greche: da Zeus fino ad Apollo, tutti erano descritti parimenti attraenti, anche se il dio degli dei era più noto per il suo comportamento assennato, la sua remissività di fronte a ciò che è più grande e forte. Invece, Delio era noto più per la sua intemperanza, la sua curiosità sessuale e la sua forza giovanile. Sia chiaro, anche Zeus nella sua età èiù avanzata talvolta fa mostra di comportamenti simili a quelli di Apollo, specialmente sotto l’aspetto sessuale, ma ciò che ci viene detto è che le co Dovrebbe avere un senso, no? Zeus era l’uomo adulto che aveva combattuto contro la figura tirannica figura paterna per poter stabilire una forma di governo speculare a quella degli elleni.
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