IL NASCONDIGLIO DELLE LACRIME

Artemio sparò.

Il rimbombo fece tremare i vetri della finestra. Il Direttore scivolò su un fianco, lentamente, fino a cadere per terra. Una macchia rossa si andava allargando sulla camicia bianca.

Artemio lo guardò, senza nessuna pietà. Ho colpito bene, pensò, dritto al cuore, questa volta il ‘fallito’ ha fatto centro.

C’era ancora una pallottola nella vecchia Beretta 92 e tra poco avrebbe usato pure quella, per dire addio alla vita.

L’arma del defunto padre, dopo anni di esilio in una scatola, dentro lo scaffale più alto dell’armadio, alla fine era tornata utile. Con quella Artemio aveva riscattato vent’anni di sofferenze, di umiliazioni, di soprusi da parte di quell’individuo che adesso stava riverso a terra, nel suo elegante e luminoso ufficio all’ultimo piano. Una vita all’ombra di quello spregevole arrivista, pieno di sé e con nessun rispetto per gli altri.

Fin dai tempi della scuola, dove aveva rubato gran parte dei meriti ottenuti; e poi sul lavoro, sempre a caccia di promozioni, fino ad arrivare, dopo mille sotterfugi, alla Direzione. Eppure quel posto sarebbe toccato a lui, ad Artemio, per tutta la dedizione profusa verso l’azienda, oltre che per le capacità.

Ma l’ultimo affronto era, sicuramente, il più grave e inaccettabile. Segnali, sempre più insistenti, lo portavano a credere che il farabutto gli stesse addirittura portando via la moglie. Egli aveva fama di dongiovanni accanito, e probabilmente cercava di fargli l’ennesimo sgambetto. Ma sarebbe stato quello fatale, per lui. A tutto esiste un limite, si era detto Artemio, in uno slancio di vivo orgoglio.

Tutti questi pensieri volarono in qualche secondo, tra un po’ sarebbe sicuramente arrivata gente, sfondando la porta che aveva appena chiuso a chiave.

Si voltò, come segno di ultimo disprezzo nei confronti del maledetto Direttore, si puntò la pistola alla tempia, senza pensare più a niente. Nell’attimo in cui stava premendo il grilletto sentì un rantolo, un sommesso gemito venire da dietro, fece l’atto di girarsi ma ormai il colpo era partito. Sentì un grande caldo sopra la tempia. Poi silenzio. Buio.

Bip – bip – bip… Un tenue rumore, ovattato e lontano.

Poi silenzio e buio.

Bip – bip – bip… Ancora quel rumore, questa volta più vicino, più distinto, costante e regolare come un ticchettio di orologio.

Finito il silenzio, permaneva il buio.

Artemio cercò di aprire gli occhi, ma non ci riusciva. La testa ronzava come un alveare pieno di api. Cosa succede, pensò, dove sono, è questa la morte? Provò ancora a dischiudere gli occhi, a muovere una mano. Niente. Si era ridotto ad una statua pensante. Per la verità, nemmeno sapeva cosa pensare. Lo sforzo lo fece ricadere nell’incoscienza, per qualche ora.

Ancora il bip, ma assieme a dell’altro: voci confuse, strozzate come se uscissero da un imbuto. Ma cosa mi succede, si agitò Artemio, sono vivo o sono morto? Fece un grande sforzo per provare a parlare, ma la bocca sembrava piena di colla. Sono morto dentro ad un sogno, cercò infine di convincersi.

Di nuovo le voci, ora sembravano molto vicine, quasi comprensibili. Le parole saltellavano nella testa di Artemio come palline in un flipper.

Una voce sembrava di ragazza, abbastanza giovane; stava spiegando qualcosa ad un uomo dalla voce bassa, quasi baritonale. Parlavano di lui, questa pareva la spiegazione più logica, ma non poteva esserne sicuro.

“I parametri sono stabili da diversi giorni” stava dicendo la ragazza “lo teniamo in sedazione profonda per altre quarantotto ore, poi proveremo a svegliarlo.”

“In queste quattro settimane come ha reagito il cervello?” chiese l’uomo.

“Bene, professore, l’ematoma si è assorbito in fretta. Dopo la prima settimana abbiamo potuto togliere il tubo dell’ossigeno. Il proiettile ha strisciato sulla calotta cranica, non ha provocato danni permanenti. Così sembra, almeno. Forse perderà un po’ di memoria, ancora non lo sappiamo.”

“Ho capito, dottoressa, tutto chiaro.”

Artemio ebbe un fremito interiore. Sono in ospedale! Non sono morto! Ma cosa diavolo è successo?

“Da quando è ricoverato la moglie si è mai vista?”

“No” rispose la dottoressa “da quanto ci è stato detto ha subito avviato la pratica di divorzio per giusta causa. Invece viene spesso a trovare l’altro paziente.”

Artemio respirava a fatica, ma i due medici non se ne accorsero. Quale altro paziente? Ma di cosa stanno parlando?

“Il Commissario si è fatto vivo?” chiese ancora il professore.

“No, devo soltanto avvisarlo quando il signor Artemio riprenderà conoscenza, perché dovrà subito mandare un agente a fare da piantone.”

“Certamente” ammise l’altro “con un accusato di tentato omicidio non si può mica scherzare!”

La nebbia che già invadeva la testa di Artemio si fece ancora più fitta. Tentato omicidio? Ma cosa stanno dicendo, io ho mirato al cuore, l’ho visto cadere con il petto pieno di sangue! Ho sbagliato su di me, ma non su di lui! Si sentiva esausto, finito.

“A proposito” continuò il professore “come sta il Direttore?”

La dottoressa indicò la stanza vicina. “Sta reagendo bene alle cure, ha un organismo molto forte. D’altronde è stato anche fortunato: il proiettile ha mancato per pochi millimetri il cuore, ha bucato un polmone, ed è uscito dalla schiena.”

Si guardò un attimo intorno. “Diciamo che molto ha contribuito il rapido soccorso della nostra unità mobile; hanno fermato tempestivamente entrambe le emorragie.”

“Bene” concluse il professore “mi tenga aggiornato sugli sviluppi.”

Si fermò un attimo davanti alla porta, guardando la giovane dottoressa. “Credo sia inutile dirle che, appena ridestato, il paziente dovrà essere portato a conoscenza di quanto accaduto con estrema prudenza, e con l’aiuto di uno psicologo.”

“Certamente, professore.”

Nella stanza ritornò il silenzio. Poi il solito bip – bip – bip…

Artemio avrebbe voluto mettersi a piangere, ma non credeva di sapere dove si nascondessero le sue lacrime.

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Discussioni

  1. Mi ha molto colpita questo tuo racconto che ha dentro una profonda tristezza. Bullismo, mobbing, umiliazioni, portano spesso le persone all’estrema esasperazione. Scrivi molto bene e trovo che i dialoghi siano veramente efficaci. Grazie per questo racconto che aiuta a pensare e riflettere.

    1. grazie per il commento.. io vedo però in Artemio anche un inetto, quasi pirandelliano.. in vent’anni non si è mai riscattato..
      p.s.: sto leggendo alcuni tuoi racconti. complimenti.

    2. Per chi ci cade dentro, a volte è più facile scusare che ribellarsi. Quasi come se la colpa fosse sempre di chi subisce e non del branco. Non è sempre facile imparare a sbranare a nostra volta.

  2. Racconto amaro, triste. Di quelli che piacciono a me. Non si può non empatizzare con Artemio, malgrado le sue scelte deprecabili.