Il Natale di Fischione

C’era una volta un falegname alcolizzato di nome Giuseppe, per gli amici Beppino o Troncapettini, a causa di una dilagante alopecia, il quale lavorava a gettone per una società subappaltatrice di una multinazionale scandinava nota per la vendita di mobili da cucina.

Viveva in un monolocale a Trespolo, recondita frazione della provincia della città dalla torre storta, insieme alla sua fidanzata Maria, detta Mery o Ingoio in ragione di note propensioni manifestate durante le fasi dell’amplesso, sulla carta del registro delle imprese estetista, ma svolgente, in realtà, altra attività professionale non dichiarabile afferente al settore delle pubbliche relazioni.

Mery era tuttavia rimasta pregna, e, per questo, non poteva ricevere clientela in quel periodo, con inevitabile calo del fatturato.

Peraltro la stordita non era neppure in grado di stabilire se quel figlio fosse di Beppino o derivasse da un incidente professionale, costituito da una copula confusa terminata con la rottura della guaina protettiva.

A Novembre Beppino e Mery, a causa del mancato apporto economico della versatile Ingoio, vennero sfrattati senza troppi complimenti a causa del mancato pagamento di alcuni canoni; a nulla valsero i tentativi della intrepida Ingoio di offrire al proprietario la propria professionalità a titolo compensatorio.

Beppino e Mery cercarono una nuova sistemazione, senza trovarla.

Mery avrebbe dovuto sgravare verso la fine di Dicembre.

Trovarono posto, in città, in un dormitorio gestito dalla opera pia locale.

Don Miserabile Botta, responsabile di zona, aiutò Beppino a trovare un lavoro stabile in una cooperativa e riuscì ad intercedere per un bilocale a prezzo ragionevole nella zona della fabbrica dei fiammiferi, a partire dal Gennaio successivo; fino ad allora, o comunque fino a quando il prodotto della copula immonda non fosse nato, Troncapettini ed Ingoio avrebbero usufruito del dormitorio.

La notizia sollevò gli animi appesantiti di Beppino e Mery.

Beppino, empio di commossa gratitudine e gioia, la sera stessa dell’annunciazione collassò ubriaco nel letto del dormitorio, gottando, madido di sudore, nel cuscino per liberarsi dal velenoso bolo costituito dal vino in cartone e pollo freddo stantio arraffato negli scarti concessi al dormitorio dal supermercato di zona.

Mery si avviava a concludere la gravidanza.

La sera prima di Natale iniziarono le contrazioni.

“Ohimmena moio!” urlava Mery senza ritegno, rantolando freneticamente come un gommino nella polverosa brandina del dormitorio. “Dove è quel peoro di Beppino?!” aveva infine gracchiato la dolce primipara un attimo prima di svenire per il lancinante dolore.

L’inconsapevole Beppino si trovava al bar sottostante insieme ad una brancata di vecchie cloache irrancidite, indugiando tra un liquore riscaldato ed una partita a briscola, giustificando la propria assenza nel momento del travaglio di Mery con un laconico “Non so nemmeno se è mio!”, seguito da un occhieggiante  “A quella cagnetta piace la nerchia” esclamato con risata fastidiosamente scomposta.

“Lo fa per la famiglia” aveva protestato con voce affaticata una vecchia comare dall’occhio sclerotico e lacrimoso tipico della decadenza cerebrale presente nel bar ed ospite a propria volta del dormitorio.

“Te chetati travaso” era stata la risposta unanime del crocchio degli anziani.

Verso la mezzanotte, improvvisamente, un urlo bestiale ed agghiacciante aprì una crepa spaziotemporale.

Era la voce di Mery.

Beppino istintivamente si alzò di scatto dalla sedia e corse verso il dormitorio.

Tre dei vecchi avventori lo seguirono; i loro nomi erano Gaspare Zuzzurro e Pistarino, e con loro avevano paccottiglia laccata, sigarette accese e birra.

Quando Beppino arrivò nel dormitorio trovò Mery a cianche larghe, priva di sensi e madida di sudore, e, accanto a lei, una suora che teneva in mano un fagotto avvolto in un asciugamano da bagno.

Il bambino strillava e si dimenava rabbioso come un piccolo leone della Tasmania, forse in segno di protesta per essere uscito in mezzo a quella sarabanda di dementi o forse per una deformazione genetica di tipo neuropsichiatrico già evidente.

La sorella, visto che Mery era collassata, domandò a Beppino quale fosse il nome del bambino.

Beppino osservò i tre vecchi, ed infine, con sorriso reso improvvisamente dolce da quella magica serenità che solo la notte di Natale può infondere nei cuori, espresse, mentre il bimbo continuava a contorcersi emettendo rabbiosi suoni gutturali, il nome a suo parere più congruo alle circostanze, ovvero Fischione.

Ed anche oggi che è grande e condizionato dalla neuropsichiatrica lesione, per la gente del rione lui è sempre il bimbo Fischione.

Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Ha un carattere goliardico, direi, e come tale è dissacrante e innocentemente blasfemo. L’io narrante- in posizione ironica rispetto a ciò di cui narra- stabilisce la giusta distanza fra la satira piuttosto acre del tuo testo e un fondo di bonomia sorridente. Ma ben venga, quando è ben fatto.