Il piccolo inventore di Asprapetra

Serie: Il figlio delle fate


Nella piccola cittadina di Asprapetra, due fratelli, Martino e Arturo, si trovano improvvisamente ad affrontare la misteriosa scomparsa della loro mamma. Determinati a ritrovarla, i fratelli intraprendono un incredibile viaggio attraverso l'immaginario regno di Caturanga.

Il sole faceva risplendere il candore delle lastre rocciose che ricoprivano le stradine di Asprapetra, un biancore che veniva offuscato a tratti solo dall’ombra che si stagliava dalle gambette in corsa dei piccoli asprapetrani. I bambini si affrettavano per assistere all’ennesima dimostrazione d’ingegno del loro amico Martino.

Martino, nonostante avesse solo otto anni, era già famoso nella piccola cittadina per le sue invenzioni fantasiose. Infatti era solito vantarsi che un giorno sarebbe diventato il più grande inventore che il regno di Caturanga avesse mai conosciuto.

Sotto la sagoma di un antico olmo, Martino aveva allestito un tavolo di legno di ulivo sulla piazzetta principale, creando un piccolo angolo di meraviglie. Un vecchio straccio ingiallito celava un oggetto misterioso, attirando l’attenzione dei bambini curiosi.

«Martino, cosa ci mostri oggi?», chiese Viola, una bambina minuta dalle lunghe trecce castane.

Martino fece un sorriso compiaciuto con i suoi denti da coniglio e scoprì velocemente il suo artefatto. Agli occhi meravigliati dei piccoli spettatori comparve un galletto finemente costruito con piccole lastre di metallo rivestite di petali gialli di dente di leone, con foglie di acero rosso che fungevano da cresta e bargigli e cinque nastri di lino blu cobalto al posto della coda.

«Ma è meraviglioso!», esclamarono i bambini quasi all’unisono.

«Non è semplicemente meraviglioso», spiegò Martino con la sua aria saccente, «è un automa».

I suoi amici si guardarono un po’ sconcertati.

«Un auto… che?» chiese il paffuto Carletto.

«Un automa» spiegò Martino come se fosse la cosa più elementare del mondo, «una macchina capace di muoversi come un animale vero. Nella grande città di Nuova Flumenargia ne hanno costruiti tanti. Alcuni sembrano addirittura delle persone».

Sotto gli sguardi ancora più esterrefatti dei suoi compagni, Martino proseguì: «Mi basterà premere questa levetta tra le ali e il galletto comincerà a camminare da solo».

Ci fu una pausa silenziosa interrotta da un rumore secco, breve e metallico. In quell’attimo tutti si aspettavano che succedesse qualcosa di mirabolante e che il galletto si animasse. Invece l’automa non si spostò di un millimetro.

Martino cominciò a far oscillare la levetta freneticamente, con il viso che diveniva sempre più paonazzo, ma il pupazzo non sembrava recepire il comando.

«Noooo! Ma come è possibile? Eppure ho seguito le istruzioni del manuale del grande alchimista inventore Dedalo.»

Martino restò a fissare il suo automa, in attesa che qualcosa si muovesse. Ma il finto galletto restò immobile.

«Questo aggeggio è inutile, voglio distruggerlo!»

Detto questo, Martino afferrò l’oggetto e lo sollevò con l’intento di scaraventarlo a terra.

«No, fermo!» lo pregarono gli altri bambini.

«Sei sempre il solito permaloso», aggiunse la sua amica Angelina, «ogni volta che le cose non riescono come vorresti, ti infuri. Però ci hai lavorato tanto su questo… non ricordo come si chiama. È bellissimo, non dovresti buttarlo via, e tu sei stato bravissimo».

«No, è brutto, non lo voglio più vedere. E non è vero che sono bravissimo, altrimenti la mia invenzione avrebbe funzionato alla perfezione», piagnucolò Martino, sedendosi ai piedi dell’olmo con l’aria imbronciata mentre l’automa gli scivolava dalle mani per riversarsi a terra con un rumore metallico. Angelina tentò di consolare il suo amico asciugandogli le lacrime con un lembo del suo grembiulino rattoppato; nel frattempo, tutti gli altri bimbi erano in piedi intorno al galletto e lo tastavano ritraendo poi istantaneamente il dito per paura che quel finto animale si risvegliasse per punzecchiarli con il suo becco grigio.

In quel momento, voci distanti e agitate attirarono l’attenzione di tutti. Arrivò una donna bassa e grassoccia, con i capelli neri raccolti e un’espressione sconsolata.

«Martino, presto, torna a casa. È successa una cosa» disse ansimando la donna.

Martino, improvvisamente divenuto pallido e tremante, chiese cosa fosse accaduto, ma la signora si limitò a ordinargli di seguirla e tornò sui suoi passi. Il ragazzino, scortato dai suoi amici, percorse un labirinto di strette stradine acciottolate, costellate da casette bianche con archi, scalinate e balconi fioriti. Giunse poi nei pressi della sua abitazione.

La casa di Martino aveva tre usci: quello più piccolo era grigio, si trovava proprio al centro della facciata e conduceva allo stanzone in cui la famiglia del bambino dimorava. Poi ce n’era uno verde a destra che portava alla bottega in cui Magistro Michele, il padre di Martino, svolgeva il suo mestiere di liutaio. Quello a sinistra, viola, costituiva invece l’ingresso del laboratorio in cui la madre, Magistra Amelia, effettuava esperimenti alchemici. Le strade che circondavano l’abitazione, una volta animate dalle conversazioni gioiose e dal tintinnio dei bicchieri, erano ora percorse da una folla di volti preoccupati e ansiosi. Le persone si erano riunite in piccoli gruppi, discutendo con fervore e scambiandosi notizie e congetture. Nessuno di loro però si preoccupò di fornire spiegazioni alla comitiva dei piccoli asprapetrani. Si sentiva a volte qualcuno che diceva: «È sparita, non si trova più da nessuna parte», ma non si riusciva a capire di chi o di che cosa si stesse parlando.»

Dall’unica finestrella vicino alla porta grigia fece capolino un viso pallido adombrato da una frangia nera che copriva quasi interamente gli occhi.

«Guarda, Martino» disse Luigi, un altro dei bambini presenti, indicando la figura che si intravedeva oltre la tendina bianca, «è tuo fratello Arturo. Ma lui non esce di casa neanche quando ci sono delle belle giornate di sole come oggi?»

Martino, ancora frastornato per tutta la strana situazione di cui ancora nessuno aveva voluto fornirgli spiegazioni, rispose senza troppa enfasi: «No, lui non ama uscire, è troppo impegnato nei suoi lavori. Adesso sta progettando la sua città ideale. Costruisce sogni, come dice sempre papà».

«Sì, certo» sussurrò agli altri, sghignazzando, Carletto, «la verità è che Arturo non è mai stato tanto norm…».

All’improvviso fu interrotto da una gomitata di Angelina.

«Cosa dici?» chiese voltandosi Martino.

«No, niente.»

Si avvicinò lentamente un uomo alto, dai capelli castani e gli occhialini poggiati sul naso importante, l’aria affranta.

«Papà, che cosa è successo?» gli chiese Martino sempre più in apprensione.

«Non preoccuparti piccolo, vedrai che entro stasera tua madre sarà tornata a casa.»

«Ma perché? Dov’è andata la mamma?»

Magistro Michele avrebbe voluto aggiungere ancora qualcosa, ma le parole gli morirono in bocca. Abbassando lo sguardo riuscì solo a rispondere: «Non lo so». Dopodiché si allontanò.

Martino si voltò a guardare suo fratello, ancora alla finestra. Il ragazzino, che sembrava freddo e distaccato, rimase per un po’ in piedi a osservare ciò che accadeva all’esterno. Poi, lentamente, si ritrasse fino a eclissarsi.

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Discussioni

  1. Non so perché, ma nella lista dei tuoi librick questo episodio non compare. Poco male, sono riuscita a recuperarlo e ne sono felicissima. Mi ha dato modo di conoscere qualcosa di più su Martino e sulle differenze caratteriali dei due fratelli.

    1. Questo è il primo episodio che ho pubblicato e per sbaglio era stato inserito come racconto singolo anziché come parte di una serie. In seguito ho provato a risistemare l’ordine degli episodi, ma non so perché questo volte compare come una sorta di episodio 0.

  2. “Grazie, è un po’ naïf, ma artisticamente non so fare di meglio. 😅”
    È quello che la rende bella, come se l’avesse disegnata la mano di uno dei due protagonisti. Non vorrei essere frainteso, io non saprei certo fare di meglio😂

  3. Ciao A. F. e benvenuto su Open con un inizio serie, a mio parere, interessante e soprattutto scritto bene, che è sempre un valore aggiunto. Mi piace l’ambientazione favolostica, un po’ stile Tolkien e che in fin dei conti assomiglia molto alle nostre zone rurali con la loro brulicante umanità. L’ingegnoso Martino sembra sapere il fatto suo e mi sembra di aver intravisto anche una bimba ‘sgamatissima’ che forse potrebbe avere un ruolo nell’avventura. Bravo

  4. Ciao A F, grazie per avere condiviso questo racconto davvero ben scritto. Mi piace molto la scia che si porta dietro, come un pifferaio magico bambino che trascina a sé gli adulti che lo leggono.

  5. Originale e ben scritto questo racconto. Spero abbia un seguito. Il contesto Fantasy è solido, mi ha permesso di comprendere fin dalle prime righe che si tratta di un mondo tutto da scoprire. C’è poi il mistero che riguarda la scomparsa di una donna e la vita di un ragazzino ritenuto poco “normale” dai suoi coetanei. Ruoli dei personaggi chiave anch’essi ben costruiti.