Il platano bianco

Serie: Il platano bianco


Un segreto, custodito da una folta chioma bianca.

Erano passate molte ore da quando Cristiano aveva inviato l’ultimo messaggio ad Elisa, nel quale sottolineava quanto l’amasse e quanta voglia avesse di riabbracciarla. Da allora, il suo cellulare e quello di suo fratello erano rimasti senza segnale; per di più, le batterie erano quasi scariche, e se avessero continuato a tentare di far pervenire un minimo di segnale, nel giro di qualche minuto si sarebbero esaurite del tutto, stroncando le uniche opportunità che avessero per comunicare con qualcuno. Il bosco, intanto, sembrava sempre più fitto e lo sguardo, in qualsiasi direzione si girasse, finiva per perdersi tra la folta vegetazione che avvolgeva anche gran parte dei tronchi, i quali, immobili e impotenti, si lasciavano sopraffare dalle edere che ne avevano ricoperto in modo ordinato le superfici. A Cristiano quella zona dava l’impressione di essere un’area fino ad allora inesplorata, o, per essere fiducioso verso il proprio animo, un’area frequentata di rado. Fastidiose erbacce intralciavano i loro passi e capitava spesso che il tessuto dei pantaloni restava impigliato tra le spine, costringendoli a rallentare ulteriormente. Ma era una rogna che solo Mattia doveva affrontare, a causa dei suoi pantaloni di bassa qualità, acquistati per meno di una decina d’euro al mercato del paese. In generale, il suo abbigliamento da caccia non era altro che un mediocre insieme di vecchi indumenti che ormai avevano raggiunto il capolinea. L’unica eccezione era costituita da un funzionale gilet imbottito in pile, con una tasca sul petto e una sul fianco destro. Ne aveva anche un’altra all’interno, ma non la scoprì finché non gliela fece notare il fratello. Difatti era un suo regalo, con l’intento di fargli accantonare quel suo vecchio e logoro gilet, testimone di anni e anni di battute di caccia.

Nelle borracce erano rimaste poche gocce d’acqua, da cui avrebbero attinto soltanto quando la bocca sarebbe diventata talmente asciutta da far desiderare dal profondo dell’anima il gusto dell’acqua. Era “razionamento” la parola utilizzata da Cristiano non appena le cose presero ad andare nel verso sbagliato, quando, passo dopo passo, il paesaggio che gli si presentava davanti non aveva alcunché di familiare. Ed era “dobbiamo razionare il più possibile” la frase che usava nei momenti in cui vedeva Mattia mettere mano allo zaino in cerca della sua borraccia. Cercava con tutte le sue forze di mantenere la calma e soprattutto di farla mantenere a suo fratello, che era stato sempre il più emotivo dei due. Di certo non gli avrebbe permesso di buttarsi giù e di abbandonare lì ogni speranza, in quella landa di felci e ortiche. Fino ad allora c’era riuscito, ma il tempo scorreva in fretta, portando con sé i raggi di un sole che per tutto il pomeriggio aveva illuminato i loro volti, penetrando in modo notevole tra i rami delle querce. Proprio su questo Mattia si era interrogato più volte, domandandosi come riuscisse il sole a trovare sempre un’apertura da cui penetrare. E adesso che le ultime sfere di sole svanivano ad una ad una verso il tramonto, per poi ricominciare il ciclo il giorno successivo, quasi si sentiva escluso.

L’idea di inoltrarsi in un sentiero diverso era stata proprio di Mattia. Convincere il fratello non risultò poi così difficile, poiché le ultime battute effettuate seguendo i soliti percorsi erano state alquanto infelici. E nonostante entrambi si dichiarassero orgogliosamente veterani dei boschi, smarrirono miseramente la via del ritorno.

I fucili, pendenti dalle loro spalle, iniziarono a pesare e i loro corpi sudati e stanchi avevano bisogno di un po’ di riposo.

― Dovremmo fermarci. ― disse Mattia in tono affranto.

― Ancora un altro po’, e quando andrà via il sole ci accamperemo per la notte. ― fu la pronta risposta di Cristiano.

Anche in una situazione del genere era in grado di mantenere una certa calma e involontariamente infondeva al fratello un profondo senso di tranquillitĂ . Era uno dei suoi tanti punti forti.

― Dobbiamo fermarci un attimo. Non ce la faccio piĂą. ― insistette, con una mano giĂ  pronta sulla lampo, mentre con gli occhi cercava lo sguardo del fratello, quasi a chiedergli il permesso. Cristiano alzò per un secondo le sopracciglia e poggiò una spalla sul fusto di una maestosa quercia. La sua attenzione venne rubata da un canto aspro e stridente di un uccello, cosicchĂ© incominciò a lanciare occhiate all’insĂą, in cerca della fonte da cui provenisse un suono che, seppur molto acuto, risultò curiosamente gradevole al suo udito. Dopo vari sfortunati tentativi, alla fine adocchiò il pennuto che stava cercando: una magnifica ghiandaia dal petto grigiastro se ne stava tranquilla sull’orlo di un ramo, intonando una melodia singolare e piacevole. Con un po’ di fatica riuscì a scorgere perfino due sottili strisce nere che partivano dai lati del beccò, anch’esso nero. D’un tratto, come se richiamata da sua madre, spiccò il volo, rivelando l’azzurro delle sue piume copritrici che rendono questo tipo di uccello inconfondibile durante la volata. Poi si ricongiunse con un abbondante stormo di suoi simili e insieme scomparvero tra le fitte chiome degli alberi. Cristiano lo seguì con lo sguardo e lo abbassò soltanto quando sparì anche l’ultima piuma di una ghiandaia rimasta piĂą indietro, dimenticata dal gruppo, notando la testa di Mattia che spuntava in lontananza tra il fogliame.

― Non vedo l’ora di tornare da Elisa. ― disse Cristiano, confidandosi con se stesso.

― A proposito di El… ― Mattia, che in qualche modo aveva udito le parole del fratello, iniziò a parlare, ma prima di finire la frase si interruppe di colpo. ― Guarda! Vieni a vedere! Corri! ¬― riprese elettrizzato, costringendo Cristiano a raggiungerlo di corsa, facendosi strada con le mani tra i cespugli. Quando furono uno accanto all’altro i loro occhi si illuminarono di stupore: sul fianco di una collina che si ergeva a poche centinaia di metri dalla loro posizione, sorgevano una sfilza di case che coprivano gran parte della fiancata del colle. Lo scalarono con gli occhi, e quando arrivarono in cima per un istante trattennero il fiato. Nel giro di qualche secondo, si chiesero più volte se stessero vedendo la stessa cosa, come se nessuno dei due credesse alla veduta che i propri occhi gli stessero offrendo. Sulla punta dell’altura si innalzava un maestoso albero, prorompente tanto da far apparire minuscolo tutto ciò che lo circondava. Nonostante la sua immensa grandezza non era affatto sproporzionato rispetto alla collina, anzi sembrava un tutt’uno con essa. Persino le case sottostanti persero la loro importanza. Non avevano mai visto un albero di quelle dimensioni e nemmeno credevano potessero esisterne esemplari di quelle dimensioni.

― E quello cos’è? ― borbottò Mattia, quasi impaurito dall’imponenza di un albero così grande. Cristiano non azzardò neppure a cercare una risposta da dargli, sapendo di non essere in grado di trovarne una. In quel momento, per loro non esisteva alcuna risposta.

Quello che li aveva colpiti maggiormente, oltre la sua enormità, fu il suo colore: la folta chioma, compreso il fusto, erano di un bianco candido e cristallino, che lo rendeva unico nel panorama. Nella sua testa Cristiano la paragonò a un’enorme sfera, associandola inconsciamente ad un gigantesco Sole bianco. Seppur fosse dotato di una smodata immaginazione, non si era mai allontanato a tal punto da farne scaturire una cosa come quella che aveva catturato i loro sguardi.

Nel frattempo il sole era tramontato quasi del tutto, proiettando ombre che trasformavano il tutto in un paesaggio suggestivo dai toni sinistri e misteriosi. Dopo aver distolto l’attenzione da un’attrazione tanto irreale quanto pittoresca, si concentrarono sul da farsi, con particolare interesse a quello che sembrava essere a tutti gli effetti un innocente borghetto.

― Ci sarà qualcuno? ― domandò Mattia.

― Andiamo a scoprirlo. ― rispose il fratello, incamminandosi verso una meta che, fino ad allora, aveva rappresentato la speranza più concreta a cui aggrapparsi. Poi afferrò la sua borraccia e fece l’ultimo sorso d’acqua, venendo imitato seduta stante dal fratello.

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