Il portone socchiuso
Serie: A piedi controcorrente -Cronache semiserie di un fuggitivo pandemico-
- Episodio 1: Il primo passo è il più scemo
- Episodio 2: Animali in gabbia e pellegrini smarriti
- Episodio 3: Il cielo dietro gli abeti
- Episodio 4: Il portone socchiuso
- Episodio 5: Venti Centimetri di Cielo
STAGIONE 1
Mi ricordo solo di aver guardato l’ora e cazzo! Mi ero addormentato per un’ora di fila! Provo ad alzarmi dalla panchina, ma le gambe sono come bloccate: i quarantasei chilometri si erano fatti sentire alla fine. Riesco a tirare su solo il busto e la testa, mi guardo intorno e la luce era più spenta di prima che partissi per il mondo dei sogni. Alzo lo sguardo verso il cielo e, come in un dipinto in movimento, si aggiungono delle nuvole scure. Subito dopo, un lampo e una goccia d’acqua cade sulla mia faccia! Sembrava quasi una punizione per essermi fermato a due chilometri dall’arrivo. “Lo sapevo!”
In qualche modo riesco ad alzarmi e a prendere le mie cose al volo. Meno male che non avevo tirato fuori niente dallo zaino, altrimenti sarebbe stato un casino: avrebbero sentito arrivare qualche richiamo sacro prima ancora del mio arrivo. Non sarebbe stato un modo carino di presentarsi in un monastero.
Se qualcuno mi avesse visto fare i miei primi due passi, penso mi avrebbe scambiato per un robot. Avevo le gambe completamente murate. Dopo un po’ di passi, i muscoli hanno iniziato a scaldarsi e il dolore si faceva sentire sempre meno.
Dopo un chilometro, mi sono trovato a un incrocio. C’erano due cartelli: uno indicava verso un paese e l’altro verso il monastero. Anche senza il cartello non ci si sarebbe potuti sbagliare. C’erano due colonne ai lati della strada, alte due metri e passa, con due croci di ferro. Le colonne erano unite da una trave di legno con una pietra incisa in latino e la statuetta di una Madonna con in braccio Gesù bambino. Piu chiaro di cosi.
Da li in poi sarebbe mancato solo un chilometro. La strada ora era piu stretta e c’erano sempre gli abeti che la costeggiavano, ma stranamente niente croci.
Arrivato al portone – un bel portone – non sapevo se ci sarebbe stato un citofono o un campanaccio vecchio stile, magari. Invece niente: era il giorno delle pulizie e qualche addetto aveva lasciato il portone aperto. Non c’era nessuno però lì intorno, e sono entrato.
Appena dentro, dopo due passi dall’ingresso, si vedeva il chiostro interno. Uno spettacolo. Non sapevo che fare e ho aspettato che qualcuno passasse. Devo dire che il tempo che ho trascorso prima dell’arrivo di una suora e stato un momento di pura pace. Sara stato il chiostro, davvero?
Ci siamo presentati.
“Buonasera, sono Madre Teresa!”
Mi ricordo di aver pensato: “No? Davvero? L’originale ed unica?”
Mi sono accorto subito della cazzata ed ho ringraziato il cielo che non mi sia scappata dalla bocca.
“Piacere, Daniele.”
Mi ricordo la sua freddezza. Ovviamente entrambi avevamo la mascherina, quindi di lei ho potuto notare, a parte la classica divisa, solo i suoi occhi. Freddi come il ghiaccio. Ma non per il colore, che era marrone scuro, ma per quello che emanavano. Subito dopo le presentazioni, si gira e, senza guardarmi, mi dice: “Mi segua!” Si, signora! Ho pensato.
Mentre mi portava verso la sistemazione di fortuna, mi sembrava che lei quella mascherina che portavamo entrambi la portasse meglio di me. E quando ogni tanto si girava per guardarmi, giuro che vedevo lo schifo nei suoi occhi. Come se la mia presenza la infastidisse.
Camminavamo, ma se volevamo parlare dovevamo urlare. Va bene la distanza di sicurezza, ma la suora aveva messo la quarta e mi aveva staccato di brutto. Non ci sarebbe stato bisogno di urlare, visto che il tragitto tra i corridoi pieni di cartelli – obblighi, divieti, “mascherine obbligatorie” ecc. – era trascorso senza spiccicare una parola, oltre che a debita distanza.
Arrivati, apre la porta e me la mostra con un braccio, spostandosi sempre a debita distanza, e mi dice: “Mi dispiace, non c’è un materasso a disposizione. Sa, di questi tempi, oltre a non aspettare nessuno, abbiamo mandato a disinfettare tutti quelli che avevamo usato per gli ospiti nei periodi prima del Covid.”
Non sapevo cosa risponderle. Continuava a guardarmi con quell’espressione di disagio, quasi paura, e le ho detto: “Certo, capisco. Non si preoccupi e grazie per la sistemazione, va benissimo.”
Lei fece una cosa che non mi scorderò mai. Sbuffò da sotto la mascherina e disse: “Bene, anche se non capisco perché le e stato permesso di entrare. Stiamo rischiando tutte per una ragazzata incosciente. Comunque, buonanotte!”
Fa per andare via, poi si ferma e continua dicendo: “Ah, solitamente offriamo anche la colazione, ma sa, non e il periodo più adatto. E domani mattina, se può liberare la camera entro le sette, ci farebbe un favore. Ah! Ultima cosa: le dieci euro di offerta le lasci pure nel cassetto li accanto al letto. Ancora buonanotte.”
A quel punto si gira. Saro rimasto li sulla porta più di un minuto. Ripetevo nella mia testa la scena che era appena accaduta e continuavo a non credere all’accoglienza di quella suora. Fredda, distaccata, e mi aveva fatto capire chiaramente che non aveva piacere che io mi trovassi ospite li da loro.
Mi sono ripreso un attimo, mi sono guardato intorno e ho detto sottovoce: “Grazie mille, suora. Che Dio la benedica.”
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